2021-01-26
Ripartono le consegne di Pfizer. Astrazeneca arranca e litiga con l’Ue
L'ok al rimedio di Oxford-Pomezia entro il 29, l'Ema valuta anche Sputnik V. Resa di Merck e istituto Pasteur Moderna: «Preparato efficace con le varianti inglese e sudafricana». E a Varese compare quella brasiliana.Paola De Micheli: «Partita la causa contro il colosso americano». L'Europa però frena, conferma il piano d'immunizzazioni e sbatte tre Regioni italiane in zona «rosso scuro»Lo speciale contiene due articoli.Per una volta, qualche buona notizia: Moderna annuncia che il suo vaccino è efficace almeno contro le varianti inglese e sudafricana. In quest'ultimo caso, la protezione però si riduce e, dunque, l'azienda americana sta sviluppando una nuova versione del farmaco che sia in grado di contrastarla meglio. Tra le opzioni sul tavolo, c'è quella di testare l'effetto di un terzo richiamo. Questa settimana, Moderna consegnerà al nostro Paese 66.000 dosi, attese già per oggi. Entro febbraio, dovrebbe quindi incrementare gli invii, arrivando ad assicurarci fino a 600.000 dosi al mese.A queste novità incoraggianti, nondimeno, fanno da contraltare altri campanelli d'allarme. Ancora non ci sono evidenze, infatti, riguardo l'impatto sugli immunizzanti dell'insidiosa variante brasiliana, che ha seminato il panico a Manaus e che, proprio ieri, è stata individuata per la prima volta in Italia, a Varese, su un paziente appena rientrato dal Paese sudamericano, dopo uno scalo a Madrid. Ed è già in affanno la fornitura dei rimedi di Astrazeneca, che da noi, stando alle indicazioni fornite alle Regioni dal commissario Domenico Arcuri, non dovrebbero arrivare prima del 15 febbraio. Tra l'altro, sulle consegne, lui e Giuseppe Conte hanno alimentato ulteriore caos. Il premier, su Facebook, imbeccato dal commissario, ha parlato di una riduzione del 60% delle dosi: «Significherebbe che in Italia verrebbero consegnate 3,4 milioni di dosi anziché 8 milioni». Peccato che quelle previste dagli accordi non fossero 8, bensì 16. Da dove nasce la discrepanza? C'è stato già un taglio di cui nessuno ci ha informati?Ieri, Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, ha chiamato l'ad della società, Pascal Claude Roland Soriot, sottolineando che l'Ue si attende «una consegna nei tempi previsti». Il commissario alla Salute, Stella Kyriakides, ha però parlato di risposte «insoddisfacenti» dalla casa farmaceutica: «Vogliamo sapere quante dosi sono state prodotte, dove e a chi sono state consegnate. L'Ue è pronta a compiere ogni azione per proteggere i cittadini». Bruxelles sta predisponendo un registro per tracciare i trasferimenti dei vaccini fuori dall'Ue e per verificare se le dosi destinate al Vecchio continente siano, invece, dirottate altrove.Entro il 29 gennaio, il preparato di Astrazeneca, ideato dal tandem Oxford-Irbm di Pomezia, dovrebbe ricevere l'approvazione dall'Ema. E sarebbe «alle porte», secondo Arcuri, anche l'ok al medicinale di Johnson&Johnson. Nel mentre, si sono intensificati i contatti per portare sul mercato europeo il vaccino russo, Sputnik V, cui la scorsa settimana si è sottoposto il nostro ambasciatore a Mosca, Pasquale Terracciano. Un'altra strada al vaglio è una collaborazione proprio tra Astrazeneca e Gamaleya, la ditta produttrice di Sputnik V, per approntare in tandem un farmaco. A fare da apripista del dialogo con i luminari di Vladimir Putin, è stata la Germania, che ora preme affinché il rimedio russo possa essere presto autorizzato dall'Ema. Il vero flop, nel campo della ricerca, lo stanno registrando i francesi. Dopo gli intoppi che hanno costretto Sanofi a rinviare a fine 2021 la produzione del farmaco, adesso è l'istituto Pasteur, il più importante organismo di ricerca del Paese, ad aver bloccato lo sviluppo del progetto che stava portando avanti con la casa farmaceutica Merck: «Le risposte immunitarie indotte», hanno spiegato gli scienziati, «si sono rivelate inferiori a quelle osservate nelle persone guarite da un'infezione naturale e a quelle osservate con i vaccini già autorizzati». Dopo le polemiche, in Italia sono riprese le consegne delle dosi di Pfizer. Ieri ne sono state inviate circa 31.500, entro oggi dovrebbero giungerne a destinazione circa 406.000, per domani ne sono previste altre 17.000. Già domenica, il viceministro della Sanità, Pierpaolo Sileri, segnalava che il problema dei ritardi risultava «superato, perché hanno detto che consegneranno già nella prossima settimana [questa, ndr] il numero di dosi attese e poi verrà fatto il recupero su quelle mancanti». Lo aveva ribadito, a Sky Tg24, la stessa Pfizer, spiegando che la riduzione delle consegne aveva riguardato le dosi e non le fiale. Poiché le penali, stando ai contratti segreti rivelati dal Corriere della Sera, possono scattare solo su base di inadempienze trimestrali, se ne dovrebbe dedurre che la causa messa in piedi da Arcuri e Giuseppe Conte è destituita di fondamento giuridico. Fatto sta che il piano per sottoporre al trattamento gli over 80 è già slittato di quattro settimane. Il commissario, Speedy