L’intervista rilasciata a questo giornale da Piero Amara ha fatto rumore. Le parole dell’ex legale sulla conduzione delle indagini nell’inchiesta per corruzione (che corruzione non era) nei confronti di Luca Palamara hanno innescato un comunicato dei legali dell’ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati. Gli avvocati, Benedetto Buratti e Roberto Rampioni, dopo avere letto La Verità, hanno annunciato un esposto «per accertare la correttezza dell’operato del pubblico ministero sulla vicenda Palamara».
A scatenare la reazione è stata questa risposta di Amara al nostro giornale: «Durante l’indagine perugina nei confronti miei e di Luca Palamara, che io non ho mai accusato di corruzione anche quando sarebbe stato utile e agevole farlo, un pubblico ministero, scherzosamente, si mise in ginocchio davanti a me, nel senso letterale del termine e mi disse: avvocato mi faccia fare l’indagine della vita su Palamara (l’accusa era che il mio socio Giuseppe Calafiore gli avrebbe dato 40.000 euro per una nomina a procuratore). Io ho continuato a dire la verità e cioè che non avevo corrotto Palamara…».
Amara ha anche fatto il nome del presunto pm pieghevole: Mario Formisano. Che, siamo certi, smentirà tutto.
Scrivono gli avvocati: «Tali dichiarazioni, laddove corrispondenti al vero, integrerebbero non solo fattispecie di reato, ma gravi illeciti disciplinari in relazione ai quali si impone il doveroso accertamento del reale accadimento dei fatti da parte delle competenti autorità. Peraltro sulla vicenda in questione già la Procura generale presso la Corte d’appello di Perugia ha emesso un avviso di conclusione delle indagini preliminari che sconfessa l’iniziale impostazione accusatoria dei pubblici ministeri nei confronti del dottor Palamara».
In effetti la Procura generale di Perugia ha messo sotto accusa Amara, sospettato di avere detto falsità sull’ex consigliere del Csm, e ha criticato aspramente la conduzione delle indagini, arrivando a ipotizzare che «la calunnia nei confronti di Palamara è stata determinata dalla volontà dell’indagato di sviare l’interesse degli inquirenti» da se stesso e dalla cosiddetta Loggia Ungheria, offrendo in cambio lo «scalpo» (testuale) di Palamara.
Ma soprattutto l’ex avvocato avrebbe cercato di assecondare chi lo aveva messo sotto inchiesta.
Per il procuratore generale di Perugia Sergio Sottani e per il sostituto Paolo Barlucchi, Amara, nel rendere dichiarazioni, si sarebbe «sforzato di compiacere» gli inquirenti, «all’epoca concentrati sul caso Palamara». A giudizio dei due magistrati, l’indagato «ha inteso difendersi compiacendo chi lo interrogava, la Procura di Perugia, col concentrare le proprie progressive e crescenti rivelazioni su ciò che riteneva fosse più gradito, ovverosia nei confronti di Palamara».
I legali dell’ex ras delle nomine al Csm, nel loro comunicato, puntano il faro anche su un’altra storia dai contorni non ancora del tutto chiariti e preannunciano la volontà di rivolgersi alla magistratura: «Al fine di non lasciare nessuna ombra sull’operato di chi ha svolto indagini nei confronti del dottor Palamara, anche dopo essere venuti a conoscenza delle conversazioni intercorse tra i pubblici ministeri di Perugia e il cancelliere Raffaele Guadagno, è stato depositato in data odierna un esposto denuncia alle competenti autorità per valutare la sussistenza di responsabilità».
Dalla lettura delle chat di Guadagno (che ha patteggiato una pena per accesso abusivo alle banche dati del Tribunale), rivelate in anteprima da questo giornale, emerge la sinergia che l’ex procuratore aggiunto di Firenze Luca Turco e i magistrati della Procura di Perugia Paolo Abbritti (oggi distaccato al ministero della Giustizia), Gemma Miliani e lo stesso Formisano avrebbero messo in campo per puntellare l’inchiesta avviata proprio da Turco contro l’allora procuratore aggiunto di Perugia Antonella Duchini. Un procedimento che viene accompagnato da un’intensa campagna mediatica, organizzata dagli stessi pm. La toga nel mirino e il compagno, il maresciallo dei Carabinieri Orazio Gisabella, erano accusati di corruzione per presunte richieste di denaro fatte ad alcuni indagati (entrambi sono stati poi assolti da tale contestazione). A un certo punto Guadagno deve essere sentito come persona informata dei fatti da Turco nel fascicolo sulla Duchini e gli inquirenti perugini preparano nei dettagli l’escussione dell’impiegato. La Miliani, il 27 maggio 2018, invita il «caro» cancelliere a «restare uniti». Guadagno, racconta che la Duchini gli avrebbe detto che, a proposito dell’indagine sul suo conto, attivata dai colleghi di Perugia, «qualcuno la pagherà». Guadagno commenta che è «quasi un messaggio mafioso». La Miliani lo corregge: «Senza quasi». E gli suggerisce: «Devi dirlo al procuratore e dirlo a Firenze, magari fuori verbale». Ma Guadagno è, comunque, preoccupato e scrive a Formisano: «Spero tu abbia parlato con Paolo (Abbritti, ndr) che ti ha detto della mia convocazione a Firenze per venerdì... ma ti chiederei di fare una cosa per me... avvertire Turco della mia posizione personale... per parlare devo stare tranquillo e sereno, altrimenti mi blocco, non riesco a parlare […]. Anche perché penso che sia una cosa buona fare due parole anche fuori verbale...». Formisano lo rassicura: «Lo farò, stai tranquillo».
