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2023-05-13
Rovereto è un museo a cielo aperto da scoprire con i trekking urbani
visittrentino.info
Nonostante conti poco meno di 40.000 abitanti, Rovereto è una città dall’allure internazionale, soprattutto per via dei suoi musei, la cui spinta verso il futuro controbilancia l’antichità di palazzi e castelli. Immersa nella Vallagarina (definita la «porta del Trentino»), Rovereto emana una serenità che fortunatamente occulta ciò che dovette subire durante le due guerre. Oggi, infatti, Rovereto è città della pace: la sua Campana dei caduti, fusa con il bronzo ricavato dai cannoni dei Paesi che parteciparono al primo conflitto mondiale, suona ogni sera per 100 volte, a ricordo del nostro radicato bisogno di fratellanza.
Questi sono solo alcuni dei motivi che rendono Rovereto una meta ideale per una vacanza. Il trekking urbano, un modo slow di fare turismo, è la via preferenziale per scoprire la città: storia, arte, natura e gusto entrano a far parte di un itinerario che entra in profondità nelle maglie del territorio.
L’ingresso principale alla città di Rovereto è il medesimo da secoli. Corso Bettini venne infatti percorso da due Wolfgang del passato: Amadeus Mozart e von Goethe. Seguendo i loro passi possiamo andare alla scoperta del Settecento cittadino, contrassegnato soprattutto dai palazzi che costeggiano questa via, da Palazzo Piomarta al Teatro Zandonai, il più antico del Trentino.
Una delle più interessanti modalità per visitare Rovereto è «indossare gli occhiali» del compositore austriaco e dello scrittore tedesco: la chiesa di San Marco, per esempio, fu il primo luogo in cui il compositore tenne un concerto italiano, mentre il secondo parla della città trentina nel celeberrimo Viaggio in Italia. E poi, all’improvviso, la cupola in acciaio e cristallo del Mart, il Museo di arte moderna di Rovereto e Trento, a ricordarci la connessione tra passato, presente e futuro.
È come se a Rovereto coesistessero due anime, una antica e l’altra non moderna ma futuristica. Il Mart appare ai visitatori come un’astronave in grado di trasportarli in altri luoghi e tempi: al suo interno si trovano 15.000 opere, tra cui quelle degli avanguardisti Giorgio de Chirico, Giacomo Balla e Carlo Carrà.
Dalla piazza in cui sorge il Mart (che fino al 18 giugno ospita la mostra Klimt e l’arte italiana) si prosegue (rigorosamente a piedi) per un chilometro, fino a raggiungere il quartiere di Santa Maria: si tratta di uno dei più bei percorsi storico artistici di tutto il Trentino, dato che uno spazio tutto sommato ristretto ospita un gran quantità di tesori, quali il quattrocentesco Palazzo del Ben o Palazzo Alberti Poja, che ospita lo spazio Fausto Melotti, artista del Novecento cui Rovereto diede i natali.
Anche qui convivono antico e moderno: il palazzo settecentesco si sposa alla perfezione con le opere di questo artista a tutto tondo (fu scultore, pittore, musicista e persino poeta). Disegni, ceramiche e installazioni degli anni 1930-1980 fanno parte della composita materia viva della mostra permanente a lui dedicata.
Una volta usciti, ci si può nuovamente immergere in una storia meno recente: campielli e botteghe storiche si snodano da piazza Rosmini a piazza Battisti, fino a piazza del Podestà. È soprattutto da queste parti che si può notare l’influsso veneziano sulle architetture: basta solo alzare lo sguardo.
Andando avanti ci si ritrova su via Rialto, si superano porta San Marco (dove si trova la famosa chiesa di Mozart) e via della Terra e si raggiunge la Casa d’arte futurista Depero, unico museo al mondo fondato da un futurista: sono 3.000 le opere che possono essere ammirate - a rotazione - tra i mosaici e i pannelli dipinti curati personalmente da Fortunato Depero. Sulla sinistra i bastioni del castello di Rovereto, di epoca medievale, ennesima dimostrazione della continuità storica che rende questa città una specie di hub in continuo movimento tra passato e futuro.
Il castello è anche sede del Museo storico italiano della guerra, interamente dedicato al primo conflitto mondiale: oggetti d’epoca, fotografie e uniformi sono la memoria pulsante di un’epoca triste, ma incancellabile.
E poi Palazzo Pretorio (sede del municipio) e ponte Forbato, che attraversa il torrente Leno ai piedi del castello. Infine il quartiere Santa Maria, dove il chilometro termina quasi a sorpresa: sembra di averne percorsi vari, di chilometri, perché vari sono i secoli rivissuti durante questo consigliatissimo trekking urbano.
Se non si è stanchi di tanta ricchezza, si può andare oltre: percorrendo la ciclabile sul Lungoleno si può fare un altro bagno nel futuro. Nel quartiere Borgosacco si trovano la Manifattura tabacchi, oggi incubatore di start up, integrata da Be factory, hub progettato dall’archistar giapponese Kengo Kuma.
