2019-08-03
Rischiamo davvero che sia la Consulta a legalizzare in Italia il suicidio assistito
La proposta della Lega per aggirare l'ultimatum della Corte non sarà discussa. Ma il Parlamento non può farsi scavalcare.Fin dal principio ci siamo resi conto che la strada per trovare un'azione politica condivisa tra partiti molto distanti sui temi eticamente sensibili era terribilmente in salita. E, purtroppo, così è stato. Si pensava che mettere a tema una legge sull'eutanasia, considerata la ripartizione di forze nell'attuale Parlamento, poteva significare fare un grande regalo a chi vuole dare all'Italia la vergognosa medaglia del quarto Paese in Europa che legalizza la morte per via giuridica (Francia, Spagna, Austria, la stessa Inghilterra - Paesi laicissimi - non prevedono l'eutanasia attiva). D'altro canto, pende come una spada di Damocle l'ordinanza 207/18 della Corte costituzionale, in cui si invita il Parlamento a prendere posizione sull'articolo 580 del Codice penale, quello che condanna e sanziona l'istigazione e l'aiuto al suicidio, ponendo una data fissa (quasi un ultimatum) al 24 settembre prossimo. Dentro questo «combinato disposto» (terminologia che non amo ma che ha il pregio di essere sintetica) si è cercato di identificare quanto era assolutamente indispensabile risolvere, cioè il nodo del 580, con relativa risposta del Parlamento, in modo che non sia la Corte a decidere. Proprio da queste considerazioni nasce una proposta di legge - primi firmatari due deputati della Lega, Alessandro Pagano e Roberto Turri - che rimodula il contenuto dell'articolo 580, confermando che si tratta di un reato, che non può essere depenalizzato né tanto meno legalizzato, che ci si può confrontare su una revisione dell'entità della pena, anche facendo una distinzione fra «istigazione» e «aiuto», soprattutto nell'ottica di possibili legami di coinvolgimento parentale/affettivo fra chi chiede il suicidio e chi vorrebbe aiutarlo. Assicurando, però, che prima di ogni drastica decisione verso la morte, ci sia l'obbligatorietà del passaggio alle cure palliative, secondo lo spirito e la lettera della legge 38/2010. Purtroppo, nonostante un grande lavoro sommerso ad ogni livello, un accordo di maggioranza che garantisse un passaggio senza incognite in Parlamento, ricercato dentro il cosiddetto «gruppo ristretto» delle due Commissioni competenti della Camera, non c'è stato e, quindi, in settembre alla riapertura del Parlamento il tema non è stato calendarizzato alla Camera. Questa strategia «di minima» aveva peraltro una fondata ragion d'essere, in quanto restituiva al Parlamento il ruolo che gli spetta, e cioè fare le leggi, soprattutto su un tema eticamente delicatissimo, che riguarda tutto il popolo italiano, contrassegnato da sensibilità assai diverse, e che, quindi, deve necessariamente essere affrontato dai rappresentanti eletti del popolo stesso.Ma questa strategia non è stata capita, è stato impugnato l'argomento che non essendo prevista nel «contratto di governo», non se ne doveva parlare. Così si va a settembre e le probabilità che sia la Corte costituzionale a decidere sono molto concrete, come concreta è la possibilità che decida addirittura per l'incostituzionalità dell'articolo 580! Dunque, quella che poteva apparire una vittoria pro life (il Parlamento perlomeno non prende in considerazione una legge apertamente eutanasica), si può trasformare in un pericoloso autogol. Ma non tutto è da considerarsi perduto. Mai arrendersi prima del tempo. C'è innanzitutto l'appuntamento dell'11 settembre a Roma, presso il centro congressi della Conferenza episcopale italiana, organizzato e sostenuto da decine di associazioni pro life, cattoliche e non, che affronterà il tema «Eutanasia e suicidio assistito» e che farà sentire la sua voce. C'è un'interpellanza al Senato depositata dalla senatrice Paola Binetti, nella prospettiva di dare al Senato uno scossone: non è ammissibile che le due Camere elette vengano completamente scavalcate - il Senato neppure interpellato «di striscio», come si dice - su tematiche etiche e antropologiche di così grande rilevanza, che necessitano di ampi e articolati confronti e tempi lunghi. La «sovranità limitata a scadenza» non fa parte dell'ordinamento della nostra Repubblica, e fare in fretta significa molto spesso fare male. Le massime cariche dello Stato facciano sentire la loro voce, anche in difesa dell'onore che va dato e riconosciuto al Parlamento. C'è anche la grande determinazione, buona volontà e coraggio di tanti parlamentari, presenti in quasi tutti i partiti anche se con numeri molto diversi da formazione a formazione, che non si rassegnano a questa insipienza. E c'è, soprattutto, un popolo, il popolo della vita, che farà pressing su partiti e governo perché si trovi una soluzione.Una soluzione che garantisca che suicidio e morte provocata non diventino icone di una società che ha perso la bussola, ed è diventata talmente sciocca e stolta da non comprendere che sta distruggendo se stessa, arrivando a definire «diritto» la morte, che di tutti i diritti è proprio la negazione e la pietra tombale.