2018-11-07
Renzi al telefono con papà: «Se tu dici la verità io sono biondo e magro»
Il genitore dell'ex premier ha sempre negato l'incontro con Alfredo Romeo. Matteo Renzi, prima dell'interrogatorio: «Babbo vai, piglia per il culo».I verbali che inguaiano Luca Lotti e i generali dell'Arma. Negli interrogatori degli indagati emergono elementi chiari sulla fuga di notizie. Il ministro cercò di screditare l'ad che l'accusava: «Era in contrasto con il premier». Lo speciale comprende due articoli.Le carte dell'inchiesta Consip restituiscono il dietro le quinte del controverso rapporto di Matteo Renzi con suo padre Tiziano, con la magistratura e i media. L'immagine a tinte fosche di un uomo che cerca disperatamente di conservare il proprio potere a dispetto di tutto. Il nocciolo sono le conversazioni che intercorrono tra l'ex premier e il suo babbo tra l'1 e il 14 marzo 2017, chiamate captate dalla Procura di Roma. L'1 marzo 2017 Matteo, come un allenatore all'angolo, sta preparando il genitore al match con gli inquirenti capitolini. «Babbo ascoltami (…) l'avvocato (Federico Bagattini, ndr) deve prepararti all'interrogatorio e questi sono cazzi tuoi e credo che sia opportuno che tu lo faccia bene». Mentre parla gli viene in mente il compagno di merende del padre, Carlo Russo, in quel momento coindagato con il genitore per traffico di influenze illecite. Si capisce che il solo pensiero gli fa gonfiare le vene delle tempie: «Questo meraviglioso personaggio che risponde al nome di Carlo Russo, che il signore ce lo conservi per tutto il resto dei nostri giorni e il meglio dei nostri anni (…) dicono che voi due vi facevate promettere dei soldi da Romeo». Matteo spiega al padre che è indagato «per avere alzato quella merda di telefono e aver chiamato Luigi Marroni (ex ad di Consip, ndr), cosa che in una prossima vita sicuramente non farai».L'ex premier s'industria per cavare il padre dagli impicci in cui si è ficcato e gli consiglia di farsi fare «un comunicato da Bagattini» per distinguere la propria posizione da quella di Russo. Poi ci ripensa: «Ci parlo io con Bagattini, lascia stare dai (…) stai tranquillo, preparati per l'interrogatorio e basta, domani segui Bagattini e fai quello che ti dice».Il 2 marzo Renzi e il padre discutono a causa dell'imprenditore Alfredo Romeo, al centro dell'inchiesta: il figlio non crede che Tiziano non lo abbia incontrato (in effetti i magistrati di Roma ritengono che nel luglio del 2015 ci sia stato un abboccamento a Firenze). «Io non ho memoria di aver incontrato Romeo» protesta Tiziano. Il suo ragazzo esplode: «Benissimo! E Carlo Russo e tu sei andato da Marroni, così per simpatia (…) E io sono biondo, magro e con un cazzo di trenta centimetri! Babbo vai, piglia per il culo…». Il 3 marzo i carabinieri registrano una nuova conversazione. È il giorno dell'interrogatorio di Tiziano a Roma. Matteo è sempre più preoccupato. Chiede al padre che cosa ci faccia ancora a Rignano sull'Arno e Tiziano lo informa che andrà in auto: «Mi porta Carlo (un collaboratore, ndr), io sono dietro con Bagattini e vetri oscurati». Matteo: «Perfetto…uhm, fai mettere d'accordo Bagattini con i giudici per farvi entrare senza avere l'assalto dei giornalisti». A questo punto arriva la parte più interessante, quella che dimostra come le prese di distanza del figlio nei confronti del genitore fossero una messa in scena per i media. «Io oggi parto al contrattacco» annuncia Matteo. «Si sta giocando un pezzo di potere che non è semplicemente il mio culo, ma si stanno giocando pezzi di potere tra servizi segreti, magistratura e mezzo mondo. Quindi si sta giocando una partita molto complicata. In questa partita il sottoscritto oggi dovrà andare all'attacco, mentre tu sarai interrogato (…) io andrò dalla Gruber». Qui l'ex premier anticipa al genitore i contenuti del suo