2018-07-04
Salvini «sfratta» Boeri per colpire la Fornero
Il vicepremier al capo dell'Inps: «Fa il fenomeno sui migranti, c'è da cambiare». La guerra però è su quota 100.Il decreto Dignità combatte l'eccesso di lavoro a tempo e la fuga di aziende all'estero. Il cuneo fiscale però resta intatto.Il ministro del Lavoro: «È la Waterloo del renzismo». Il presidente leghista della commissione Bilancio, Claudio Borghi: «Valuteremo i pro e i contro». Il Pd a senso unico: «Crollerà l'occupazione».Lo speciale contiene tre articoliTito Boeri stai sereno. Parafrasandro il celebre motto renziano scagliato contro Enrico Letta c'è da attendersi l'imminente sfratto del numero uno dell'Inps. Con la differenza che il vicepremier Matteo Salvini non ama gli hashtag ma preferisce impugnare la mannaia e farsi inquadrare durante una diretta Facebook. Ieri ha detto: «L'immigrazione positiva, pulita, che porta idee, energie e rispetto è la benvenuta. Il mio problema sono i delinquenti, come quello che ha ammazzato un italiano di 77 anni a Sessa Aurunca, preso a pugni da una di queste “risorse" che ci dovrebbero pagare le pensioni. Perché c'è ancora qualche fenomeno, penso anche al presidente dell'Inps, che dice che senza immigrati è un disastro. Ma ci sarà tanto da cambiare anche in questi apparati pubblici». Solo quattro giorni fa il presidente dell'Inps aveva ribadito che il «calo degli immigrati è un problema per le pensioni». L'azzeramento dei flussi ha sempre sostenuto Boeri impatterebbe sul gettito contributivo. Le proiezioni demografiche «ci dicono», ha sbandierato più volte, «che nel giro di pochi anni, se i flussi dovessero ridursi ulteriormente o addirittura azzerarsi, perderemmo città intere di popolazione italiana». La posizione però non ha numeri a suo sostegno. E il parere non è nostro ma addirittura di Bankitalia che smonta le posizioni liberal con uno studio sintetico e dalla mentalità aperta e scevra di pregiudizi. Tant'è che i risultati ne sfatano più di uno, a cominciare dal ruolo benefico (sbandierato dalla sinistra) che gli immigrati svolgono per il nostro sistema Paese e dal contributo che portano alla crescita del Pil, dei consumi e della produttività.Innanzitutto nell'occasional paper di Palazzo Koch, firmato da Federico Barbiellini Amidei, Matteo Gomellini e Paolo Piselli, si spiega che il dividendo demografico è rimasto sostanzialmente positivo fino al 2010. Natalità e tasso di mortalità hanno consentito un trend positivo fino a otto anni fa. A quel punto si apre una forbice tra i due tassi che è destinata ad accentuarsi nel futuro: le proiezioni dell'Istat indicano per il prossimo cinquantennio un rialzo dei tassi mortalità, «dinamica su cui incide la composizione per età che vede una quota di popolazione anziana sempre più consistente. La natalità rimarrà, invece, sui livelli attuali eccezionalmente bassi». Ne segue che «i flussi migratori previsti limiteranno l'ampiezza di tale contributo negativo», anche se «non saranno in grado di invertirne il segno». A pagina 18 del documento si comprende numericamente il senso dell'affermazione. «Nel decennio 2001-2011, con una popolazione straniera residente che supera i 4,5 milioni (7,7% del totale), il contributo demografico degli immigrati è considerevole (1,1%) e compensa parzialmente il dividendo demografico negativo che origina dalla popolazione italiana (-4,2%). Nell'ultimo difficile quinquennio, il contributo degli stranieri si attesta su un più modesto 0,2%». In pratica, la componente dell'immigrazione vale solo nel breve termine. Esaurito l'effetto della prima generazione, le nuove comunità si adeguano anche ai trend demografici autoctoni «depressi». A pagina 19 del paper i tre economisti lo scrivono chiaramente: «L'apporto specifico dell'immigrazione sarebbe favorevole nei prossimi tre decenni, ma partire dal 2041 anche il contributo dell'immigrazione diverrebbe negativo». Una frase che da sola smonta tutte le teorie sostenute dal governo uscente e pure dal numero uno dell'Inps. A questo punto viene da chiedersi perché insista sulla linea. Forse per mantenere alto l'allarme sulla riforma delle pensioni. Per creare una cortina fumogena che impedisca un intervento contro la legge Fornero. Perché al di là del battibecco sugli immigrati il nodo è proprio questo. Salvini sa bene che finché Boeri resterà al vertice dell'Inps avrà serie difficoltà a fra passare quota 100, e successivamente quota 41. Claudio Antonelli<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/salvini-sfratta-boeri-per-colpire-la-fornero-2583573715.