2025-10-31
        Stop al Ponte? Meloni: «Burocrazia e cavilli soffocano ma noi non cediamo»
    
 
        Matteo Salvini e Giorgia Meloni (Ansa)
    
Contratti in stallo dopo la decisione della Corte dei Conti. Salvini deciso: «Replicheremo alle motivazioni, l’opera si fa».Dopo lo stop al Ponte ordinato dalla Corte dei Conti il governo ha deciso di premere il tasto «pausa». Prima si leggono le carte, poi - spiegano a Palazzo Chigi - si risponde «punto per punto». Intanto, si prende tempo. Perché a furia di accelerare, il Ponte rischia di diventare un incrocio pericoloso.Giorgia Meloni convoca d’urgenza una riunione a Palazzo Chigi. «Non mi rassegno all’idea che non si possa più fare perché siamo soffocati dalla burocrazia e dai cavilli». Si dichiara «francamente un po’ incuriosita di fronte ad alcuni rilievi». In ogni caso «è chiaro che l’obiettivo resta quello di fare il Ponte perché è un’opera strategica e unica al mondo». Matteo Salvini arriva al tavolo come il paladino ferito che difende la creatura più amata. Antonio Tajani si collega dall’Africa invitando a non prendere decisioni affrettate. «Aspettiamo le motivazioni», ripete con insistenza. Sul tavolo, la ferita è aperta: la Corte dei Conti ha negato il visto di legittimità al progetto. Una bocciatura che negli ambienti della maggioranza leggono come una vendetta contro la legge di riforma della magistratura contabile già approvata dal Senato. Un provvedimento che si aggiunge a quella della Giustizia.Giorgia Meloni definisce la norma «la risposta più adeguata all’intollerabile invadenza» dei giudici contabili. Insomma: un gran dritto tirato al cuore del diritto.Dopo un’ora e mezza di vertice, Palazzo Chigi diffonde una nota dal sapore di comunicato militare, ma con toni da manuale di galateo: «Attendiamo la pubblicazione delle motivazioni, poi risponderemo a ciascun rilievo». Tradotto: non arretriamo di un millimetro, ma per ora parliamo piano. E infatti, il Ponte - dicono - «non si ferma». Solo rinviato.Il giorno prima tuonava contro «la scelta politica della Corte, un danno grave per il Paese». Ora, Matteo Salvini ha cambiato spartito: meno tamburi, più flauto.«Non voglio pensare che sia una vendetta per la riforma dei giudici», dice. «Nessuno scontro tra poteri dello Stato». E giura: «Ci sto lavorando da tre anni, continuerò per altri tre e due mesi. Poi, in sette anni l’Italia avrà un’opera unica al mondo».In pratica, appuntamento al 2035: sperando che nell’attesa il cemento non si disperda al vento. Il ministro delle Infrastrutture assicura che i cantieri partiranno a febbraio, e che «Meloni e Tajani mi hanno dato mandato di proseguire». Una frase che sa di benedizione politica e di messa cantata. Il governo, insomma, è «compatto». Soprattutto per contenere la sinistra che appare scatenata. Angelo Bonelli (Avs) mostra documenti che definisce inediti. «Ci troviamo di fronte a una truffa di Stato. Giorgia Meloni e Matteo Salvini hanno nascosto agli italiani che si sta parlando di un progetto vecchio di 28 anni fa». Salvini non si scompone. Punta sulla legge di bilancio: per «mettere in sicurezza le risorse». Nel coro degli ottimisti, si fa sentire anche Matilde Siracusano, forzista e sottosegretaria ai Rapporti con il Parlamento. Lei, siciliana e fan del Ponte da sempre si fa portavoce della linea dura: una deliberazione del Consiglio dei ministri che dichiari l’opera «di interesse pubblico superiore». Tradotto: si fa lo stesso, anche se la Corte non vuole. E a quel punto i magistrati contabili, obtorto collo, dovrebbero registrare l’atto «con riserva».Ma la Corte non ci sta. Con penna appuntita scrive:«Il rispetto della legittimità è presupposto imprescindibile della spesa pubblica», recita la nota ufficiale. Cita la Costituzione: articolo 100 sull’indipendenza della Corte «di fronte al governo».La replica tutta giocata, ovviamente, in punta di diritto ma il contenuto è velenoso. La Corte precisa che non ha bocciato il Ponte in sé, ma solo il Piano economico-finanziario. «Nessuna valutazione sull’opportunità dell’opera», scrivono i magistrati, «solo profili giuridici».Come dire: se il progetto è un sogno, il bilancio è un incubo. Il Ponte, in realtà, è solo l’ultimo capitolo di una saga fatta di attriti e di conflitti di attribuzione. Già sul Pnrr c’era stato un primo scontro visto che il governo aveva sottratto ai giudici contabili il potere di controllo sulle spese. Uno sgarbo che, probabilmente ha meritato una vendetta covata con calma. La Corte aveva segnalato ritardi, e il governo aveva risposto togliendole il potere di controllo concomitante. Poi è arrivata la riforma che riduce il suo ruolo e limita la responsabilità per danno erariale. L’obiettivo della nuova norma è quello di sottrarre le amministrazioni pubbliche alla «paura della firma». Per i magistrati contabili si tratta «di una ferita all’autonomia». Dopo il caso Ponte, la frattura è diventata istituzionale. E così, il Ponte sullo Stretto rimane dov’è da 160 anni: nei comunicati stampa, nella foresta delle promesse, nei rendering patinati con gabbiani e tramonti. Il governo «prende tempo», la Corte «chiede rispetto», e il Paese, come sempre, paga il biglietto per lo spettacolo dell’eterno rinvio perché da qualche parte c’è sempre un Tar, un giudice civile, un magistrato contabile che si mette di traverso.
        
    (Ansa)
    
«Alla magistratura contabile voglio dire che sono rimasta francamente un po’ incuriosita di fronte ad alcuni rilievi, come quello nel quale ci si chiedeva per quale ragione avessimo condiviso una parte della documentazione via link, perché verrebbe voglia di rispondere “perché c’è internet”. Dopodiché il governo aspetta i rilievi, risponderà ai rilievi, sia chiaro che l’obiettivo è fare il ponte sullo Stretto di Messina, che è un’opera strategica, sarà un’opera ingegneristica unica al mondo». «Noi siamo eredi di una civiltà che con i suoi ponti ha meravigliato il mondo per millenni – ha aggiunto Meloni – e io non mi rassegno all’idea che non si possa più fare oggi perché siamo soffocati dalla burocrazia e dai cavilli».
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        (Ansa)
    
«È bene che la magistratura, come io auspico, esponga tutte le sue ragioni tecniche e razionali che possono meditare contro questa riforma. Ma per l’amor del cielo non si aggreghi – come effettivamente ha già detto, ammesso, e io lo ringrazio, il presidente Parodi – a forze politiche per farne una specie di referendum pro o contro il governo. Questo sarebbe catastrofico per la politica, ma soprattutto per la stessa magistratura». «Mi auguro che il referendum sulla separazione delle carriere venga mantenuto in termini giudiziari, pacati e razionali e che non venga politicizzato nell’interesse della politica ma soprattutto della magistratura. Non si tratta di una legge punitiva nei confronti della magistratura, visto che già prospettata da Giuliano Vassalli quando era nella Resistenza e ha rischiato la vita per liberare Pertini e Saragat».
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