intervento: «Te non ti preoccupare, nel senso che io dirò (…) che se mio padre è colpevole gli diano il doppio degli anni, che lo processino subito, dopodiché che si faccia il processo, perché secondo me questo atteggiamento è un processo mediatico e non giudiziario». Matteo ripete con il padre il fervorino che si appresta a pronunciare in tv: «Quindi la parte giudiziaria sono cazzi di mio padre, noi non chiediamo sconti, anzi chiediamo un atteggiamento molto duro, si vada a verificare tutto quello che è accaduto e che non è accaduto. Dopodiché vado all'attacco politico». Il discorso passa a Russo, che quel giorno deve essere interrogato. Tiziano trilla: «So che non risponde lui». E in effetti l'amico di babbo Renzi si avvarrà della facoltà di non rispondere. Matteo capisce che l'argomento è scivoloso: «Te non hai da sapere un cazzo». Il babbo, cogliendo al volo il messaggio del suo ragazzo, esclama, quasi a discolparsi: «Me l'ha detto l'avvocato! Me l'ha detto l'avvocato!». Renzi replica: «Anche a me l'ha detto il suo avvocato». In poche parole, mentre si prepara a dichiarare al mondo che non intende immischiarsi nelle vicende giudiziarie del padre, in realtà passa le giornate al telefono a parlare con i difensori del genitore e dei suoi coindagati. Ma il preannunciato silenzio di Russo non tranquillizza i Renzi. Che considerano il pm napoletano Henry John Woodcock una variabile impazzita che potrebbe sciogliere la lingua dell'indagato. L'ex segretario del Pd prova ad anticipare le mosse: «Se parte Woodcock, gli dirà (a Russo, ndr) o dice il nome di Renzi o la mettiamo in galera, fanno così ora (…). Questo è il loro atteggiamento, scandaloso e squallido che noi sappiamo che è questo, che da vent'anni è lo stesso, che hanno usato a suo tempo quelli di Woodcock contro gli uomini di D'Alema (il riferimento è all'inchiesta Cpl Concordia, ndr)». Tiziano cerca conforto: «Ma a me mi dovrebbe interrogare (Mario, ndr) Palazzi, no?». Si sbaglia. Palazzi è destinato, insieme con Woodcock, agli interrogatori che si terranno quel giorno Firenze. Matteo pare molto più aggiornato: «Considera che tutti i magistrati di cui si sta parlando, come dire, hanno dei loro giri, (…) dei cazzi loro di vario genere, quindi io credo che a te ti interrogherà un magistrato importante di Roma (come in effetti avverrà, ndr), se ho capito bene. Te fai il tuo, c'hai la tua parte, dì la verità, evita le polemiche, facciamo parlare Bagattini uscendo, che tanto dirà che hai risposto a tutto e che di conseguenza, ehm, poi insomma vedrà Bagattini che cazzo dire ai giornali. Però se mentre sei dentro ti arrivano notizie e dintorni, io sto facendo i cazzi miei! Cioè io sto facendo la mia controffensiva, sappilo (…) non ti preoccupare sono molto tranquillo, molto consapevole». Tiziano è quasi commosso: «Io sono felice, ti voglio bene». Il figlio lo sprona: «Fai la tua parte, adesso devi portare a casa il culo, non ci sono problemi, non devi avere atteggiamenti provocatori e polemici nei confronti di questo qui (…) e io faccio la mia parte, a me, se mi vogliono ammazzare, mi ammazzano in campo e non m'ammazzano, che tu lo sappia. A me non m'ammazzano! Nonostante tutti (…)». Infine dà un consiglio: «Riguardate bene il verbale (…) Marroni l'hanno inculato su quello (…) ciao bellino, ciao».Dopo l'interrogatorio i due si risentono: «Come è andata, bene?» chiede Matteo. «Mi sembra di sì» risponde il padre. L'ex sindaco di Firenze è soddisfatto della sua performance dalla Gruber: «Ho fatto il mio show» si rallegra, prima di chiedere di parlare con Bagattini. Il legale scende dall'auto: «Aspetta, esco perché questa macchina mi piace il giusto, ma senti (è andata, ndr) bene, benino, nel senso che…». Il fu Rottamatore lo interrompe: «Aspetta Fede… sul tuo, ti chiamo sul tuo». Il 14 marzo padre e figlio vengono di nuovo