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="di-maio-licenziato-il-jobs-act-e-la-lega-aspetta-i-5-stelle-in-aula" data-post-id="2583573715" data-published-at="1757932160" data-use-pagination="False"> Di Maio: «Licenziato il Jobs act». E la Lega aspetta i 5 stelle in Aula Il testo del decreto esce dal Consiglio dei ministri serale decisamente alleggerito. Contiene tre filoni: il primo riguarda il lavoro, il secondo il gioco di Stato e il terzo le tasse. La leggerezza si sente soprattutto nella terza parte, relativa alle tematiche fiscali. Gli interventi di semplificazione e di alleggerimento Iva restano un mero appunto. La linea sostenuta ieri in Aula da Giovanni Tria, ministro dell'Economia, è molto semplice. Niente coperture. Niente tagli o novità fiscali. Tutto il resto può essere approvato. Ecco che la prima parte del decreto è riuscita a vedere la luce proprio perché tendenzialmente scarica sulle aziende il maggiore costo dei contratti a termine. Chi sperava in un taglio del cuneo fiscale è rimasto deluso. Sarebbe stato il vero volano per far ripartire il mercato del lavoro. Bisogna invece accontentarsi di interventi che vanno nella direzione della tutela dei precari e dei sottopagati. Senza che il sistema dei contratti e i rapporti tra dipendenti e aziende vengano riformati per davvero. Nella speranza che le prossime mosse riescano a essere più incisive, il testo fissa alcuni paletti. 1Aumenta il valore dell'indennità per i lavoratori licenziati «ingiustamente», passando da massimo 24 mesi a massimo 36 mesi. 2Il limite massimo di assunzioni a tempo si riduce da 36 a 24 mesi e ogni rinnovo a partire dal secondo avrà un costo contributivo crescente dello 0,5%. Ridotte da cinque a quattro le possibili proroghe. 3Per i contratti più lunghi di 12 mesi, o dal primo rinnovo in poi, arrivano tre categorie di causali, esigenze temporanee e oggettive, connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, o relative a picchi di attività stagionali. Le nuove regole valgono anche per i contratti a tempo determinato in somministrazione (non vengono cancellati, come previsto dalle prime bozze, quelli in somministrazione a tempo indeterminato). Salta invece il conteggio di questa ultima tipologia nei limiti del 20% previsto per contingentare le assunzioni a termine. Sulla tutela dei lavoratori a fronte di quelle aziende che decidono di abbandonare l'Italia il governo mostra un decisa incisività. Rispetto alle norme che hanno contraddistinto l'ultimo decennio, cambio profondamente l'approccio agli aiuti pubblici: «Alle aziende che hanno ricevuto aiuti di Stato che delocalizzano le attività prima che siano trascorsi cinque anni dalla fine degli investimenti agevolati», si legge nel decreto, «arriveranno sanzioni da due a quattro volte il beneficio ricevuto. Anche il beneficio andrà restituito con interessi maggiorati fino a cinque punti percentuali. In arrivo un meccanismo di recapture per l'iperammortamento in caso di delocalizzazione o cessione degli investimenti». Stessa logica per affrontare l'altro lato della medaglia, quello dei dipendenti. «Nel caso la concessione di aiuti di Stato preveda una valutazione dell'impatto occupazionale, i benefici vengono revocati in tutto o in parte a chi taglia nei successivi cinque anni i posti di lavoro». Il grande vanto che i 5 stelle vogliono intestarsi è il secondo pilastro del decreto. L'obiettivo sarebbe la lotta alla ludopatia. Il decreto prevede lo stop totale agli spot sul gioco d'azzardo, che dal 2019 scatterà anche per le sponsorizzazioni e «tutte le forme di comunicazione» comprese «citazioni visive e acustiche e la sovraimpressione del nome, marchio, simboli». A chi non rispetta il divieto arriverà una sanzione del 5% del valore della sponsorizzazione o della pubblicità comunque di «importo minimo di 50.000 euro». Gli incassi andranno al fondo per il contrasto al gioco d'azzardo patologico. Restano le sanzioni da 100.000 a 500.000 euro per chi viola il divieto durante spettacoli dedicati ai minori. Salve dallo stop le lotterie a estrazione differita, come la Lotteria Italia, e i contratti in essere. La scelta è molto dibattuta perché non ha alcuna