
In occasione del centenario della nascita di Giovanni Paolo II, il papa emerito condivide in una lettera all'episcopato polacco le memorie e le riflessioni sul pontificato del Santo padre che rinnovò la fede.«In 14 encicliche», Giovanni Paolo II «presentò in modo nuovo la fede della Chiesa e il suo insegnamento umano. Inevitabilmente, quindi, suscitò opposizione nelle Chiese d'Occidente piene di dubbi». Lo ha scritto il papa emerito Benedetto XVI in un testo inedito, dedicato all'amico e predecessore proprio in occasione del centesimo anniversario della nascita di Karol Wojtyla che cadrà lunedì 18 maggio.Il testo inedito, diffuso ieri nella sua versione originale in lingua tedesca dal Die Tagespost, è stato scritto da papa Ratzinger il 4 maggio su richiesta del cardinale Stanislaw Dziwisz, arcivescovo emerito di Cracovia e segretario personale di Giovanni Paolo II per 40 anni.Il riferimento alle «Chiese occidentali piene di dubbi», e per questo scosse dall'azione del santo papa polacco, rimanda al tarlo del dubbio eretto a sistema e applicato in malo modo alle questioni di fede soprattutto nelle chiese del Nord Europa. Un vento di spuria novità che tirava fortissimo nel post Concilio Vaticano II e che era ancora ben presente al momento dell'elezione a papa del cardinale Wojtyla, il 16 ottobre 1978. «La chiesa si trovava in una situazione drammatica», scrive Benedetto XVI, «le deliberazioni del Concilio erano state presentate al pubblico come una disputa sulla fede stessa, dalla quale sembrava essere stato rimosso il suo carattere di inconfondibile e inviolabile sicurezza».Queste parole non sono una novità per chiunque abbia seguito il pensiero del cardinale Ratzinger-Benedetto XVI. «La sensazione», scrive il papa emerito, «che non ci fosse più nulla di certo, che tutto fosse in discussione è stata ulteriormente nutrita dal modo in cui è stata effettuata la riforma liturgica. Alla fine, sembrava che anche nella liturgia tutto si potesse creare da solo. Paolo VI condusse il Concilio con vigore e decisione fino alla sua conclusione, dopo la quale affrontò problemi sempre più difficili, che alla fine misero in discussione la Chiesa stessa. I sociologi dell'epoca paragonavano la situazione della Chiesa a quella dell'Unione Sovietica sotto Michail Gorbaciov, dove nella ricerca delle riforme necessarie l'intera potente immagine dello Stato sovietico alla fine crollò».Ma Giovanni Paolo II affrontò quella che appariva come un'impresa «assai ardua da affrontare con le sole capacità umane», con il carisma che lo caratterizzava. Benedetto XVI ricorda il primo discorso di Wojtyla da papa in cui chiedeva di «aprire», anzi «spalancare le porte a Cristo» e ricorda i suoi 104 viaggi pastorali in giro per il mondo e, soprattutto, quelle «14 encicliche» che, dice Ratzinger, svelarono le contraddizioni delle Chiese occidentali «piene di dubbi». Il riferimento alle encicliche non è secondario, non solo per il fatto che l'allora cardinale Ratzinger, nel ruolo cruciale di prefetto dell'ex Sant'Ufficio, ha partecipato in prima persona alla stesura di quasi tutte, ma per il loro contenuto. Si possono ricordare Veritatis splendor (1993), Fides et ratio (1998), Evangelium vitae (1995), encicliche che sono ancora oggi pietra d'inciampo per coloro che dal vento spurio del Concilio sono ancora agitati. Coloro che per dire la fede in modo nuovo in realtà si avviano su periclitanti sentieri, dove lo sviluppo della dottrina nella continuità, cardine alla salvaguardia del depositum fidei, scivola nell'arbitrarietà. Quel tarlo del dubbio eretto a sistema, quella voglia di novità a prescindere, si è manifestata ancora dopo il pontificato di Giovanni Paolo II. Basti ricordare il tentativo di papa Benedetto XVI di attuare una sorta di riforma della riforma liturgica, non solo attraverso il motu proprio Summorum pontificum, che riportava alla luce del sole il vetus ordo, la messa in latino, ma più in generale attraverso il modo in cui lui stesso celebrava e una serie di interventi e discorsi. Questo tentativo di papa Ratzinger è stato ostacolato da gran parte dell'episcopato, come avversata è stata la sua analisi sugli sbandamenti del post Concilio. Lo dimostra come la diagnosi sui mali della Chiesa posta da Benedetto XVI è stata velocemente e molto felicemente dimenticata da una buona maggioranza dei vescovi nel mondo.Il papa emerito, di fronte a una situazione che tutt'ora conosce come difficile per la fede e per la Chiesa, in questo testo scritto per Giovanni Paolo II offre però uno sguardo con cui traguardare l'azione del suo predecessore. Uno sguardo che offre una luce decisiva non solo sul papato di Wojtyla, ma forse sui tempi della storia che stiamo vivendo. È il messaggio della misericordia divina, proprio quello che il santo papa polacco volle sottolineare istituendo la festa della Divina Misericordia secondo il messaggio della santa Faustina Kowalska. Ebbene, scrive Benedetto XVI, quel messaggio deve farci comprendere che Giovanni Paolo II non era un «rigorista della morale», ma che i «nostri sforzi morali vengono intrapresi sotto la luce della misericordia di Dio, che si rivela essere una forza che guarisce la nostra debolezza». In questo, scrive il papa emerito, dobbiamo cogliere anche «le intenzioni fondamentali di Papa Francesco».«Il giorno del funerale del Santo Padre» Giovanni Paolo II, ha concluso Benedetto XVI, «si potevano vedere moltissimi striscioni con la scritta «Santo subito». Fu un grido che, da tutte le parti, sorse dall'incontro con Giovanni Paolo II. E non solo in Piazza San Pietro, ma in vari circoli di intellettuali si era discusso sulla possibilità di concedere a Giovanni Paolo II l'appellativo di «Magno». La prima qualifica è stata attestata dalla Chiesa, la seconda, più «politica», sottolinea Ratzinger, «deve essere lasciata aperta. È vero che in Giovanni Paolo II la potenza e la bontà di Dio è diventata visibile a tutti noi. In un momento in cui la Chiesa soffre di nuovo per l'assalto del male, egli è per noi un segno di speranza e di conforto».
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