intercettati. Matteo prende notizie sui movimenti del padre. «Qual è il problema?» domanda perplesso Tiziano. «Nulla (…) l'importante è che tu non faccia cazzate in questo periodo, eh babbo». Il genitore è preoccupato, si sente sotto osservazione: «Che cazzate sto facendo Matteo?». Il figlio lo tranquillizza: «La mia è una telefonata di cortesia». L'ex premier ha appena chiamato Bagattini e il difensore ha relazionato l'ex premier sul contenuto degli atti ritirati a Roma. Padre e figlio discutono delle dichiarazioni di Marroni ai pm. Matteo annuncia che il ministro Luca Lotti andrà in Parlamento a riferire sulla vicenda Consip. Successivamente se la prende con il sindaco di Rignano Daniele Lorenzini, che ha raccontato ai magistrati che Tiziano era informato dell'inchiesta sul suo conto: «Diciamo che il premio dell'uomo dell'anno lo diamo a Lorenzini (…) te l'ho detto sempre io (…) è quello che aveva più partiti che mutande». I due discutono di un'ulteriore richiesta di risarcimento da inoltrare a Marco Travaglio. Tiziano dice che dalla Gruber il direttore del Fatto Quotidiano si è scontrato con Annalisa Chirico: «A Otto e Mezzo c'è quella giornalista del Foglio, è stata bravissima m'hanno detto». Matteo gongola: «E lo so babbo, lo so bene. L'abbiamo mandata noi, va bene così, è una brava ragazza (…) a me sta simpatica (inc.) con gli avvocati che cominciano con la b… (inc.) gli manca solo Bagattini (…) Annalisa è una mia amica, è una persona seria, è una persona brava, è una persona molto intelligente (…) tra l'altro lei continuerà su questa roba, era con me al Lingotto». Visto tutto il tempo che dedicava alla vicenda Consip, resta da capire come Renzi si occupasse anche di politica. Giacomo Amadori<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/renzi-al-telefono-con-papa-se-tu-dici-la-verita-io-sono-biondo-e-magro-2618349927.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="i-verbali-che-inguaiano-lotti-e-i-generali-dellarma" data-post-id="2618349927" data-published-at="1758129912" data-use-pagination="False"> I verbali che inguaiano Lotti e i generali dell’Arma Prima di scoprire che sulla fuga di notizie dell'inchiesta Consip la versione dell'ex amministratore delegato della stazione unica appaltante, Luigi Marroni, era vera, i magistrati della Procura di Roma hanno chiesto a Luca Lotti, in quel momento ministro dello Sport, se alla base di quelle propalazioni ci fossero motivi di contrasto o di risentimento. E l'ex ministro ha tentato di buttarla in politica, sostenendo nel corso del suo secondo interrogatorio (16 luglio 2017) che aveva cercato di ostacolare la nomina di Marroni ai vertici di Consip. «E per questo», dichiara Lotti, «ci fu un contrasto aperto con il presidente Matteo Renzi». Poi ha rincarato la dose: «Marroni era assessore della giunta regionale della Toscana guidata da Enrico Rossi, notoriamente su posizioni diverse dalle mie». Il ministro probabilmente pensava bastasse per prendere le distanze dal suo accusatore, che nel dicembre 2016 spiegò prima ai carabinieri e poi al pm Henry John Woodcock che furono Lotti e l'ex comandante della Legione carabinieri Toscana, Emanuele Saltalamacchia, a fargli sapere che era in corso un'indagine sulla società che guidava (Marroni disse anche che l'ex presidente di Consip, Luigi Ferrara, gli disse di aver saputo dell'inchiesta dall'ex comandante generale dell'Arma, Tullio Del Sette). Dopo quella soffiata, Marroni fece bonificare il suo ufficio dalle microspie messe dai carabinieri del Noe. L'attività investigativa, a quel punto, saltò. Dopo vari interrogatori, confronti all'americana e accertamenti, i magistrati hanno chiuso le indagini nei confronti di Lotti e Saltalamacchia per il reato di favoreggiamento e con Del Sette per la rivelazione del segreto d'ufficio. Tra le migliaia di pagine allegate al