2023-05-05
Ricerca, i bandi 2022 restano al palo
Anna Maria Bernini (Imagoeconomica)
Ancora nessuna graduatoria dei progetti di interesse nazionale che hanno richiesto finanziamenti al ministero dell’Università. Un ritardo accumulato fin dall’era Draghi.Non grandi notizie per chi aspetta una risposta dal ministero dell’Università e della ricerca in merito ai bandi Prin 2022, che disciplinano le procedure per il cofinanziamento di progetti di ricerca di interesse nazionale. I lavori dei tecnici stanno andando avanti, certo, ma non è chiaro a che punto siano arrivate le valutazioni. Quello che si sa è che a metà dicembre i dirigenti del Mur scrivevano che le graduatorie, e quindi i risultati del bando, sarebbero stati pubblicati nei primi mesi del 2023. Passati i primi mesi dell’anno (a maggio si può certamente dire) scopriamo che evidentemente le graduatorie ancora non sono state pubblicate. Non importa se ci sono progetti che attendono di sapere se potranno ricevere i fondi che hanno chiesto per poter lavorare, questa è la burocrazia italiana e non si può far altro che attendere. Sarebbe carino sapere per quanto. Sollecitati dalla Verità, i dirigenti del Mur hanno risposto, con grandissima gentilezza, (non con altrettanta solerzia, ma sembra essere un vizio): «Le valutazioni relative al D.D. n. 104 del 2 febbraio 2022 (Bando Prin 2022) sono ancora in corso; non appena saranno terminate (non so darle una data precisa, anche se dovrebbero concludersi entro giugno), provvederemo a pubblicare sul nostro sito le graduatorie di ciascun settore».Insomma, non sanno a che punto sono, non sanno quando finiranno e forse non sanno neanche come si chiamano. Il ritardo delle valutazioni si accumula dai tempi del governo Draghi, sì, il governo dei migliori. In quel periodo il ministro era Cristina Messa. Oggi con Anna Maria Bernini le cose ancora non sembrano cambiare. Nulla si fa con la bacchetta magica ovviamente, eppure ci vorrebbe un cambio di passo. Sono troppi i giovani talenti che continuano a lasciare il nostro Paese perché meglio valorizzati all’estero. Meglio valorizzati e meglio pagati, perché vale la pena ribadire che i nostri ricercatori sono tra i meno pagati d’Europa. In Germania guadagnano circa 50.000 euro l’anno, in Francia intorno ai 42.000 e nel Regno Unito intorno ai 49.000 euro. In Italia quasi la metà, perché lo stipendio medio del dottorando non arriva a toccare i 29.000 euro l’anno. Questo accade anche perché la retribuzione minima prevista dalla legge è fissata a 1.200 euro mensili e spesso l’offerta degli atenei non si discosta molto da questa cifra. Ma il costo della vita di molte città è decisamente più alto. Ne si ottiene che fare ricerca a Milano o in generale in una qualsiasi città del nord non converrà quasi a nessuno. Non finisce qui, oltre al danno c’è anche la beffa: a fronte di stipendi troppo bassi, alcune università non concedono l’opportunità di svolgere altri lavori o lavoretti per arrotondare. Quello del dottorando diventa così un mestiere per privilegiati. Chiamarlo mestiere poi non è del tutto corretto, perché i ricercatori non hanno maternità, non hanno tredicesima e non hanno ferie riconosciute. Tutti diritti riconosciuti a ciascun lavoratore, ma non a loro. Almeno per adesso, perché il Parlamento ha approvato una riforma che riconosce loro questi diritti, ma per cavilli burocratici della sua approvazione non se ne parla fino a dicembre 2023. Ritardi su ritardi, insomma, e non solo sui Prin, perché anche le borse di studio spesso e volentieri arrivano con calma. Alcuni dottorandi riferiscono come prassi il ritardo con cui arrivano gli assegni. Ritardi di quattro, cinque o anche sei mesi.Non stupisce allora che tutti se ne vogliano andare. La fuga dei cervelli porta via tra il 5% e l’8% dei laureati italiani. Nel periodo 2012-2021 la stima è di 248.000 laureati partiti per lavorare all’estero. Dalla pandemia poi, il saldo tra chi parte e chi resta è negativo, ci sono quasi 80.000 persone in meno tra i 25 e 24 anni con in tasca una laurea. Non è tutto rosa e fiori neanche per gli italiani che fanno ricerca all’estero. Anche per loro la borsa può diventare un problema. Per chi studia all’estero è prevista una maggiorazione del 50% sulla borsa di studio. È evidente però che, anche qui, un conto è dare una maggiorazione del 50% a chi studia in Spagna un conto è dare la stessa cifra a chi lavora in Danimarca, per esempio. Ovviamente il costo della vita sarà completamente diverso. Le borse dovrebbero essere calcolate anche proporzionalmente al costo della vita, eppure non è così. Ritardi, disuguaglianza burocrazia. C’è molto da sistemare nel mondo della ricerca. Basterebbe cominciare dalle piccole cose, come snellire le procedure di valutazione e in generale alleggerire tutta l’enorme mole di burocrazia che ruota intorno alla ricerca.
Auto dei Carabinieri fuori dalla villetta della famiglia Poggi di Garlasco (Ansa)
Volodymyr Zelensky (Ansa)