Se lo si preferisce, si può partecipare a un trekking urbano guidato: sul sito Visit Rovereto è possibile sceglierne sei (di cui due serali). Con il Museum pass si può accedere a musei, castelli, festival e trasporti pubblici per 48 ore al prezzo di soli 22 euro. Per info e prenotazioni, è sufficiente chiamare lo 0464/430363 o scrivere una mail a info@visitrovereto.it.
Sulle tracce delle guerre mondiali

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Il Trentino Alto Adige, purtroppo, è stato diverse volte teatro di guerra. La sua posizione di confine, infatti, lo ha sempre reso un luogo ambito dagli eserciti di tutti i tempi. Gli innumerevoli castelli medievali sono lì a testimoniare gli assedi di cui la zona è stata spesso oggetto, ma c’è un periodo storico che, più di tutti, interessa il visitatore di oggi: quello tra le due guerre mondiali. Nonostante sia passato più di un secolo dalla grande guerra, i conflitti che caratterizzano l’arco di tempo che va dagli anni Dieci agli anni Quaranta del secolo scorso ci riguardano da vicino, anche per via dei racconti di nonni e bisnonni; racconti orali che, sfortunatamente, si perderanno con il passare del tempo. Esistono però altre testimonianze di cosa sia significato vivere un conflitto mondiale: i sentieri di tante regioni italiane, Trentino Alto Adige in cima, fungono da sprone per visitare zone altrimenti percepite solo come idilliache. I canti degli uccelli e la predominanza della natura coprono, con la loro bellezza, gli orrori che furono. Ma viaggiare - si sa - non può essere esclusivamente un diversivo: un viaggio è fatto anche di incontri, scoperte e contatto profondo con ciò che è e ciò che fu. A partire dai musei dedicati alla grande guerra. In Vallagarina ne esiste uno molto importante: il Museo storico italiano della guerra. Un luogo in cui osservare da vicino i conflitti vissuti dall’età moderna a oggi, con un focus sulla prima guerra mondiale. La cornice nella quale si trova - il castello di Rovereto - vale già di per sé una visita, ma non tutti sanno che il forte è anche sede di quello che è un luogo non solo di conservazione della memoria, ma anche di educazione sul tema. Al di là dell’esposizione permanente, infatti, ospita mostre temporanee ed eventi culturali. Oltre al percorso dedicato agli eserciti e alle guerre dall’Ottocento ai giorni nostri, c’è quello relativo al castello e alle armi di età moderna. Interessantissima la sezione «Artiglierie 1914-1918», situata all’interno di quello che fu un rifugio antiaereo durante la seconda guerra mondiale.Non solo musei: le tracce dei conflitti che hanno flagellato il nostro Paese vanno anche scoperte in loco. La Vallagarina, valle su cui poggia Rovereto, fu teatro particolarmente attivo durante il primo, grande conflitto mondiale. Diverse le testimonianze austroungariche dell’epoca. Si pensi a Forte Pozzacchio, fortezza militare interamente scavata nella roccia, che si trova alle pendici del Monte Pasubio. E proprio il Pasubio è un testimone particolarmente attendibile: innumerevoli le opere ingegneristiche e le trincee che vi si possono contare.Conoscere da vicino una delle parti più dolorose della storia non è in contraddizione con il desiderio di una giornata all’insegna del trekking, magari fino al Monte Testo, che raggiunge i 1.999 metri di quota, avamposto di guerra cui è stata fortunatamente restituita la sua essenza di montagna ricca di pascoli.C’è poi il monte Corno Battisti, chiamato così perché qui furono catturati (per essere condannati a morte) i patrioti Cesare Battisti e Fabio Filzi. Una volta arrivati sul Dente italiano, cresta sommitale del Pasubio, si assiste al passaggio dal verde al grigio di una natura aspra e quasi lunare. Gallerie, postazioni e trincee sono ancora lì, testimoni muti di giornate in cui il silenzio era solo una pausa tra un’esplosione e l’altra. A circa mezz’ora di auto da Rovereto si trova anche il campo trincerato di Matassone, ferito da trincee, camminamenti e postazioni per obice, tipico pezzo d’artiglieria dell’epoca. Da qui è possibile godere di una vista spettacolare sulla Vallarsa e i monti circostanti, tra cui il monte Zugna, anch’esso di grande importanza storica.Consigliamo infine di avventurarsi su una piccola porzione del Sentiero della pace, che segue la linea del fronte italoaustriaco per 604 chilometri, dal passo dello Stelvio alla Marmolada. I luoghi della grande guerra sono più numerosi di quanto si immagini: per averne contezza, basta andare sul sito Trentinograndeguerra.it.Ciò che conta, però, è organizzare per tempo la propria escursione, possibilmente facendo riferimento alle Aziende di promozione turistica e alla Sat - Società alpinisti tridentini, onde evitare di incorrere nelle classiche difficoltà di chi sottovaluta la montagna.
