L’Ue continua a usare il tabacco per forzare la mano sulle sovranità nazionali. Aveva tentato di scavalcare i ministeri nazionali imponendo normative con la sponda dell’Oms e adesso la Commissione interviene direttamente sui budget fiscali. La riforma europea sulle accise del tabacco, attualmente in discussione a Bruxelles, potrebbe segnare una svolta senza precedenti: una parte delle entrate fiscali derivanti da sigarette, tabacco riscaldato e prodotti della nicotina non finirebbero più nelle casse degli Stati membri, ma direttamente nel bilancio dell’Unione europea. In pratica, sarebbe Bruxelles a incassare i proventi, sottraendoli ai governi nazionali. A rivelarlo è un documento riservato, trapelato grazie ai parlamentari tedeschi, secondo cui la Commissione europea presenterà una proposta ufficiale sulle cosiddette «risorse proprie» mercoledì prossimo. Secondo le ipotesi allo studio, si legge esplicitamente, «nuove fonti di risorse proprie si potrebbero sviluppare dove appropriato, per esempio attraverso le imposte sul tabacco».
Il dossier sarebbe gestito direttamente da Ursula von der Leyen e dal commissario Piotr Serafin. Per gli altri commissari solo un accesso veloce agli atti. La consultazione interna sarebbe durata appena 24 ore, tempo in cui i funzionari avrebbero dovuto analizzare un testo di 100 pagine con impatti significativi su agricoltura, industria, salute pubblica e finanze statali.
La proposta è destinata ad accendere un forte dibattito per due motivi. Primo, secondo alcune indiscrezioni la Von der Leyen vorrebbe provare a far passare la riforma con la sola maggioranza qualificata stracciando così tutte le regole a tutela del budget comunitario. Secondo motivo, i prodotti del tabacco e della nicotina sono infatti una fonte fondamentale di gettito per gli Stati membri. Stime indicano in circa 15 miliardi l’ammontare delle risorse che, se questa proposta vedesse la luce, sarebbero sottratte ai governi nazionali, già alle prese con il Patto di stabilità.
Già nei giorni scorsi, l’ipotesi di una revisione della tassazione dei prodotti del tabacco e della nicotina, paventata da un documento interno di Bruxelles trapelato alla stampa, aveva generato forti perplessità. La proposta prevedeva aumenti per la tassazione delle sigarette fino al 139%; per i tabacchi trinciati fino al 258%; per i sigari un +1.090%, senza risparmiare nemmeno i prodotti di nuova generazione (tabacco riscaldato, sigarette elettroniche, bustine di nicotina). Un’ipotesi che per i consumatori italiani, si tradurrebbe in un aumento dei prezzi di oltre il 20% (ben oltre 1 euro a pacchetto sia nel caso delle sigarette che per i prodotti a tabacco riscaldato). Secondo le stime della stessa Ue, tali incrementi comporterebbero un aumento dell’inflazione di oltre mezzo punto percentuale. È chiaro che se lo schema dovesse passare, si aprirebbe una crepa nella sovranità fiscale dei Paesi. A oggi il gettito Iva, ad esempio, viene raccolto dai singoli governi e poi girato a Bruxelles secondo quote e proporzioni frutto di trattati. Con il tabacco saremmo di fronte a una terra incognita. Quali criteri di proporzione tra i singoli Stati? Al momento non è dato sapere e non a caso, se le indiscrezioni che arrivano dalla Germania fossero vere, la scelta sarebbe quella di secretare alla faccia della trasparenza.
A questo punto bisogna vedere che succederà da qui al prossimo mercoledì quali Paesi bloccheranno il blitz. Cercherà veramente la Commissione di imporre una novità sostanziale per il budget tramite maggioranza qualificata? L’idea di dare, da un lato, una brusca impennata alla tassazione dei prodotti del tabacco e della nicotina, e dall’altro, di trasferire le risorse fiscali dagli Stati membri alla burocrazia di Bruxelles, ha già generato le prime forte proteste.
Nei giorni scorsi, il ministro delle Finanze svedese, Elisabeth Svantesson, ha criticato duramente la proposta su X: «Le indiscrezioni indicano che la Commissione presenterà una nuova direttiva sul tabacco la prossima settimana. È del tutto inaccettabile per il governo svedese». Il riferimento è soprattutto allo snus bianco, prodotto molto diffuso in Svezia, che verrebbe colpito da un forte aumento delle tasse. «Il gettito fiscale», ha aggiunto, «deve restare ai singoli Paesi, non finire nelle mani della burocrazia europea». Non sono dettagli e pensare che siccome il tabacco è un settore aggredibile con la scusa del salutismo sarebbe un errore fatale. Si aggredisce il tabacco perché l’opinione pubblica non lo difende, ma poi in un attimo si arriva a ribaltare tutte le regole fiscali dell’Ue. Ecco perché serve vigilare.
