2024-08-08
Quando D’Annunzio protestò: «Sono un soldato, ho l’obbligo di combattere»
True
Gabriele D'Annunzio (Getty Images). Nel riquadro la cover del libro «Scritti militari»
Ripubblicati gli scritti militari del Vate, andato volontario nella Grande guerra dopo aver contribuito all’aspra battaglia culturale interventista.Gabriele D’Annunzio fu, come noto, intellettuale interventista e cantore ispirato di gesta belliche. Ma fu anche, con estrema coerenza, combattente egli stesso in prima persona. Eppure, di tutta la produzione dannunziana, i testi riguardanti la materia militare sono i meno conosciuti. Lo faceva notare, appena un anno dopo la morte del Vate e ormai a ridosso di un’altra guerra mondiale (era il 1939), già Guido Po nella raccolta degli Scritti militari dannunziani, appena ripubblicati dalla casa editrice Oaks. Si tratta di una raccolta dei testi di d’Annunzio ufficiale nell’effettivo esercizio delle sue funzioni durante la Grande guerra.Come ben ricostruisce Antonio Zollino nella introduzione, l’amore del poeta pescarese per il mondo militare era stato relativamente precoce, ma comunque non fulmineo. Quando, nel 1889, era stato chiamato per il servizio militare, aveva affidato alle lettere private del periodo un ritratto impietoso dell’ottusità e della monotonia della vita di caserma, affermando che «il peggior mio nemico non avrebbe potuto imaginare per me un supplizio più feroce, più disumano» (l’enfasi iperbolica era sempre stata una specialità della casa). Eppure, già l’anno precedente aveva pubblicato la raccolta L’armata d’Italia, sulle sorti della difesa nazionale. Era solo il primo di una serie di testi, lirici e in prosa, dedicati al mondo militare e alla difesa della patria. Con l’avvicinarsi della Grande guerra, cui il poeta assiste inizialmente in Francia, D’Annunzio assume sin da subito posizioni di radicale interventismo. Torna in Italia e comincia a infiammare le folle: il conflitto in cui l’Italia deve entrare sarà il compimento del Risorgimento, in senso territoriale ma ancor più in senso spirituale. Dalle trincee nascerà l’Italia nuova, temprata dalla prova del fuoco. Era il mito della Grande Italia, a cui lo storico Emilio Gentile ha dedicato pagine importanti. Lo stesso mito fu condiviso da agitatori come Filippo Tommaso Marinetti e Benito Mussolini.Dopo l’ingresso italiano nel conflitto, il Vate agisce con piena coerenza: non solo, alla bella età di 52 anni, D’Annunzio chiede di essere richiamato alle armi, ma quando lo arruolano pensando per lui il ruolo di propagandista nelle retrovie, protesta vivamente: «Io non sono un letterato dello stampo antico, in papalina e pantofole. Io sono un soldato. Ho voluto essere un soldato, non per stare al caffè o a mensa, ma per fare semplicemente quel che fanno i soldati. Ho una situazione militare in perfetta regola. Non soltanto ho la facoltà, ma ho l'obbligo di combattere», scrive il 29 luglio 1915 al presidente del Consiglio Antonio Salandra. Verrà accontentato.D’Annunzio svolge la sua attività di combattente in terraferma, sul mare e nel cielo, dimostrando, oltre a una pronta adattabilità, una volontà ferrea e un coraggio indomito, attestati dalle gravi ferite e dalle altrettanto numerose medaglie al valore. Dopo la guerra verrà poi l’avventura di Fiume, la folle e immaginifica utopia della «città di vita», in cui D’Annunzio rimetterà la divisa, stavolta contro il governo centrale, e raccoglierà attorno a sé i suoi fedelissimi legionari. Ma questa è un’altra storia.Nella Grande guerra indossa la divisa anche Guido Po, l’autore della raccolta di Scritti militari. Durante la prima guerra mondiale è inizialmente aiutante di bandiera del Capo di stato maggiore della Regia Marina, ammiraglio Paolo Thaon de Revel, e poi si distingue nel corso delle operazioni belliche venendo decorato con la Croce di Cavaliere dell'Ordine militare di Savoia, una Medaglia d'argento, una di bronzo e due Croci di guerra al valor militare.Scrive Po introducendo il libro: «Questi scritti comprendono i rapporti e le relazioni di argomento bellico, i discorsi, i messaggi, le lettere ufficiose e private; nel complesso si tratta di una documentazione imponente che testimonia in quel modo Egli svolse la sua attività di combattente […]. Ciò che subito colpisce il lettore è lo stile inconfondibile dell'artista: immaginoso, colorito, ma nello stesso tempo tecnicamente preciso. Mai si sarebbe sospettato che un poeta, considerato da alcuni come un ufficiale improvvisato, possedesse tanta competenza tecnica, tanta perfezione di linguaggio specifico».
Luca Zaia intervistato ieri dal direttore della Verità e di Panorama Maurizio Belpietro (Cristian Castelnuovo)
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 22 ottobre con Carlo Cambi