evidenza scientifica sottostante. Appare soltanto come una mossa politica per mantenere buona la base grillina. Al contrario, la strada rischia concretamente di porgere il fianco all'illegalità. Cioè a tutti quei siti stranieri che non riescono a essere monitorati e gestiti dalle autorità tricolori. Resterà dunque da comprendere se la prossima legge Finanziaria manterrà il medesimo impianto o inserirà interventi in direzione opposta. Si capirà anche perché al momento i fari sono puntati sulla tematica delle coperture che hanno caratterizzata per intero la terza parte del decreto Dignità. Nella sua ultima versione il pacchetto fisco prevede una revisione del redditometro, ma non ora. Soltanto nei prossimi mesi. Indica l'abolizione del trattenimento diretto dell'Iva da parte dello Stato nei rapporti con i soli professionisti. Per lo spesometro invece si profila un rinvio della scadenza per l'invio dei dati del terzo trimestre a febbraio 2019, insieme quindi all'invio dei dati del quarto trimestre. I tre punti d'intervento fiscale restano però dei meri desideri. Lo stop allo split payment è chiaramente subordinato alla copertura relativa. Si parla di circa due miliardi all'anno. D'altronde Tria l'ha detto papale papale. Contratto di governo sì, ma subordinatamente alla tenuta dei conti pubblici: non si tratta di continuità ma di «ovvio pensiero sano di chi dice che non si possono far saltare i conti». Il ministro ha confermato la sua linea, snocciolando i capisaldi del suo programma per le casse del Paese: sanatorie e pacificazioni fiscali di vario genere «non possono coprire programmi di spesa pluriennali, questi non si possono coprire con una tantum», anche se «certamente una una tantum può consentire di avviare programmi» più lunghi. «La prudenza», conclude Tria, «è necessaria perché all'orizzonte si rischia una seppur moderata revisione al ribasso del Pil». Gianluca De Maio <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/salvini-sfratta-boeri-per-colpire-la-fornero-2583573715.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="lotta-a-precariato-e-delocalizzazioni-ma-non-ce-traccia-di-rivoluzione-fiscale" data-post-id="2583573715" data-published-at="1757932160" data-use-pagination="False"> Lotta a precariato e delocalizzazioni. Ma non c’è traccia di rivoluzione fiscale «Cittadini mai più indici né bancomat, ma persone che devono avere diritto alla dignità, alla vita». Ecco il decreto dignità secondo il suo massimo sostenitore, il pentastellato ministro del Lavoro e vice premier Luigi Di Maio che, dopo l'approvazione, nella conferenza stampa a Palazzo Chigi con il premier Giuseppe Conte e il sottosegretario leghista Giancarlo Giorgetti, ne ha illustrato i principi base. «Tre i concetti fondamentali: diamo un colpo mortale al precariato, licenziando il Jobs act; diamo un colpo mortale alla parte più insidiosa della burocrazia, per cui ci diranno che vogliamo favorire gli evasori quando vogliamo favorire i cittadini onesti; siamo il primo Paese in Ue che dice stop al gioco d'azzardo e diciamo no alle multinazionali che vengono qui, prendono soldi e delocalizzano. Lo avevamo promesso e lo abbiamo fatto». In effetti il dl interviene su vari temi, contiene dalla pubblicità del gioco d'azzardo alle regole per le assunzioni, passando per l'abolizione di molte misure fiscali di lotta all'evasione e una tassa sulle delocalizzazioni ma per il pluriministro la cosa principale è che questo decreto diventa la «la Waterloo del precariato, è finito il precariato senza ragioni, basta abusare dei contratti a tempo determinato e aumentate le penali per gli ingiusti licenziamenti sui contratti a tempo indeterminato». Con la riduzione del grado di flessibilità e precarietà del mercato del lavoro, il provvedimento appare più da Cgil che da 5 stelle (lo stesso Di Maio lo ha definito «di sinistra») e forse neanche tanto da Lega, considerate la vicinanza dei lumbard con gli imprenditori, piccoli e medi, e le osservazioni degli uffici della Ragioneria che avevano definito insufficienti e inadeguate le coperture finanziarie di alcune misure, tanto che la parte fiscale è stata piuttosto ridotta. Ma proprio il ministro grillino ha rassicurato sul totale allineamento di pensiero tra Lega e M5s, così come ribadito anche dal premier Conte: «Rispettiamo la centralità del Parlamento non intendiamo comprimerla, ma