Nuovo allestimento per la casa futurista creata da Depero

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Visitare una città significa anche scoprirne l’arte. Rovereto è una vera e propria fucina, da questo punto di vista: qui passato, presente e futuro vivono in simbiosi. Il Mart, per esempio, è una sorta di astronave che convive con palazzi settecenteschi e forti medievali. Pochi sanno, però, che il Mart è solo uno dei tanti musei all’avanguardia della città. Meno conosciuta, per esempio, è la Casa d’arte futurista Depero, riallestita proprio recentemente e che al Mart venne affidata nel 2009, anno del centenario del Futurismo.Il poliedrico artista trentino (era pittore, designer e scenografo, tra le altre cose) è stato uno dei maggiori esponenti di questa corrente artistica, nonché coautore, insieme con Giacomo Balla, del Manifesto della ricostruzione futurista dell’universo, con cui puntava a una sempre maggiore commistione tra arte e vita quotidiana e all’abbattimento di qualunque gerarchia nelle arti. Di Fortunato Depero si hanno opere figurative e non, tutte accomunate dalla tipica esplosività delle opere futuriste e dalla loro apparente mancanza di senso. Si pensi a una delle più famose, Festa della sedia, arazzo dominato da automi che ballano in onore di una sedia.La Casa d’arte futurista venne fondata proprio dall’artista, nato a Fondo e morto a Rovereto: non solo le opere in essa custodite, ma ogni dettaglio (mosaici, pannelli dipinti e mobili) si deve proprio alla sua eclettica personalità. Peccato che quasi non ebbe modo di raccogliere i frutti del suo lavoro, considerato che morì poco dopo l’apertura. Dipinti, tarsie in panno e in buxus (materiale impiegato soprattutto durante il fascismo), giocattoli, disegni, collage, prodotti d’arte applicata: sono solo alcune delle 3.000 opere che si possono ammirare e, soprattutto, di fronte alle quali porsi domande. Perché è questo che fa il Futurismo: va oltre i cliché, spingendo coloro che si abbandonano alle forme e ai colori a chiedersi cosa ci sia dietro o dopo tanto movimento.Il nuovo allestimento, curato da Federico Zanoner e presentato il 10 maggio, prevede anche diversi lavori esposti nel 2009 in occasione della riapertura della casa-museo, altri esposti raramente e altri ancora mai, tra cui Allegoria alpestre, del 1923, coloratissima tarsia in panno che completa il ciclo degli arazzi.L’ultimo piano è spesso stato utilizzato per esposizioni temporanee. In questo momento è possibile vedere - fino al 24 settembre - Depero per il Trentino. Itinerari vissuti tra natura, arte e turismo. Lo sguardo estroso di Depero, infatti, non poteva che posarsi anche sul proprio territorio: dalla Vallagarina alla Valdarsa e gli altipiani Cimbri, dal Garda alla Valle dei Laghi, fino alla Val di Non, salendo sul Monte Altissimo, sul Pasubio e sulle cime del Brenta. Non ci sono valli, monti e paesi che l’artista non abbia visitato camminando. Questa sua natura emerge chiaramente in Diabolicus, autoritratto dominato dal blu in cui Depero si presenta con il tipico abbigliamento del camminatore, ma anche in una serie di scritti e fotografie che testimoniano il suo rapporto con la montagna.Potremmo anzi considerare Depero - senza nulla togliere all’aura di intoccabilità che avvolge ogni artista che si rispetti - un promotore ante litteram: sono alcuni lavori pubblicitari a dimostrarlo, soprattutto la progettazione di alcune insegne turistiche durante gli anni Cinquanta.Il mondo industriale e meccanico tanto caro ai Futuristi, grazie a questa esposizione temporanea, si presenta in questo caso per quello che è: una delle tante passioni dell’artista Depero, il quale non disdegnava affatto i soggetti naturali, da cui del resto era circondato.L’istituto Depero, in collaborazione con il Mart e l’Apt, ha anche realizzato una mappa degli itinerari deperiani che è possibile seguire durante il proprio trekking urbano: un modo non solo per conoscere la città e i suoi dintorni, ma anche le passioni più intime dell’artista. Il primo parte dalla casa e arriva a Noriglio, frazione di Rovereto; il secondo va da Noriglio a Serrada. Entrambi gli itinerari sono stati pensati sulla base di quanto visto e rappresentato nelle proprie opere dall’artista.Collegato a quest’esperienza, il focus sul rapporto tra Depero e il Trentino mette in luce opere e documenti provenienti dal suo lascito, di cui alcuni esposti per la prima volta in questa sede.A compendio della mostra, l’audiovisivo Depero cammina, di Chiara Orempuller.La casa-museo è aperta dal martedì alla domenica, dalle 10 alle 18. Il costo per il biglietto ammonta a 7 euro (4 il ridotto). Per informazioni e prenotazioni, chiamare il numero 0464/431813.