S’ingrossa il fronte francese contro la Starlink di Musk. Ora si candida anche Thales
La battaglia dei satelliti continua a tenere banco. Sulla possibilità che l’Italia utilizzi Starlink per le comunicazioni criptate ieri sono intervenuti vari esponenti di Fratelli d’Italia e anche il ministro degli Esteri, Antonio Tajani. «Io ascolto il presidente degli Stati Uniti sui temi di sicurezza. Io non sono né amico né nemico di Musk», ha detto l’azzurro a margine dell’inaugurazione di LetExpo a Verona. «Musk è un imprenditore che offre delle opportunità e - penso a Starlink - si valuterà se è interesse dell’Italia utilizzarlo o meno», ha aggiunto Tajani, concludendo che «bisogna fare una valutazione di impatto e capire se tutto ciò è utile, se è sicuro per il nostro Paese, quali sono i vantaggi e quali i rischi, senza fare il tifo né a favore né contro». Una posizione a metà tra il democristiano e il fattuale. Infatti va ricordato che l’accordo da oltre un miliardo non solo non è stato siglato ma nemmeno è sul tavolo.
Sull’opportunità di utilizzare la piattaforma satellitare del tycoon però bisogna rimandare alle dichiarazioni aperturiste dal punto di vista tecnico del presidente Asi, Teodoro Valente (ha detto che non ci sono alternative) e a quelle del ministro Guido Crosetto. Per di più espresse in sede di commissione d’Aula e in tempi non sospetti. Non si può però ignorare le continue mosse della componente politica e industriale francese. Su queste colonne abbiamo più volte esplicitato l’intervento a gamba tesa di Eutelsat che sta beneficiando di un anomalo spin in Borsa e a questo ieri si sono aggiunte le parole del numero uno di Thales, il conglomerato francese dello Spazio. In ricerca e sviluppo Thales ha investito 4 miliardi nel 2024, il 20% dei ricavi, e mira ad alzare l’ammontare a 5 miliardi entro il 2028 puntando in particolare sulle tecnologie digitali, a cominciare da cybersecurity e intelligenza artificiale. In questi campi il gruppo francese rivendica un ruolo centrale proprio in funzione della costruzione di una sovranità europea: «Siamo tra i primi cinque gruppi mondiali nella cybersecurity, insieme a quattro player americani, e siamo i leader nella data protection», ha commentato Pascale Sourisse, vice presidente del gruppo. «In Europa siamo il primo gruppo per numero di brevetti nell’Ai per i sistemi critical-mission». Al centro della discussione è finita però Thales Alenia Space, una delle due jv in ambito spaziale con Leonardo (l’altra, Telespazio, è a controllo italiano).
È da questo ambito che si aspettano novità nei prossimi mesi visto che i vertici dei due gruppi hanno confermato l’esistenza di trattative, che includono anche Airbus, per una partnership rafforzata nel campo dei satelliti. «Nel dominio spaziale i due terzi del mercato stanno andando bene e la domanda è elevata per quanto riguarda l’osservazione della Terra, l’esplorazione e la navigazione», ha precisato la manager. «L’unico settore in difficoltà è quello delle telecomunicazioni commerciali dove i nostri clienti, gli operatori satellitari, devono affrontare la concorrenza di Starlink che ha enormi capacità, con la conseguenza che alcune decisioni di investimento vengono ritardate». Ecco perché per le sue attività spaziali Thales ha avviato un piano di riorganizzazione, che si completerà nei primi mesi del 2026, mentre sta approfondendo le opzioni con Leonardo e Airbus per un riassetto di cui al momento non esiste una tempistica definita. Per «garantire una sovranità europea nel campo della connettività via satellite» Sourisse considera «essenziale» l’avanzamento e il rafforzamento del progetto Iris 2 per dotare l’Europa di una rete di satelliti (290 nel 2030) in orbita media e bassa e che prevede l’utilizzo di risorse pubbliche ma anche private: «Siamo fiduciosi nel fatto che l’iniziativa continuerà» a svilupparsi e a raggiungere il livello di servizi necessari in una modalità «completamente sovrana». In altre parole, la Francia chiede ancora una volta apertamente che tutti i Paesi Ue continuino a finanziare il progetto anche se più costoso e meno efficiente. Ieri Leonardo ha presentato, in occasione dei conti del 2024, il nuovo piano strategico. Un paragrafo è dedicato allo sviluppo dei satelliti ed esplicita la partecipazione dell’azienda guidata da Roberto Cingolani alla Space alliance. Non che ce ne fossero dubbi. Perché è giusto così. Il che esclude l’utilizzo in parallelo di Starlink?