diciamo che ci aspettiamo, in una prospettiva in cui abbiamo due forze fortemente coese al loro interno e che si riconoscono in un programma comune, votato dai rispettivi iscritti, coerenza da parte dei parlamentari su questo fronte. Ma ciò non significa che non avranno la libertà di apprezzare e discutere questo dl». «Siamo due forze politiche diverse, ma abbiamo sottoscritto un contratto di governo: alcuni dubbi della Lega c'erano ma sono stati superati e il testo del decreto è stato approvato dai ministri leghisti», ha ribadito anche il sottosegretario alla presidenza Giorgetti. E se Matteo Salvini dal Palio di Siena aveva detto «lasciamoli fare», Claudio Borghi leghista, presidente della commissione Bilancio alla Camera chiarisce: «Ci sono esigenze di due partiti nel programma e quindi vanno rispettate, porre qualche limite all' eccesso di precarizzazione era un'idea condivisa. Certo può esserci qualcuno nella base della Lega che non gradisce questo decreto che comunque deve arrivare da noi in Parlamento, dove lo visioneremo con pro e contro con tutte le audizioni del caso». Alle critiche di Confindustria, «il dl è un segnale molto negativo per le imprese. Si dovrebbe intervenire sulle regole perché è necessario tener conto dei cambiamenti», Conte ha precisato che «questo governo non è in contrasto col mondo imprenditoriale, anzi adotteremo anche misure per favorire la crescita economica, vogliamo una sana alleanza col mondo del lavoro e imprenditoriale ma vogliamo contrastare le iniziative ingiustificate come chi se ne va dopo aver beneficiato degli aiuti pubblici». Attacca anche il Pd, con l'ex premier Paolo Gentiloni: «Dopo un mese di annunci rocamboleschi il mini decreto introduce soltanto ostacoli per lavoro e investimenti. Lasciamo stare la dignità». Incalza l'ex ministro Carlo Calenda: «Il decreto avrà due effetti: diminuire l'occupazione ovunque e gli investimenti al Sud (e le reindustrializzazioni)». Anche il centrodestra non è tenero. Per Giorgia Meloni, leader del centrodestra, «la parte sul precariato sembra scritta dal Partito Comunista anni Ottanta». Sarina Biraghi
Il direttore generale di Renexia Riccardo Toto e il direttore de La Verità Maurizio Belpietro
Toto ha presentato il progetto di eolico offshore galleggiante al largo delle coste siciliane, destinato a produrre circa 2,7 gigawatt di energia rinnovabile. Un’iniziativa che, secondo il direttore di Renexia, rappresenta un’opportunità concreta per creare nuova occupazione e una filiera industriale nazionale: «Stiamo avviando una fabbrica in Abruzzo che genererebbe 3.200 posti di lavoro. Le rinnovabili oggi sono un’occasione per far partire un mercato che può valere fino a 45 miliardi di euro di valore aggiunto per l’economia italiana».
L’intervento ha sottolineato l’importanza di integrare le rinnovabili nel mix energetico, senza prescindere dal gas, dalle batterie e in futuro anche dal nucleare: elementi essenziali non solo per la sicurezza energetica ma anche per garantire crescita e competitività. «Non esiste un’economia senza energia - ha detto Toto - È utopistico pensare di avere solo veicoli elettrici o di modificare il mercato per legge». Toto ha inoltre evidenziato la necessità di una decisione politica chiara per far partire l’eolico offshore, con un decreto che stabilisca regole precise su dove realizzare i progetti e investimenti da privilegiare sul territorio italiano, evitando l’importazione di componenti dall’estero. Sul decreto Fer 2, secondo Renexia, occorre ripensare i tempi e le modalità: «Non dovrebbe essere lanciato prima del 2032. Serve un piano che favorisca gli investimenti in Italia e la nascita di una filiera industriale completa». Infine, Toto ha affrontato il tema della transizione energetica e dei limiti imposti dalla legislazione internazionale: la fine dei motori a combustione nel 2035, ad esempio, appare secondo lui irrealistica senza un sistema energetico pronto. «Non si può pensare di arrivare negli Usa con aerei a idrogeno o di avere un sistema completamente elettrico senza basi logiche e infrastrutturali solide».
L’incontro ha così messo in luce le opportunità dell’eolico offshore come leva strategica per innovazione, lavoro e crescita economica, sottolineando l’urgenza di politiche coerenti e investimenti mirati per trasformare l’Italia in un hub energetico competitivo in Europa.