Botton d’oro e rari gerani argentati:i sentieri fra i fiori del Monte Baldo

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Uno dei motivi per visitare Rovereto e dintorni in questo momento è dato dalle fioriture alpine che fanno risplendere il parco naturale del Monte Baldo, tra la Vallagarina e il Lago di Garda. È vero che di fioriture l’Italia è generosa, ma è anche vero che questo parco è particolarmente apprezzato dai botanici sin dal Medioevo per via della ricchezza di «specie endemiche, rare o ad apparizione saltuaria» (espressione formulata nel 1971 dalla Società botanica italiana). Tra queste se ne trovano alcune di epoca preglaciale, che rendendo il Monte Baldo un vero e proprio trattato di botanica a cielo aperto. Nel XVI secolo, il luminare Giovan Battista Olivi, medico, farmacista e letterato sotto i Gonzaga, lo definì il «giardino d’Italia». In effetti è un vero e proprio paradiso per studiosi di specie officinali, geologi e scienziati.Nonostante la presenza di specie rare, sono quelle più comuni (tra cui l’arnica, la genziana e il botton d’oro, per esempio) a dare il meglio di sé durante il mese di giugno. Ed è specialmente il botton d’oro, chiamato così per via del suo giallo intenso, a creare tappeti di indimenticabile bellezza.L’ideale per lasciarsi ammaliare da questa fioritura è seguire il Trekking delle malghe e dei fiori del Baldo, progetto cofinanziato dall’Ue per valorizzare al meglio la montagna. I percorsi sono quattro: verde (da Festa a Bocca del Creer), azzurro (che si limita a Bocca del Creer), rosso (da S. Valentino a Polsa) e giallo (da Mori a Brentonico centro).Percorrendo la panoramica strada sterrata che conduce dal rifugio Graziani a Malga Campo, invece, è possibile ammirare la fioritura più spettacolare, nonché - se fortunati - camosci e marmotte. Si può anche proseguire fino a Malga Campei attraversando Bocca Paltrane: gigli rossi, orchidee blu e i rarissimi gerani argentati sono la fortuna di chiunque vi si imbatta.Altri fiori di rara bellezza sono il semprevivo maggiore, la dattiloriza di Fuchs, la stellaria comune e la salvia dei prati: impossibile avere un elenco completo delle piante che è possibile incontrare sul proprio cammino. Un altro possibile itinerario è quello che parte da Polsa di Brentonico e sale in direzione di Malga Susine, per arrivare alla Bocca d’Ardole e alle postazioni della grande guerra del vicino Corno della paura: qui i bucaneve la fanno da padroni allo sciogliersi dell’ultima neve.Tra i sentieri «cittadini» che vengono solitamente consigliati spicca quello «dele Teragnòle», ossia delle donne di Terragnolo che, tra Ottocento e Novecento, si recavano a Rovereto per vendere le loro mercanzie. Un altro sentiero che gira intorno alla città è quello che conduce all’eremo e al Lago di San Colombano, famoso per le sue acque turchesi. In questo caso, è sempre meglio scrivere a eremosancolombano@gmail.com per sapere in anticipo gli orari di apertura. Una vera e propria incursione nella storia più antica, se si considera che l’eremo risale al 700 d.C. Qui sostavano monaci ed eremiti e la cosa non stupisce affatto: la struttura è infatti incastonata nella parete rocciosa con uno strapiombo di 120 metri.All’interno del parco sono diversi i punti di interesse. Tra questi l’orto dei semplici e giardino botanico del Monte Baldo, il Castello di Avio e il Mulino Zeni. Altro aspetto importante: le piante aromatiche e officinali. Alcuni produttori si sono riuniti creando il marchio Baldensis, che comprende lo zafferano, l’aglio orsino del Monte Baldo, nettari e condimenti, acquistabili in loco e online. Due prodotti, in particolare, meritano attenzione: il burro e i formaggi delle malghe locali, al centro del menù degustazione di Maso Palù, a un chilometro da Brentonico.