È esattamente la domanda a cui sarà chiamato il governo a dare una risposta. Certo, le continue sollecitazioni mediatiche anche da parte di Elon Musk non aiutano a raffreddare gli animi. Soprattutto nell’ambito della sicurezza ucraina. Lunedì, dopo la chiusura di questo giornale, il patron di Tesla che nel pomeriggio aveva denunciato un cyber attacco contro il social X, ha pensato di aggiornare il pubblico della sua piattaforma specificando che gli Ip da cui erano arrivati i colpi cyber erano localizzati a Kiev. Vero oppure no, non cambia l’effetto. Altra benzina sul fuoco delle polemiche. Così come la richiesta di incontrare Sergio Mattarella sul tema dei satelliti. Il tutto lascia intendere che lo scontro tra Francia e Musk sia solo all’inizio. L’Ucraina è in fondo la scusa perfetta. Dietro si nasconde la capacità bellica degli eserciti del futuro.
Mentre il progetto del Ponte sullo Stretto di Messina è in attesa dell’autorizzazione ambientale, Condotte 1880 spa, che detiene il 15% del consorzio Eurolink, general contractor del Ponte di Messina, esce allo scoperto per sostenere la congruità dell’acquisizione, che ha suscitato perplessità da parte del ministro delle Imprese e del made in Italy, Adolfo Urso. Il consigliere e direttore generale della nuova Condotte 1880, Enzo Reggiani, già consigliere in Eurolink, rilascia a La Verità un’intervista che ricostruisce i dettagli dell’operazione.
«Sono stato io a suggerire», esordisce, «in tempi non sospetti e ben lontani dall’emanazione del decreto legge che ha revocato lo stato di liquidazione della società Ponte sullo Stretto spa, di inserire la quota di Eurolink fra le concessioni che la società della famiglia Mainetti stava trattando per l’acquisizione col ramo aziendale costruzioni grandi opere della Società condotte d’acqua spa in amministrazione straordinaria. In quel momento la partecipazione corrispondeva solo a una quota di ipotetici crediti che, a seguito dell’annullamento del Ponte, sarebbero potuti derivare da un contenzioso (oltre 700 milioni, ndr) che Eurolink aveva perso in primo grado, ma rispetto al quale era (ed è tuttora) pendente l’appello contro lo Stato».
Grazie al lungo percorso professionale nella storica impresa di costruzioni, Reggiani conosce ogni particolare del passaggio del «ramo core» all’Imprecim, che nel 2021 (quando era detenuta da Cimolai) aveva presentato una prima offerta e, il 20 marzo 2023 un’altra che, autorizzata dal ministero il 29 marzo successivo, era poi sfociata nel contratto del 30 marzo 2023, divenuto efficace il successivo 20 luglio.
«Quando Imprecim venne ceduta dall’impresa Cimolai a Tiberiade holding della famiglia Mainetti, il perimetro della proposta d’acquisto», precisa Reggiani, «venne allargato per farvi rientrare, oltre alle concessioni - che avrebbero dovuto in un primo momento essere acquisite da Fincantieri tramite un’operazione non andata a buon fine - sostanzialmente tutto il personale appartenente a quel ramo d’azienda. È in quel momento, anche per bilanciare lo sforzo economico di acquisire un numero di dipendenti assai più elevato di quello che avrebbe acquisito Cimolai, che ho proposto di prendere in considerazione l’acquisizione della partecipazione nel consorzio Eurolink, che - pur essendo in quel momento null’altro che un ipotetico credito dipendente da un esito incerto di un contenzioso - ci avrebbe comunque consentito di restare affiancati a importanti operatori del settore».
Secondo Reggiani il «prezzo» pagato per la acquisizione è strettamente legato e quindi bilanciato all’aumento del personale di 234 unità (rispetto alla proposta di Cimolai), per un totale di 495, trasferito dalla società in amministrazione straordinaria a Imprecim, diventata poi Condotte 1880 spa, ora guidata da Valter Mainetti, che ha garantito la continuità aziendale e tenuto unito il personale (2.600 dipendenti diretti e indiretti). «Se calcoliamo il costo biennale del personale assunto in aggiunta a quello che prevedeva l’offerta iniziale, che la nuova società è impegnata a tenere per almeno due anni», rileva Reggiani, «l’aumento di spese che ci siamo accollati è di oltre 19,7 milioni. Inoltre la quota di Eurolink contabilizza debiti netti per 19,7 milioni. Il totale complessivo costi/debiti netti risulta così di 39,4 milioni. Se aggiungiamo al prezzo della cessione, la quota riferibile al Ponte, si arriva a un prezzo pagato per il 15% di Eurolink che supera i 40 milioni di euro».
Per Reggiani anche le date dell’operazione dimostrano la più totale buonafede: «Senza tenere in conto tutte le discussioni che continuano sul Ponte, che ancora non ha avuto l’ok necessario del Cipess», conclude il direttore generale di Condotte 1880, «si è avuta notizia che la quota di Eurolink varrebbe 21,5 milioni, secondo una perizia dello scorso giugno. In particolare la perizia attestava la congruità del prezzo totale di 105,7 milioni di euro (ai quali vanno aggiunti 240 milioni di accollo garanzie, ndr) per la vendita del “ramo core” di Condotte, che comprendeva per l’acquisizione di Eurolink la maggiorazione di 23 milioni, tra accollo del debito ed esborso in contanti».