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Da sinistra, Leonardo Meoli (Group Head of Sustainability Business Integration), Marzia Ravanelli (direttrice Quality & Sustainability) di Bonifiche Feraresi, Giuliano Zulin (La Verità) e Nicola Perizzolo (project engineer)
Al panel su Made in Italy e sostenibilità, moderato da Giuliano Zulin, vicedirettore de La Verità, tre grandi realtà italiane si sono confrontate sul tema della transizione sostenibile: Bonifiche Ferraresi, la più grande azienda agricola italiana, Barilla, colosso del food, e Generali, tra i principali gruppi assicurativi europei. Tre prospettive diverse – la terra, l’industria alimentare e la finanza – che hanno mostrato come la sostenibilità, oggi, sia al centro delle strategie di sviluppo e soprattutto della valorizzazione del Made in Italy. «Non sono d’accordo che l’agricoltura sia sempre sostenibile – ha esordito Marzia Ravanelli, direttrice del Gruppo Quality & Sustainability di Bonifiche Ferraresi –. Per sfamare il pianeta servono produzioni consistenti, e per questo il tema della sostenibilità è diventato cruciale. Noi siamo partiti dalla terra, che è la nostra anima e la nostra base, e abbiamo cercato di portare avanti un modello di valorizzazione del Made in Italy e del prodotto agricolo, per poi arrivare anche al prodotto trasformato. Il nostro obiettivo è sempre stato quello di farlo nel modo più sostenibile possibile».
Per Bf, quotata in Borsa e con oltre 11.000 ettari coltivati, la sostenibilità passa soprattutto dall’innovazione. «Attraverso l’agricoltura 4.0 – ha spiegato Ravanelli – siamo in grado di dare al terreno solo quello di cui ha bisogno, quando ne ha bisogno. Così riduciamo al minimo l’uso delle risorse: dall’acqua ai fitofarmaci. Questo approccio è un grande punto di svolta: per anni è stato sottovalutato, oggi è diventato centrale». Ma non si tratta solo di coltivare. L’azienda sta lavorando anche sull’energia: «Abbiamo dotato i nostri stabilimenti di impianti fotovoltaici e stiamo realizzando un impianto di biometano a Jolanda di Savoia, proprio dove si trova la maggior parte delle nostre superfici agricole. L’agricoltura, oltre a produrre cibo, può produrre energia, riducendo i costi e aumentando l’autonomia. È questa la sfida del futuro». Dall’agricoltura si passa all’industria alimentare.
Nicola Perizzolo, project engineer di Barilla, ha sottolineato come la sostenibilità non sia una moda, ma un percorso strutturale, con obiettivi chiari e risorse ingenti. «La proprietà, anni fa, ha preso una posizione netta: vogliamo essere un’azienda di un certo tipo e fare business in un certo modo. Oggi questo significa avere un board Esg che definisce la strategia e un piano concreto che ci porterà al 2030, con un investimento da 168 milioni di euro».Non è un impegno “di facciata”. Perizzolo ha raccontato un esempio pratico: «Quando valutiamo un investimento, per esempio l’acquisto di un nuovo forno per i biscotti, inseriamo nei costi anche il valore della CO₂ che verrà emessa. Questo cambia le scelte: non prendiamo più il forno standard, ma pretendiamo soluzioni innovative dai fornitori, anche se più complicate da gestire. Il risultato è che consumiamo meno energia, pur garantendo al consumatore lo stesso prodotto. È stato uno stimolo enorme, altrimenti avremmo continuato a fare quello che si è sempre fatto».
Secondo Perizzolo, la sostenibilità è anche una leva reputazionale e sociale: «Barilla è disposta ad accettare tempi di ritorno più lunghi sugli investimenti legati alla sostenibilità. Lo facciamo perché crediamo che ci siano benefici indiretti: la reputazione, l’attrattività verso i giovani, la fiducia dei consumatori. Gli ingegneri che partecipano alle selezioni ci chiedono se quello che dichiariamo è vero. Una volta entrati, verificano con mano che lo è davvero. Questo fa la differenza».