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Oltre al Mart, che fino al 18 giugno ospiterà la mostra su Klimt, la città amata da Mozart e Goethe offre piazze, palazzi, chiese e un castello. Disponibili sei itinerari guidati, anche serali, nel centro storico. In Trentino si può unire l’amore per le passeggiate a quello per la storia: molti percorsi permettono di visitare fortezze, trincee e luoghi chiave dei conflitti del Novecento. In mostra anche alcune opere mai esposte, come «Allegoriaalpestre», che svelano il rapporto dell’artista con la natura. Le passeggiate nel parco naturale famoso per la presenza di molte piante inconsuete. Lo speciale contiene quattro articoli. Nonostante conti poco meno di 40.000 abitanti, Rovereto è una città dall’allure internazionale, soprattutto per via dei suoi musei, la cui spinta verso il futuro controbilancia l’antichità di palazzi e castelli. Immersa nella Vallagarina (definita la «porta del Trentino»), Rovereto emana una serenità che fortunatamente occulta ciò che dovette subire durante le due guerre. Oggi, infatti, Rovereto è città della pace: la sua Campana dei caduti, fusa con il bronzo ricavato dai cannoni dei Paesi che parteciparono al primo conflitto mondiale, suona ogni sera per 100 volte, a ricordo del nostro radicato bisogno di fratellanza.Questi sono solo alcuni dei motivi che rendono Rovereto una meta ideale per una vacanza. Il trekking urbano, un modo slow di fare turismo, è la via preferenziale per scoprire la città: storia, arte, natura e gusto entrano a far parte di un itinerario che entra in profondità nelle maglie del territorio.L’ingresso principale alla città di Rovereto è il medesimo da secoli. Corso Bettini venne infatti percorso da due Wolfgang del passato: Amadeus Mozart e von Goethe. Seguendo i loro passi possiamo andare alla scoperta del Settecento cittadino, contrassegnato soprattutto dai palazzi che costeggiano questa via, da Palazzo Piomarta al Teatro Zandonai, il più antico del Trentino. Una delle più interessanti modalità per visitare Rovereto è «indossare gli occhiali» del compositore austriaco e dello scrittore tedesco: la chiesa di San Marco, per esempio, fu il primo luogo in cui il compositore tenne un concerto italiano, mentre il secondo parla della città trentina nel celeberrimo Viaggio in Italia. E poi, all’improvviso, la cupola in acciaio e cristallo del Mart, il Museo di arte moderna di Rovereto e Trento, a ricordarci la connessione tra passato, presente e futuro.È come se a Rovereto coesistessero due anime, una antica e l’altra non moderna ma futuristica. Il Mart appare ai visitatori come un’astronave in grado di trasportarli in altri luoghi e tempi: al suo interno si trovano 15.000 opere, tra cui quelle degli avanguardisti Giorgio de Chirico, Giacomo Balla e Carlo Carrà. Dalla piazza in cui sorge il Mart (che fino al 18 giugno ospita la mostra Klimt e l’arte italiana) si prosegue (rigorosamente a piedi) per un chilometro, fino a raggiungere il quartiere di Santa Maria: si tratta di uno dei più bei percorsi storico artistici di tutto il Trentino, dato che uno spazio tutto sommato ristretto ospita un gran quantità di tesori, quali il quattrocentesco Palazzo del Ben o Palazzo Alberti Poja, che ospita lo spazio Fausto Melotti, artista del Novecento cui Rovereto diede i natali.Anche qui convivono antico e moderno: il palazzo settecentesco si sposa alla perfezione con le opere di questo artista a tutto tondo (fu scultore, pittore, musicista e persino poeta). Disegni, ceramiche e installazioni degli anni 1930-1980 fanno parte della composita materia viva della mostra permanente a lui dedicata.Una volta usciti, ci si può nuovamente immergere in una storia meno recente: campielli e botteghe storiche si snodano da piazza Rosmini a piazza Battisti, fino a piazza del Podestà. È soprattutto da queste parti che si può notare l’influsso veneziano sulle architetture: basta solo alzare lo sguardo.Andando avanti ci si ritrova su via Rialto, si superano porta San Marco (dove si trova la famosa chiesa di Mozart) e via della Terra e si raggiunge la Casa d’arte futurista Depero, unico museo al mondo fondato da un futurista: sono 3.000 le opere che possono essere ammirate - a rotazione - tra i mosaici e i pannelli dipinti curati personalmente da Fortunato Depero. Sulla sinistra i bastioni del castello di Rovereto, di epoca medievale, ennesima dimostrazione della continuità storica che rende questa città una specie di hub in continuo movimento tra passato e futuro.Il castello è anche sede del Museo storico italiano della guerra, interamente dedicato al primo conflitto mondiale: oggetti d’epoca, fotografie e uniformi sono la memoria pulsante di un’epoca triste, ma incancellabile.E poi Palazzo Pretorio (sede del municipio) e ponte Forbato, che attraversa il torrente Leno ai piedi del castello. Infine il quartiere Santa Maria, dove il chilometro termina