documento giudiziario, ci sono le dichiarazioni con le quali i tre indagati si sono messi nei guai. A Lotti, per esempio, la trimurti della Procura di Piazzale Clodio (il procuratore Giuseppe Pignatone, l'aggiunto Paolo Ielo e il pm Mario Palazzi), sempre nel corso della seconda convocazione, aveva fatto una lunga premessa, spiegando al ministro dello Sport che Marroni ma anche Filippo Vannoni (ex consigliere economico di Palazzo Chigi) avevano riferito fatti e circostanze che confermavano la fuga di notizie. Lotti ha negato: «Le dichiarazioni di Marroni sono totalmente false, poiché, ribadisco, non ho mai saputo di indagini relative a Consip». Vannoni, invece, durante un «casuale» incontro avvenuto in un luogo imprecisato tra largo Chigi e Palazzo Chigi, gli riferì che era stato sentito da Woodcock. «Ammise di aver mentito», fa mettere a verbale Lotti, «scusandosi in modo imbarazzato». Lotti disse a Vannoni che avrebbe voluto dargli una testata. E questi successivamente ha tentato di ritrattare, dichiarando che era stato costretto ad accusare il ministro per cavarsi d'impaccio. A confermare che Marroni non godeva di buoni uffici dal ministro, poi, è stato un deputato del Pd: Ettore Rosato. Sentito dai difensori di Lotti, ha riferito che gli sembrò strano che Marroni si recasse da lui, quando era capogruppo del Pd alla Camera, per questioni che riguardavano le società partecipate, invece di andare direttamente da Lotti o Renzi, «visto che dal suo percorso politico», ha sostenuto Rosato, «mi sembrava che potesse avere rapporti diretti con la presidenza del Consiglio». E fu proprio in quell'occasione che Marroni gli disse «di non avere facili rapporti con Lotti». Al momento, però, la linea difensiva dell'ex ministro non è stata sufficiente a ottenere una richiesta di archiviazione. E così è stato anche per il generale Saltalamacchia, che avrebbe detto a Marroni «di stare attento perché era intercettato». O, forse, «perché c'era un'indagine sull'imprenditore napoletano Alfredo Romeo». O, forse ancora, «per un'inchiesta che veniva da Napoli». Marroni su questo particolare appare un po' confuso nel faccia a faccia con Saltalamacchia. «Non credo che sia un mentitore», si è difeso il generale candidato inutilmente dal Rottamatore alla guida dei servizi segreti, «credo che si sia completamente confuso o che sia stato indotto a confondersi». E così il generale ha cercato anche di far passare Marroni per un paranoico con la fissa delle intercettazioni: «Quella degli ascolti nei suoi confronti era una costante delle nostre conversazioni». Con il generale che gli ricordava sempre che «per i ruoli istituzionali rivestiti rischiava di essere sottoposto ad attività di ascolto, non solo dagli organi inquirenti, ma anche per attività di spionaggio industriale». Sull'indagine di Woodock però bocca cucita. «Non gliel'ho assolutamente detto io», afferma Saltalamacchia. «Anche perché», aggiunge, «per la mia esperienza gli avrei consigliato di non toglierle le microspie, ma di tenerne conto quando parlava». E il generalissimo Del Sette? Ferrara ha prima confermato di aver saputo dal comandante generale. Poi ritrattato. E poi riconfermato. Del Sette, sentito in Procura il 23 dicembre 2016, ammise: «Ferrara si avvicinò per chiedermi un consiglio in merito all'opportunità o meno di ricevere un qualche imprenditore che ripetutamente aveva sollecitato di incontrarlo». Quell'imprenditore era Romeo. «Compreso chi fosse», dice Del Sette, «immediatamente lo sconsigliai dicendogli che si trattava di un imprenditore più volte apparso sulle cronache giudiziarie, notoriamente coinvolto in plurime indagini e forse anche in indagini in corso». E quell'indagine era Consip. Fabio Amendolara
Giancarlo Tancredi (Ansa)
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Francesco Nicodemo (Imagoeconomica)