Se agricoltura e industria alimentare sono chiamate a garantire filiere più pulite e trasparenti, la finanza deve fare la sua parte nel sostenerle. Leonardo Meoli, Group Head of Sustainability Business Integration di Generali, ha ricordato come la compagnia assicurativa lavori da anni per integrare la sostenibilità nei modelli di business: «Ogni nostra attività viene valutata sia dal punto di vista economico, sia in termini di impatto ambientale e sociale. Abbiamo stanziato 12 miliardi di euro in tre anni per investimenti legati alla transizione energetica, e siamo molto focalizzati sul supporto alle imprese e agli individui nella resilienza e nella protezione dai rischi climatici». Il mercato, ha osservato Meoli, risponde positivamente: «Vediamo che i volumi dei prodotti assicurativi con caratteristiche ESG crescono, soprattutto in Europa e in Asia. Ma è chiaro che non basta dire che un prodotto è sostenibile: deve anche garantire un ritorno economico competitivo. Quando riusciamo a unire le due cose, il cliente risponde bene».
Dalle parole dei tre manager emerge una convinzione condivisa: la sostenibilità non è un costo da sopportare, ma un investimento che rafforza la competitività del Made in Italy. «Non si tratta solo di rispettare regole o rincorrere mode – ha sintetizzato Ravanelli –. Si tratta di creare un modello di sviluppo che tenga insieme produzione, ambiente e società. Solo così possiamo guardare al futuro».In questo incrocio tra agricoltura, industria e finanza, il Made in Italy trova la sua forza. Il marchio non è più soltanto sinonimo di qualità e tradizione, ma sempre di più di innovazione e responsabilità. Dalle campagne di Jolanda di Savoia ai forni di Mulino Bianco, fino alle grandi scelte di investimento globale, la transizione passa per la capacità delle imprese italiane di essere sostenibili senza smettere di essere competitive. È la sfida del presente, ma soprattutto del futuro.
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A condurre, il direttore Maurizio Belpietro e il vicedirettore Giuliano Zulin. In apertura, Belpietro ha ricordato come la guerra in Ucraina e lo stop al gas russo deciso dall’Europa abbiano reso evidenti i costi e le difficoltà per famiglie e imprese. Su queste basi si è sviluppato il confronto con Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, società con 70 anni di storia e oggi attore nazionale nel settore energetico.
Cecconato ha sottolineato la centralità del gas come elemento abilitante della transizione. «In questo periodo storico - ha osservato - il gas resta indispensabile per garantire sicurezza energetica. L’Italia, divenuta hub europeo, ha diversificato gli approvvigionamenti guardando a Libia, Azerbaijan e trasporto via nave». Il presidente ha poi evidenziato come la domanda interna nel 2025 sia attesa in crescita del 5% e come le alternative rinnovabili, pur in espansione, presentino limiti di intermittenza. Le infrastrutture esistenti, ha spiegato, potranno in futuro ospitare idrogeno o altri gas, ma serviranno ingenti investimenti. Sul nucleare ha precisato: «Può assicurare stabilità, ma non è una soluzione immediata perché richiede tempi di programmazione lunghi».
La seconda parte del panel è stata guidata da Giuliano Zulin, che ha aperto il confronto con le testimonianze di Maria Cristina Papetti e Maria Rosaria Guarniere. Papetti ha definito la transizione «un ossimoro» dal punto di vista industriale: da un lato la domanda mondiale di energia è destinata a crescere, dall’altro la comunità internazionale ha fissato obiettivi di decarbonizzazione. «Negli ultimi quindici anni - ha spiegato - c’è stata un’esplosione delle rinnovabili. Enel è stata tra i pionieri e in soli tre anni abbiamo portato la quota di rinnovabili nel nostro energy mix dal 75% all’85%. È tanto, ma non basta».
Collegata da remoto, Guarniere ha descritto l’impegno di Terna per adeguare la rete elettrica italiana. «Il nostro piano di sviluppo - ha detto - prevede oltre 23 miliardi di investimenti in dieci anni per accompagnare la decarbonizzazione. Puntiamo a rafforzare la capacità di scambio con l’estero con un incremento del 40%, così da garantire maggiore sicurezza ed efficienza». Papetti è tornata poi sul tema della stabilità: «Non basta produrre energia verde, serve una distribuzione intelligente. Dobbiamo lavorare su reti smart e predittive, integrate con sistemi di accumulo e strumenti digitali come il digital twin, in grado di monitorare e anticipare l’andamento della rete».
Il panel si è chiuso con un messaggio condiviso: la transizione non può prescindere da un mix equilibrato di gas, rinnovabili e nuove tecnologie, sostenuto da investimenti su reti e infrastrutture. L’Italia ha l’opportunità di diventare un vero hub energetico europeo, a patto di affrontare con decisione le sfide della sicurezza e dell’innovazione.
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