quasi a sorpresa: sembra di averne percorsi vari, di chilometri, perché vari sono i secoli rivissuti durante questo consigliatissimo trekking urbano.Se non si è stanchi di tanta ricchezza, si può andare oltre: percorrendo la ciclabile sul Lungoleno si può fare un altro bagno nel futuro. Nel quartiere Borgosacco si trovano la Manifattura tabacchi, oggi incubatore di start up, integrata da Be factory, hub progettato dall’archistar giapponese Kengo Kuma.Se lo si preferisce, si può partecipare a un trekking urbano guidato: sul sito Visit Rovereto è possibile sceglierne sei (di cui due serali). Con il Museum pass si può accedere a musei, castelli, festival e trasporti pubblici per 48 ore al prezzo di soli 22 euro. Per info e prenotazioni, è sufficiente chiamare lo 0464/430363 o scrivere una mail a info@visitrovereto.it.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/rovereto-museo-a-cielo-aperto-2660097293.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="sulle-tracce-delle-guerre-mondiali" data-post-id="2660097293" data-published-at="1683996689" data-use-pagination="False"> Sulle tracce delle guerre mondiali visittrentino.info Il Trentino Alto Adige, purtroppo, è stato diverse volte teatro di guerra. La sua posizione di confine, infatti, lo ha sempre reso un luogo ambito dagli eserciti di tutti i tempi. Gli innumerevoli castelli medievali sono lì a testimoniare gli assedi di cui la zona è stata spesso oggetto, ma c’è un periodo storico che, più di tutti, interessa il visitatore di oggi: quello tra le due guerre mondiali. Nonostante sia passato più di un secolo dalla grande guerra, i conflitti che caratterizzano l’arco di tempo che va dagli anni Dieci agli anni Quaranta del secolo scorso ci riguardano da vicino, anche per via dei racconti di nonni e bisnonni; racconti orali che, sfortunatamente, si perderanno con il passare del tempo. Esistono però altre testimonianze di cosa sia significato vivere un conflitto mondiale: i sentieri di tante regioni italiane, Trentino Alto Adige in cima, fungono da sprone per visitare zone altrimenti percepite solo come idilliache. I canti degli uccelli e la predominanza della natura coprono, con la loro bellezza, gli orrori che furono. Ma viaggiare - si sa - non può essere esclusivamente un diversivo: un viaggio è fatto anche di incontri, scoperte e contatto profondo con ciò che è e ciò che fu. A partire dai musei dedicati alla grande guerra. In Vallagarina ne esiste uno molto importante: il Museo storico italiano della guerra. Un luogo in cui osservare da vicino i conflitti vissuti dall’età moderna a oggi, con un focus sulla prima guerra mondiale. La cornice nella quale si trova - il castello di Rovereto - vale già di per sé una visita, ma non tutti sanno che il forte è anche sede di quello che è un luogo non solo di conservazione della memoria, ma anche di educazione sul tema. Al di là dell’esposizione permanente, infatti, ospita mostre temporanee ed eventi culturali. Oltre al percorso dedicato agli eserciti e alle guerre dall’Ottocento ai giorni nostri, c’è quello relativo al castello e alle armi di età moderna. Interessantissima la sezione «Artiglierie 1914-1918», situata all’interno di quello che fu un rifugio antiaereo durante la seconda guerra mondiale.Non solo musei: le tracce dei conflitti che hanno flagellato il nostro Paese vanno anche scoperte in loco. La Vallagarina, valle su cui poggia Rovereto, fu teatro particolarmente attivo durante il primo, grande conflitto mondiale. Diverse le testimonianze austroungariche dell’epoca. Si pensi a Forte Pozzacchio, fortezza militare interamente scavata nella roccia, che si trova alle pendici del Monte Pasubio. E proprio il Pasubio è un testimone particolarmente attendibile: innumerevoli le opere ingegneristiche e le trincee che vi si possono contare.Conoscere da vicino una delle parti più dolorose della storia non è in contraddizione con il desiderio di una giornata all’insegna del trekking, magari fino al Monte Testo, che raggiunge i 1.999 metri di quota, avamposto di guerra cui è stata fortunatamente restituita la sua essenza di montagna ricca di pascoli.C’è poi il monte Corno Battisti, chiamato così perché qui furono catturati (per essere condannati a morte) i patrioti Cesare Battisti e Fabio Filzi. Una volta arrivati sul Dente italiano, cresta sommitale del Pasubio, si assiste al passaggio dal verde al grigio di una natura aspra e quasi lunare. Gallerie, postazioni e trincee sono ancora lì, testimoni muti di giornate in cui il silenzio era solo una pausa tra un’esplosione e l’altra. A circa mezz’ora di auto da Rovereto si trova anche il campo trincerato di Matassone, ferito da trincee, camminamenti e postazioni per obice, tipico pezzo d’artiglieria dell’epoca. Da qui è possibile godere di una vista spettacolare sulla Vallarsa e i monti circostanti, tra cui il monte Zugna, anch’esso di grande importanza storica.Consigliamo infine di avventurarsi su una piccola porzione del Sentiero della pace, che segue la linea del fronte italoaustriaco per 604 chilometri, dal passo dello Stelvio alla Marmolada. I luoghi della grande guerra sono più numerosi di quanto si immagini: per averne contezza, basta andare sul sito Trentinograndeguerra.it.Ciò che conta, però, è organizzare per tempo la propria escursione, possibilmente facendo riferimento alle Aziende di promozione turistica e alla Sat - Società alpinisti tridentini, onde evitare di incorrere nelle classiche difficoltà di chi sottovaluta la montagna. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/rovereto-museo-a-cielo-aperto-2660097293.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="nuovo-allestimento-per-la-casa-futurista-creata-da-depero" data-post-id="2660097293" data-published-at="1683996689" data-use-pagination="False"> Nuovo allestimento per la casa futurista creata da Depero visittrentino.info Visitare una città significa anche scoprirne l’arte. Rovereto è una vera e propria fucina, da questo punto di vista: qui passato, presente e futuro vivono in simbiosi. Il Mart, per esempio, è una sorta di astronave che convive con palazzi settecenteschi e forti medievali. Pochi sanno, però, che il Mart è solo uno dei tanti musei all’avanguardia della città. Meno conosciuta, per esempio, è la Casa d’arte futurista Depero, riallestita proprio recentemente e che al Mart venne affidata nel 2009, anno del centenario del Futurismo.Il poliedrico artista trentino (era pittore, designer e scenografo, tra le altre cose) è stato uno dei maggiori esponenti di questa corrente artistica, nonché coautore, insieme con Giacomo Balla, del Manifesto della ricostruzione futurista dell’universo, con cui puntava a una sempre maggiore commistione tra arte e vita quotidiana e all’abbattimento di qualunque gerarchia nelle arti. Di Fortunato Depero si hanno opere figurative e non, tutte accomunate dalla tipica esplosività delle opere futuriste e dalla loro apparente mancanza di senso. Si pensi a una delle più famose, Festa della sedia, arazzo dominato da automi che ballano in onore di una sedia.La Casa d’arte futurista venne fondata proprio dall’artista, nato a Fondo e morto a Rovereto: non solo le opere in essa custodite, ma ogni dettaglio (mosaici, pannelli dipinti e mobili) si deve proprio alla sua eclettica personalità. Peccato che quasi non ebbe modo di raccogliere i frutti del suo lavoro, considerato che morì poco dopo l’apertura. Dipinti, tarsie in panno e in buxus (materiale impiegato soprattutto durante il fascismo), giocattoli, disegni, collage, prodotti d’arte applicata: sono solo alcune delle 3.000 opere che si possono ammirare e, soprattutto, di fronte alle quali porsi domande. Perché è questo che fa il Futurismo: va oltre i cliché, spingendo coloro che si abbandonano alle forme e ai colori a chiedersi cosa ci sia dietro o dopo tanto movimento.Il nuovo allestimento, curato da Federico Zanoner e presentato il 10 maggio, prevede anche diversi lavori esposti nel 2009 in occasione della riapertura della casa-museo, altri esposti raramente e altri ancora mai, tra cui Allegoria alpestre, del 1923, coloratissima tarsia in panno che completa il ciclo degli arazzi.L’ultimo piano è spesso stato utilizzato per esposizioni temporanee. In questo momento è possibile vedere - fino al 24 settembre - Depero per il Trentino. Itinerari vissuti tra natura, arte e turismo. Lo sguardo estroso di Depero, infatti, non poteva che posarsi anche sul proprio territorio: dalla Vallagarina alla Valdarsa e gli altipiani Cimbri, dal Garda alla Valle dei Laghi, fino alla Val di Non, salendo sul Monte Altissimo, sul Pasubio e sulle cime del Brenta. Non ci sono valli, monti e paesi che l’artista non abbia visitato camminando. Questa sua natura emerge chiaramente in Diabolicus, autoritratto dominato dal blu in cui Depero si presenta con il tipico abbigliamento del camminatore, ma anche in una serie di scritti e fotografie che testimoniano il suo rapporto con la montagna.Potremmo anzi considerare Depero - senza nulla togliere all’aura di intoccabilità che avvolge ogni artista che si rispetti - un promotore ante litteram: sono alcuni lavori pubblicitari a dimostrarlo, soprattutto la progettazione di alcune insegne turistiche durante gli anni Cinquanta.Il mondo industriale e meccanico tanto caro ai Futuristi, grazie a questa esposizione temporanea, si presenta in questo caso per quello che è: una delle tante passioni dell’artista Depero, il quale non disdegnava affatto i soggetti naturali, da cui del resto era circondato.L’istituto Depero, in collaborazione con il Mart e l’Apt, ha anche realizzato una mappa degli itinerari deperiani che è possibile seguire durante il proprio trekking urbano: un modo non solo per conoscere la città e i suoi dintorni, ma anche le passioni più intime dell’artista. Il primo parte dalla casa e arriva a Noriglio, frazione di Rovereto; il secondo va da Noriglio a Serrada. Entrambi gli itinerari sono stati pensati sulla base di quanto visto e rappresentato nelle proprie opere dall’artista.Collegato a quest’esperienza, il focus sul rapporto tra Depero e il Trentino mette in luce opere e documenti provenienti dal suo lascito, di cui alcuni esposti per la prima volta in questa sede.A compendio della mostra, l’audiovisivo Depero cammina, di Chiara Orempuller.La casa-museo è aperta dal martedì alla domenica, dalle 10 alle 18. Il costo per il biglietto ammonta a 7 euro (4 il ridotto). Per informazioni e prenotazioni, chiamare il numero 0464/431813. