2023-03-15
I russi destabilizzano mezza Africa ma il vero problema è la Tunisia in crisi
Il governo punta il dito contro Wagner. Però i flussi maggiori di immigrati vengono da Tunisi, a cui serve un piano Marshall.La presenza dei mercenari russi di Wagner è tracciata per la prima volta nel Donbass. Siamo nel 2014. L’anno successivo gli uomini di Yevgeny Prigozhin, alias il cuoco di Vladimir Putin, hanno varcato il confine della Siria. Nel 2018 sono arrivati in Repubblica Centrafricana dove nell’arco di pochi mesi sono subentrati alla Legione straniera. L’anno successivo è stata la volta della Libia, del Mozambico e del Sudan. Nel 2021 Wagner è sbarcata in Mali e in poco tempo ha sostenuto un cambio di regime. Risultato: i francesi sono fuori dal Mali definitivamente, resistono in Niger. Recentemente, sempre per via dell’influenza russa, Parigi ha perso terreno anche in Burkina Faso e pure in Libia arranca. Wagner ha invece creato una base ad Al Jufra, nella zona centrale del Paese, e a Sirte. Avrebbero circa 10.000 uomini e nove Mig 29, aerei da combattimento ovviamente di costruzione russa. Negli ultimi mesi non risulterebbero agli osservatori occidentali nuovi arrivi, anche perché i mercenari, come raccontano le cronache di guerra quotidiane, sono impegnati in Ucraina. Alla luce di questa veloce e schematica mappa si comprende il modello di crescita dell’influenza russa e la capacità di destabilizzazione dell’intero Sahel. L’altro ieri due esponenti del governo, Antonio Tajani e Guido Crosetto, hanno puntato direttamente il dito contro gli uomini di Putin collegando al ruolo di Wagner l’aumento dei flussi migratori. Ieri sul tema è intervenuto Adolfo Urso titolare del Mimit, il quale due anni fa in veste di presidente del Copasir aveva coordinato una relazione comprendente anche i rischi dell’accerchiamento da Sud dell’Europa. «La Russia, considerata la principale minaccia verso Est, ha intrapreso ormai da qualche anno diverse iniziative assertive da Sud: una presenza con forze navali nel Mediterraneo», si leggeva nella relazione. «Gli interventi nella regione del Sahel hanno l’obiettivo di contrastare e porsi come alternativa alle operazioni dei Paesi occidentali in un’area delicatissima, considerata come il confine meridionale d’Europa da cui originano alcune grandi minacce quali l'enorme instabilità degli Stati saheliani, il terrorismo di stampo jihadista, l’immigrazione clandestina. Tali elementi entrano a far parte della guerra ibrida che minaccia l’Unione europea e la sua coesione». Su prove di correlazione diretta tra i miliziani moscoviti e i flussi migratori abbiamo contattato lo stesso Urso che ci ha risposto ricordando il ponte aereo tra Damasco e Minsk in Bielorussia. Tra novembre e dicembre del 2021 numerosi charter russi trasportano migliaia di clandestini dalla Siria ai confini tra la Bielorussia e la Polonia. I militari locali li spinsero a più riprese a ridosso del confine Ue con un doppio intento. Primo, quello di stressare il corridoio di Suwalki che unisce Polonia, Bielorussia con l’exclave di Kaliningrad. Il secondo obiettivo era quello di distrarre l’opinione pubblica dalla preparazione della guerra che sarebbe scoppiato il 24 febbraio del 2022. Al di là di questo episodio non ha informazioni di rapporti diretti tra uomini di Wagner e trafficanti di esseri umani. Il che riporta il tema sulla sfera geopolitica. Per il governo puntare il dito contro Putin può servire a ottenere maggiore aiuto dall’Europa. In fondo, si tratta di guerra ibrida (il nostro giornale ne scrive da quasi tre anni) e come tale potrebbe ricevere finanziamenti che replichino lo schema dell’Ucraina. Resta però il fatto che la fetta più imponente dei flussi migratori non arriva più dalla Libia, ma dalla Tunisia. Nel 2022 gli sbarchi con provenienza Tunisi sono stati circa 32.000 in aumento del 60% rispetto al 2021, ma pur sempre un bel gradino sotto ai circa 53.000 registrati dalla Libia, includendo dunque Tripolitania e Cirenaica. Dal primo gennaio al 12 marzo gli sbarchi dalla Libia si sono fermati a circa 7.000 unità, quelli dalla Tunisia sono già oltre le 12.500 unità. Uno sproposito dovuto a un problema enorme. La situazione economica e finanziaria è vicina al collasso. La guerra del grano, l’interruzione dei flussi energetici e i rialzi dei prezzi dei raffinati del petrolio hanno dato un serio colpo di grazia al Paese. Negli ultimi anni la Tunisia era per di più stata invasa da manodopera a bassissimo costo, che adesso si trova senza alcuna opportunità di lavoro. Già adesso va segnalato un cambio di nazionalità negli arrivi. Al primo posto degli sbarchi al 12 marzo c’è la Costa d’Avorio con 2.410 arrivi, mentre nello stesso periodo del 2022 c’era l’Egitto con oltre 1.500 arrivi tramite la rotta libica. Segue poi un altro Paese dell’Africa occidentale, la Guinea, con 2.380 arrivi. Mentre nello stesso periodo dell’anno scorso c’era il Bangladesh con 1.241 sbarchi. E tutto ciò sotto la spinta della crisi alimentare. Se il governo, eredità della Primavera araba e dei rapporti con la Fratellanza musulmana, dovesse implodere, allora decine di migliaia di clandestini subsahariani prenderebbero il largo verso l’Italia. L’Unione europea non sembra disposta ad avviare un piano di aiuti sia finanziari sia alimentari. Serve infatti il grano. È comprensibile la riluttanza, ma per l’Italia si tratta di una partita da giocare ad ogni costo. La distanza tra le coste tunisine e la Sicilia è così risicata che le cronache dei giornali si sono già in passato riempite di immigrati intercettati a traversare su semplici tavole da surf. Figuriamoci se dovesse scattare un esodo con i relativi interessi economici sottostanti.
Il cancelliere tedesco Friedrich Merz (Ansa)
Mario Draghi e Ursula von der Leyen (Ansa)