La verità dietro le cifre del Recovery fund: per tenerlo in piedi, daremo a Bruxelles 1,5 miliardi in più di ciò che riceveremo. L'impatto del piano sulla crescita? Minimo.
La verità dietro le cifre del Recovery fund: per tenerlo in piedi, daremo a Bruxelles 1,5 miliardi in più di ciò che riceveremo. L'impatto del piano sulla crescita? Minimo.Potrei scrivere che un operaio specializzato guadagna 200.000 euro e controbattere al vostro sbigottimento che sono arrivato a questa cifra sommando il reddito di quattro anni. Mi fareste giustamente notare che i conti si fanno anno su anno e che comunque ipotizzando una busta paga annua di 25.000 euro, si arriverebbe giusto alla metà. Al che tutto tronfio ribatterei che il nostro Cipputi prenderà pure un mutuo di 100.000 euro, così arrivando alla cifra predetta. Non vi resterebbe che scrivere al nostro direttore chiedendo il mio immediato siluramento. E fareste pure bene. Anzi dovreste farlo con la quasi totalità dei direttori degli altri quotidiani ogniqualvolta scrivono di fondi europei sommano mele con pere (nella fattispecie sussidi a fondo perduto e prestiti) per più anni, così arrivando a quella montagna di denaro (nel caso del Recovery fund, ben 209 miliardi) che Giuseppi definirebbe «potenza di fuoco mai vista». Ecco, sarebbe proprio il caso di definirla come tale - e cioè mai vista da nessuno. La ricostruzione dei fatti, l'analisi condensata in poche cartelle dal senatore Alberto Bagnai, del resto conferma ciò che scriviamo da settimane.Il Consiglio europeo conclusosi il 21 luglio ha raggiunto un accordo sul bilancio dell'Unione europea che si articola nei prossimi sette anni che vanno dal 2020 al 2027 (il cosiddetto Quadro finanziario pluriennale) cui si aggiunge il Next generation Eu, ovvero il temporaneo rinforzino meglio noto come Recovery fund. L'iniziale proposta italiana del 23 aprile scorso prevedeva 1.500 miliardi da raccogliere preferibilmente con titoli perpetui (cioè senza scadenza) e da distribuire prevalentemente a fondo perduto. La proposta finale si ferma a metà, appunto 750 miliardi, raccolti con titoli di debito rimborsabili in 30 anni, emessi dall'Ue e da distribuire per poco più̀ di metà (390 miliardi) a fondo perduto e per 360 miliardi come prestiti agli stessi Stati membri. Ma poiché i fondi europei con cui rimborsare i 390 miliardi di sussidi non esistono a meno che non ce li metta qualcuno, ecco che nell'ultimo Consiglio si è lungamente litigato su chi dovesse mettere cosa. Uno di questo qualcuno siete voi lettori, dal momento che la Commissione Ue ha «risorse proprie» con cui finanziare i suoi progetti. In realtà le risorse proprie di Bruxelles erano prima vostre, dal momento che gli Stati trasferiscono a Bruxelles una fetta del gettito dell'Iva pagata dai consumatori, cui si aggiungono i trasferimenti dei singoli Stati. E non è un caso che uno dei nodi più intricati da sciogliere è stata la determinazione dei cosiddetti sconti (o rebates) concessi ai quattro frugali (Austria, Danimarca, Olanda e Svezia) cui si aggiunge la Germania. In cinque hanno ottenuto uno sconto di circa 27 miliardi. Soldi veri che rimangono nelle loro casse e che potranno essere spesi senza alcun controllo. E se solo li avesse chiesti, forse avrebbe potuto ottenerli pure un altro Paese contributore netto, che ad esempio nel 2018 ha versato a Bruxelles circa 17 miliardi (fra quota di gettito derivante da imposte indirette e trasferimenti diretti), a fronte di contributi ricevuti pari a poco più di d10 miliardi. Ma essendosi questo Paese sempre ben guardato dal chiederli non ha ovviamente mai ottenuto alcuno sconto. Un Paese che, ad esempio, dal 2000 al 2017 ha contribuito al bilancio europeo per quasi 89 miliardi - al netto dei contributi ricevuti - cui se ne aggiungono altri 58 di prestiti rilasciati ai vari fondi salva Stati (fra cui ovviamente il Mes). Un totale di 147 miliardi in 17 anni. Vale a dire 22 milioni al giorno. E ovviamente stiamo parlando dell'Italia. A questo punto rimane da rispondere a due domande.:1 L'accordo chiuso in seno al Consiglio europeo modifica la posizione patrimoniale dell'Italia? Ci stiamo cioè trasformando da contributore in beneficiario netto?2 Quale impatto potrà avere sulla crescita del Paese nei prossimi anni il cosiddetto Recovery fund?Alla prima domanda dà una risposta articolata l'analista Silvia Merler, con un passato alla Commissione europea e un presente nel fondo di investimento Algebris del renziano David Serra. Da qui al 2026 il Recovery fund, secondo una stima della Commissione Ue, dovrebbe scucire a morsi e bocconi l'equivalente di 80 miliardi dei 390 totali. Quasi il 21%, niente male, verrebbe da dire. Ma l'Italia dovrebbe a sua volta finanziarne 50. Rimarrebbe pur sempre una fetta di oltre 4 miliardi per ciascun anno di qui alla fine del bilancio. Cui però dovrebbero essere tolti i contributi netti alla rimanente parte del bilancio (quella ordinaria per intendersi) che la Merler stima in 3,8 miliardi e cui si devono aggiungere gli sconti concessi ai frugali e alla Germania, che l'Italia pagherà in parte. Grosso modo 1,5 miliardi ogni anno. L'Italia continua a essere quindi un contributore netto al bilancio europeo, per un importo superiore al miliardo di euro. Quanto all'impatto sulla crescita del Recovery fund, i numeri sono purtroppo ancor più disperanti. Il prossimo anno arriveranno appena 8 miliardi di sussidi (il 10% di quanto previsto) e non 20 come sostiene Repubblica, che dentro ci infila anche i prestiti. Anche non considerando la nostra contribuzione, stiamo parlando dello 0,4% del Pil. Che sarebbe un po' come dire: stiamo morendo dissanguati, abbiamo bisogno di tre litri di sangue ora e prenotiamo la trasfusione fra un anno quando ce ne inietteranno mezzo litro. Saremmo già morti. Anzi saremo già morti.
Maria Sole Ronzoni
Il ceo di Tosca Blu Maria Sole Ronzoni racconta la genesi del marchio (familiare) di borse e calzature che punta a conquistare i mercati esteri: «Fu un’idea di papà per celebrare l’avvento di mia sorella. E-commerce necessario, ma i negozi esprimono la nostra identità».
Prima puntata del viaggio alla scoperta di quel talento naturale e poliedrico di Elena Fabrizi. Mamma Angela da piccola la portava al mercato: qui nacque l’amore per la cucina popolare. Affinata in tutti i suoi ristoranti.
Ansa
Il testamento: cedete ad uno tra Lvmh, EssilorLuxottica e L’Oreal. Al compagno Leo Dell’Orco il 40% dei diritti di voto.
Antonio Filosa
Filosa: sorpasso di Leapmotor. Poi smentita e controsmentita. Il duello continuerà.