Gonzales Arcuri, si abbandona all'ottimismo della volontà: «Non perdo la speranza che l'immunità di gregge si possa raggiungere in autunno». Su Radio 24, Sileri aveva anche affrontato lo scandalo dei quasi 400.000 vaccinati, che non farebbero parte del personale sanitario. «Voglio sperare che non siano i cosiddetti “imbucati", che purtroppo abbiamo visto ampiamente in servizi televisivi e sui giornali. Questo sarebbe estremamente grave. E laddove sia accaduto, intervengano le autorità giudiziarie». A chiusura del giornale, il totale delle somministrazioni di vaccini, in Italia, ammontava a 1.416.684. Ma a ricevere prima e seconda dose di Pfizer, erano stati solo 132.739 italiani. Di questo passo, arriveranno prima le auto volanti che l'immunità di gregge.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/ripartono-le-consegne-di-pfizer-astrazeneca-arranca-e-litiga-con-lue-2650132657.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="bruxelles-smonta-il-teatrino-di-roma" data-post-id="2650132657" data-published-at="1611606671" data-use-pagination="False"> Bruxelles smonta il teatrino di Roma È ufficiale: l'Italia muove causa a Pfizer e Biontech per i ritardi nella fornitura dei vaccini. Nel corso di un'intervista radiofonica, il ministro delle Infrastrutture e dei trasporti, Paola De Micheli, ha annunciato che «gli uffici del commissario ci hanno confermato che nella giornata odierna (ieri per chi legge, ndr) l'Avvocatura dello Stato farà un esposto contro Pfizer, perché è del tutto evidente che il piano vaccinale che avevamo programmato insieme all'Ue va rispettato». Una strategia che si muove su un doppio binario: quello contrattuale, attraverso una diffida per inadempimento, e quello sanitario, per il tramite di un esposto per danno alla salute. Sono passati appena tre mesi da quando il premier Giuseppe Conte profetizzava che saremmo stati «inondati da centinaia di milioni di dosi di vaccini», e invece oggi siamo già alla canna del gas. Non solo non si vedono le dosi, ma scarseggiano anche le siringhe. E le «primule», i centri progettati dall'archistar Stefano Boeri, rischiano di appassire ancora prima di spuntare. Come raccontato dalla Verità qualche giorno fa, infatti, il bando per i gazebo nei quali si dovrebbe svolgere la vaccinazione di massa prevede inizialmente solo 21 strutture, anziché le 1.500 sbandierate dal commissario Domenico Arcuri. Ma torniamo al ritardo nelle consegne del vaccino da parte dalle case farmaceutiche, definito «inaccettabile» in un lungo sfogo pubblicato sabato su Facebook da Giuseppi. «Ricorreremo a tutti gli strumenti e a tutte le iniziative legali», così il premier sui social, «i rallentamenti delle consegne dei vaccini costituiscono gravi violazioni contrattuali, che producono danni enormi all'Italia e agli altri Paesi europei, con ricadute dirette sulla vita e la salute dei cittadini e sul nostro tessuto economico-sociale già fortemente provato da un anno di pandemia». Nessun sostegno concreto risulta pervenuto però, almeno finora, dall'Unione europea. Più che offrire una sponda, Bruxelles sembra dire al nostro governo: «Buttati che è morbido». Perché il premier Conte sarà anche avvocato, ma forse non ha calcolato i rischi di un'azione legale nei confronti di Pfizer, Biontech e Astrazeneca. Oltre a protrarsi per lunghi mesi, forse anni, la causa tecnicamente rischia di provocare un blocco totale nella fornitura dei vaccini. «Potrebbe, sì», ha spiegato ieri a Repubblica il professore di Diritto alla Sapienza e avvocato amministrativista, Dario De Blasi, «le multinazionali sono molto potenti». Ragion per cui, la linea scelta dalla Commissione europea sembra essere quella della prudenza. È vero che il presidente Ursula von der Leyen ha contattato Astrazeneca, e le risposte fornite ieri in un incontro con l'azienda non hanno convinto pienamente Bruxelles. Ma il commissario alla Salute Stella Kyriakides si è limitata ad affermare che «l'Ue è pronta a compiere ogni azione per proteggere i cittadini». Che dire? Un po' vaga come minaccia. «Non cambieremo gli obiettivi» di copertura vaccinale, aveva spiegato in mattinata un portavoce della Commissione. Piuttosto generico anche il presidente del Consiglio europeo Charles Michel, agguerrito se si parla di «far rispettare i contratti che sono convalidati dalla case farmaceutiche», ma pronto a scaricare il barile quando si passa sul piano legale: «Sono gli Stati membri che hanno firmato gli ordini con le imprese e tocca a loro valutare quello che deve essere fatto». Per Michel, la via maestra, peraltro, resta quella del dialogo. Non paghi di averci lasciati soli in balia dei colossi, l'Unione europea ci «regala» quattro zone «rosso scuro», una nuova categoria proposta dalla Commissione per le aree più colpite dalle quali chiunque vorrà uscire sarà costretto a mettersi in quarantena per due settimane: Emilia-Romagna, Veneto, Friuli Venezia-Giulia e provincia autonoma di Bolzano. Come si suol dire, cornuti e mazziati.
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
Continua a leggereRiduci