L’idea del «fuori verbale» suggerita dalla Miliani deve avere avuto successo.
Dopo l’atto istruttorio di Firenze, il 2 giugno 2018, Guadagno scrive a un’amica: «Tutto bene ieri: 4 ore di parlato e 20 righe di testo scritto. Sono stati molto carini con me […] l’aggiunto mi ha fatto i complimenti: “Come fa a ricordare tutte queste cose?”».
La chat tra Guadagno e Formisano fotografa la ricerca spasmodica e lo scambio frenetico di atti relativi alla Duchini oltre che il collaudato utilizzo di sponde mediatiche per incrinare l’immagine della signora. Il 12 luglio 2018 Guadagno scrive a Formisano: «Ciao Mario sono stato da Fausto (l’ex procuratore generale Cardella, ndr), ho letto sia l’incolpazione (della Duchini, ndr) che il provvedimento della sospensione cautelare richiesta dal Consiglio, quindi due atti distinti, oltre quello di Firenze». A volere credere al contenuto di questi messaggi, il pg avrebbe condiviso con il cancelliere gli atti dei procedimenti disciplinari promossi contro la Duchini.
A un certo punto inizia a girare un’ordinanza che riguarda la donna, forse il rigetto di una richiesta di custodia cautelare. Formisano avverte: «Caro Raffaele, meglio non farla circolare. Il procuratore generale mi ha detto di non darla a nessuno e di vigilare affinché la notizia non esca. Un abbraccio».
Guadagno marca fisicamente la Duchini e aggiorna Formisano sugli spostamenti della donna: «È appena arrivata in Procura» scrive. Oppure: «È andata via... ieri ha consegnato tutti i fascicoli che aveva in stanza in segreteria... oggi è stata sempre nella sua stanza».
La Duchini viene trasferita ad Ancona dal Csm e Formisano si fa promotore della campagna mediatica ai danni della collega, scrivendo a Guadagno: «Purtroppo è bene che il provvedimento disciplinare sia divulgato sulla stampa. Potrebbe incidere sulle indagini». Investigazioni che, però, sta conducendo la Procura di un’altra città.
Guadagno aggiorna il magistrato: «Penso che Ansa di Roma lo abbia avuto. Fonte Csm». Formisano replica: «Così anche i nostri giornali scriveranno qualcosa». Il cancelliere sembra raccogliere l’invito: «Penso che sarà così… ti aggiorno». Formisano ringrazia.
Lo zelante cancelliere, il giorno successivo, alle 9 del mattino, invia a Formisano alcuni articoli scritti dai giornali locali sul trasferimento della Duchini.
Alla campagna mediatica non partecipa, però, solo il pm Formisano, ma pure il collega Abbritti.
E, a giudizio di quest’ultimo, il regista dell’operazione andrebbe cercato, però, a Firenze. L’11 luglio Guadagno scrive ad Abbritti: «È appena passata da Roma (un’agenzia di stampa, ndr)… la giri tu a Mario. Domani esce anche qui… mi dicono». Il magistrato ringrazia e osserva: «Mi ero stupito del silenzio assoluto». Guadagno chiosa: «Furbi i fiorentini». Il mattino del 3 agosto 2018 Abbritti, che è in ferie, comunica a Guadagno: «Depositato provvedimento Csm. Confermato trasferimento d’ufficio e cambio di funzioni». La sera, lo stesso pm chiede al cancelliere una previsione: «Secondo te uscirà sulla stampa?». Guadagno replica con l’emoticon della furbizia e un «non saprei». Abbritti commenta soddisfatto il fatto che il cancelliere non sia ancora in ferie: «Almeno tu sei lì sul pezzo! Bene!». E domanda: «Ma i giornalisti hanno avuto l’ordinanza del gip?». Guadagno ha lanciato i suoi ami: «Ho chiesto... attendo risposte... stamattina mi diranno». Abbritti, soddisfatto, ribatte con tre emoticon di approvazione, aggiungendo: «Turco ha detto a Mario che sarebbe necessario che uscisse la notizia… per far aprire l'ambiente». Una frase che indica la vera urgenza di questo Paese: non la separazione delle carriere tra giudici e pm, ma tra pm e certi giornalisti, i quali vengono usati dalle Procure per «far aprire l’ambiente» e spianare la strada alle inchieste, indirizzando l’opinione pubblica. Una strategia che, per la prima volta, un sostituto procuratore mette nero su bianco. Guadagno mostra il pollicione e scrive: «Esatto».
Dopo questa campagna mediatica e un lungo processo, Turco, poco prima di andare in pensione, ha chiesto una condanna a 12 anni di reclusione per la Duchini e a 13 per Gisabella.
Alla fine, i giudici, al contrario dei cronisti, non lo hanno ascoltato e, nonostante la campagna mediatica, il 10 settembre 2025, hanno assolto la Duchini e tutti gli altri imputati dal reato di corruzione e peculato dichiarando il non luogo a procedere. L’accusa di rivelazione di segreto è stata, invece, prescritta, mentre l’abuso d’ufficio è stato abrogato. Le chat di pm, cancellieri e giornalisti avranno chiuso per lutto.







