2020-12-10
«Sanpa non si deve imborghesire». L’opera che fece innamorare Moratti
In «Tutto in un abbraccio», libro in regalo con «Panorama», Giorgio Gandola racconta la storia della comunità di recupero più importante d'Europa. E di come il fondatore Vincenzo Muccioli convinse Gian Marco a «sposarla».È arrivato il momento di cogliere il senso più profondo di un'amicizia decisiva per l'esistenza stessa di San Patrignano, quella fra Vincenzo Muccioli e Gian Marco Moratti. Non tanto per capire le armonie di un rapporto privato di affetto e stima, ma perché anche e soprattutto da qui passa la continuità fra il sogno del fondatore, l'applicazione di una filosofia e la concretezza di oggi. Sul finire degli anni Settanta, Gianmarco prende lezioni di karate a Milano; nella palestra c'è un insegnante di Rimini che conosce Vincenzo e li mette in contatto. Fu lo stesso Moratti a raccontare il primo incontro: «Ci vedemmo in un ristorante di via Piacenza a Milano nel 1979. Quella sera lui non parlò di droga, ma della sua famiglia e del fatto che tutto l'amore, il tempo e l'impegno avrebbe dovuto darli anche ai ragazzi che lo aspettavano in comunità. Mi tenne lì tutta la notte, come una persona di famiglia a cui si confessano le angosce».Imprenditore di successo, rappresentante di una delle dinastie più in vista dell'alta borghesia milanese, Gianmarco è affascinato da quel romagnolo imponente e dalla sua folle idea. Ricorda Roberto Bezzi, amico e collaboratore da sempre di Muccioli a San Patrignano, oggi responsabile dell'Agroalimentare: «Gianmarco era un vero signore ed era accompagnato da una gentilezza e da un'umiltà incredibili per il suo rango. Da giovane si sentiva a disagio perché troppo fortunato. Quando veniva a trovarci mi diceva: “Non è giusto tenere tutto per sé, bisogna metterlo a disposizione". Quel primo incontro con Vincenzo lo aveva molto colpito. Dopo qualche giorno ne aveva parlato anche con suo papà Angelo, che gli aveva consigliato di approfondire la conoscenza con una frase che non dimenticherò mai: se l'emozione che hai provato rimane così forte nel tempo significa che è una cosa buona».All'inizio gli amici della buona società li guardano come se fossero ricchi eccentrici, ma quando vedono Gianmarco e Letizia ospitare nella loro casa di Milano ragazzi che necessitano di cure specifiche (un dentista per ricostruire denti distrutti dallo sballo continuo, uno psicologo, altri specialisti), colgono il senso più vero della dedizione alla causa. Allora anche Indro Montanelli, Renzo Mongiardino, Nicola Dioguardi, Dino Franzin, Chiara Beria D'Argentine, Carlo Tivioli s'avvicinano a Sanpa. Le roulotte, il film del sabato, la condivisione di gioie e dolori, i finanziamenti per le opere nel tempo, il sostegno della Fondazione sono il segno tangibile di un affetto profondo. A coloro che mille volte hanno chiesto «perché San Patrignano?», Letizia Moratti (ex ministro della Repubblica e sindaco di Milano) altrettante volte ha risposto: «Qui abbiamo trovato un modo di vivere in cui, fuori da ogni formalità e retorica, si cerca di aiutarsi a migliorare e ad avere più rispetto per se stessi e per gli altri. Fin dal primo istante ci siamo sentiti parte della famiglia di San Patrignano». In passato si era sparsa la bufala che la vicinanza fosse determinata dalla riconoscenza per un giovane di famiglia curato da Muccioli, in realtà è tutto più semplice. Due parole, amicizia e sintonia. Il rapporto dura da 40 anni, è solido e Letizia è sempre molto attenta a custodire i valori fondanti di un'avventura unica. Soprattutto uno: i ragazzi devono rimanere al centro del progetto. «Questa realtà deve conservare sempre l'amore per il prossimo e lo spirito di dedizione da cui è nata. Il giorno in cui si trasformasse in un'istituzione perfetta, formata da professionisti preparatissimi, allora comincerebbe il declino». Sentimento, passione, non solo fredda professionalità. C'è tutto. Ed è ancora Roberto Bezzi a sintetizzare il cuore di Sanpa con un flash che arriva dal passato, nel ricordo del fango e dei sacrifici, dell'entusiasmo e degli abbracci. «Gianmarco ci diceva sempre: Sanpa non si deve imborghesire». Nel 2011 forse sta accadendo proprio questo. I progetti impegnativi di Andrea Muccioli mettono a dura prova i puristi e i bilanci. Molte risorse vengono destinate alle eccellenze commerciali, il marketing ha il sopravvento, la gestione diventa complessa e i rapporti interpersonali accusano il peso delle divergenze. Andrea lascia la comunità, il momento è doloroso ma la continuità di un progetto leader in Europa deve essere assicurata. Da allora il timone dell'astronave del bene è nelle mani degli educatori, di coloro che interiorizzando il messaggio con l'esempio continuano a trasmetterlo ai ragazzi che soffrono.Tutto ciò è anche garanzia di indipendenza, un valore sotterraneo ma mai scontato, al quale Vincenzo Muccioli teneva molto. Un giorno, a chi gli chiede di cercare appoggi e ombrelli protettivi, risponde così: «Ho scelto di non aggregarmi a nessun ente, sarebbe stato più facile e avrei avuto meno problemi. No, noi dovevamo rompere gli schemi precostituiti. La Chiesa con le sue opere di carità, la società con i suoi asili, ospizi, ospedali, il volontariato con tanta buona volontà ma con poco tempo. Così arriviamo noi, piccola armata Brancaleone, senza nessuna preparazione, armati solo di coraggio, di fede e di amore. Abbiamo lasciato il certo per l'incerto, ci siamo incamminati con i nostri figli in un'avventura umana più grande di noi. Questo è il vero sovvertimento che non può passare inosservato». Vibra qualcosa di profondamente cristiano in queste parole, pronunciate mentre ad ascoltare ci sono i volti della prima ora: Maria, Luisa, Egidio, Lina, Marco, Rita, Alex che adesso è numero uno, Maurone che quel giorno buttò via il coltello e pianse. La continuità è nella loro testimonianza, nella loro presenza. E in quella di Gianmarco e Letizia. La voce di Roberto Bezzi s'incrina: «Gianmarco ci ha sempre tenuta nascosta la malattia. La sua preoccupazione era solo il destino di Sanpa, davanti al quale ogni cosa passava in secondo piano». Ora il petroliere che non sopportava la mondanità dorme il grande sonno nel piccolo cimitero, dove il vento porta il fruscio delle sue vigne. Con una lapide uguale a quelle degli altri.