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem3" data-id="3" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/rovereto-museo-a-cielo-aperto-2660097293.html?rebelltitem=3#rebelltitem3" data-basename="botton-doro-e-rari-gerani-argentati-i-sentieri-fra-i-fiori-del-monte-baldo" data-post-id="2660097293" data-published-at="1683996689" data-use-pagination="False"> Botton d’oro e rari gerani argentati:i sentieri fra i fiori del Monte Baldo visittrentino.info Uno dei motivi per visitare Rovereto e dintorni in questo momento è dato dalle fioriture alpine che fanno risplendere il parco naturale del Monte Baldo, tra la Vallagarina e il Lago di Garda. È vero che di fioriture l’Italia è generosa, ma è anche vero che questo parco è particolarmente apprezzato dai botanici sin dal Medioevo per via della ricchezza di «specie endemiche, rare o ad apparizione saltuaria» (espressione formulata nel 1971 dalla Società botanica italiana). Tra queste se ne trovano alcune di epoca preglaciale, che rendendo il Monte Baldo un vero e proprio trattato di botanica a cielo aperto. Nel XVI secolo, il luminare Giovan Battista Olivi, medico, farmacista e letterato sotto i Gonzaga, lo definì il «giardino d’Italia». In effetti è un vero e proprio paradiso per studiosi di specie officinali, geologi e scienziati.Nonostante la presenza di specie rare, sono quelle più comuni (tra cui l’arnica, la genziana e il botton d’oro, per esempio) a dare il meglio di sé durante il mese di giugno. Ed è specialmente il botton d’oro, chiamato così per via del suo giallo intenso, a creare tappeti di indimenticabile bellezza.L’ideale per lasciarsi ammaliare da questa fioritura è seguire il Trekking delle malghe e dei fiori del Baldo, progetto cofinanziato dall’Ue per valorizzare al meglio la montagna. I percorsi sono quattro: verde (da Festa a Bocca del Creer), azzurro (che si limita a Bocca del Creer), rosso (da S. Valentino a Polsa) e giallo (da Mori a Brentonico centro).Percorrendo la panoramica strada sterrata che conduce dal rifugio Graziani a Malga Campo, invece, è possibile ammirare la fioritura più spettacolare, nonché - se fortunati - camosci e marmotte. Si può anche proseguire fino a Malga Campei attraversando Bocca Paltrane: gigli rossi, orchidee blu e i rarissimi gerani argentati sono la fortuna di chiunque vi si imbatta.Altri fiori di rara bellezza sono il semprevivo maggiore, la dattiloriza di Fuchs, la stellaria comune e la salvia dei prati: impossibile avere un elenco completo delle piante che è possibile incontrare sul proprio cammino. Un altro possibile itinerario è quello che parte da Polsa di Brentonico e sale in direzione di Malga Susine, per arrivare alla Bocca d’Ardole e alle postazioni della grande guerra del vicino Corno della paura: qui i bucaneve la fanno da padroni allo sciogliersi dell’ultima neve.Tra i sentieri «cittadini» che vengono solitamente consigliati spicca quello «dele Teragnòle», ossia delle donne di Terragnolo che, tra Ottocento e Novecento, si recavano a Rovereto per vendere le loro mercanzie. Un altro sentiero che gira intorno alla città è quello che conduce all’eremo e al Lago di San Colombano, famoso per le sue acque turchesi. In questo caso, è sempre meglio scrivere a eremosancolombano@gmail.com per sapere in anticipo gli orari di apertura. Una vera e propria incursione nella storia più antica, se si considera che l’eremo risale al 700 d.C. Qui sostavano monaci ed eremiti e la cosa non stupisce affatto: la struttura è infatti incastonata nella parete rocciosa con uno strapiombo di 120 metri.All’interno del parco sono diversi i punti di interesse. Tra questi l’orto dei semplici e giardino botanico del Monte Baldo, il Castello di Avio e il Mulino Zeni. Altro aspetto importante: le piante aromatiche e officinali. Alcuni produttori si sono riuniti creando il marchio Baldensis, che comprende lo zafferano, l’aglio orsino del Monte Baldo, nettari e condimenti, acquistabili in loco e online. Due prodotti, in particolare, meritano attenzione: il burro e i formaggi delle malghe locali, al centro del menù degustazione di Maso Palù, a un chilometro da Brentonico.
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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