2022-02-16
Putin apre al dialogo con l’Occidente. Ma poi scatta l’attacco hacker a Kiev
Il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio a Kiev, dove ha incontrato l’omologo ucraino, Dmytro Kuleba (Ansa)
Il leader del Cremlino vede Olaf Scholz e si dice pronto a «seguire la strada dei negoziati». Truppe ritirate dal confine. Ministero della Difesa e due banche ucraine mandate in tilt. Prosegue la missione di Luigi Di Maio.Parla l’italiano andato a sostenere le milizie vicine a Mosca: «Sono otto anni che da queste parti c’è lo stato di guerra. L’invasione imminente? Propaganda».Lo speciale contiene due articoli.Distensione sì o distensione no? È questo il problema. Dalla crisi ucraina ieri sono infatti arrivati segnali discordanti. Da una parte, si sono intraviste manifestazioni di disgelo. La Russia ha annunciato il ritiro (peraltro già programmato) di una parte delle proprie truppe dalla Crimea dopo delle esercitazioni militari: una notizia che è stata accolta con (cauto) ottimismo da vari Paesi, tra cui Germania, Francia e Spagna. Vladimir Putin si è inoltre detto disponibile a discutere con Stati Uniti e Nato in materia di sicurezza. E proprio dalla Nato è arrivata una timida mano tesa. «Ci sono segnali da Mosca che la diplomazia dovrebbe continuare. Questo dà motivo di un cauto ottimismo. Ma finora non abbiamo visto alcun segno di de-escalation sul campo da parte russa», ha dichiarato il segretario generale dell’Alleanza atlantica, Jens Stoltenberg. Dall’altra parte, non sono mancati però segnali di tensione. L’ambasciatrice americana all’Onu, Julianne Smith ha mostrato diffidenza sulle reali intenzioni dei russi, mentre l’Ucraina ha denunciato un attacco informatico al sito Web del proprio ministero della Difesa e a quelli di due grandi banche del Paese. Mosca ha inoltre avviato delle esercitazioni militari nel mare di Barents, schierando più di 20 navi, e ne sta pianificando ulteriori nel Mediterraneo orientale. Londra, dal canto suo, ha esortato a non abbassare la guardia. «Stiamo assistendo a un’apertura russa alle trattative. D’altra parte, l’intelligence che stiamo vedendo oggi non è ancora incoraggiante», ha dichiarato Boris Johnson.È quindi in mezzo a questa situazione contraddittoria che si sono dipanati i tentativi della diplomazia europea. Olaf Scholz ha innanzitutto incontrato ieri a Mosca Putin. Dopo il colloquio, il leader russo si è detto pronto a «seguire la strada dei negoziati» con l’Occidente in materia di sicurezza, ha negato di volere un conflitto, ha definito un «genocidio» la situazione nel Donbass e ha inoltre indicato il Nord Stream 2 come un «progetto meramente commerciale». Ricordiamo che questo gasdotto sia storicamente osteggiato da Polonia e Ucraina, che lo considerano uno strumento a disposizione di Mosca per esercitare pressione sull’Europa. Putin ha anche invocato delle garanzie sul fatto che Kiev non entri nella Nato, non solo nel breve ma anche nel lungo termine. «Rimandare o ritardare l’adesione dell’Ucraina alla Nato non cambia nulla per la Russia in prospettiva storica, vogliamo risolvere la questione adesso», ha detto. Pur criticando il capo del Cremlino per l’uso del termine «genocidio», Scholz, dal canto suo, ha definito il ritiro di una parte delle truppe russe come «un buon segnale», aggiungendo: «Per gli europei è chiaro che una sicurezza duratura non può essere raggiunta contro la Russia, ma solo con la Russia». In tutto questo, sempre ieri, il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, si è recato a Kiev, dove ha incontrato l’omologo ucraino, Dmytro Kuleba, il quale, nell’occasione, ha di fatto replicato a Putin, affermando: «Nessuno tranne l’Ucraina e i membri della Nato dovrebbero avere voce in capitolo nelle discussioni sulla futura adesione dell’Ucraina alla Nato». Di Maio, che è atteso a Mosca nella giornata odierna, ha per parte sua parlato ieri di uno «spazio per una soluzione diplomatica». «L’unica via da percorrere», ha sottolineato, «è quella che porta alla pace e alla stabilità». Tutto questo, mentre il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky ha avuto un colloquio telefonico con Mario Draghi: colloquio in cui, secondo una nota di Palazzo Chigi, il nostro premier «ha ribadito il fermo sostegno del governo italiano all’integrità territoriale e alla sovranità dell’Ucraina». Sempre ieri, hanno avuto luogo ulteriori telefonate: si sono sentiti non solo Joe Biden ed Emmanuel Macron, ma anche il segretario di Stato americano Tony Blinken con il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov. Non mancano comunque problemi da entrambe le parti. Il fronte occidentale continua a rivelarsi piuttosto sfilacciato, con i vari Paesi che si muovono in ordine sparso e la diplomazia di Bruxelles quasi del tutto assente. Dall’altra parte, delle divisioni si registrano anche dal lato russo. Ieri la Duma ha approvato a larga maggioranza una mozione che chiede a Putin di riconoscere formalmente le due repubbliche separatiste di Donetsk e Lugansk: una mossa che, se si concretizzasse, sconfesserebbe gli accordi di Minsk, su cui però si stanno concentrando attualmente gli sforzi europei e russi per trovare una soluzione diplomatica alla crisi in atto. Non è quindi un caso che il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, sia dovuto intervenire per gettare acqua sul fuoco. «Nessuno rimane indifferente al destino della gente del Donbass», ha detto, per poi tuttavia precisare: «La Russia ha ripetutamente dichiarato il suo impegno per il pacchetto di misure di Minsk e sostiene la rapida attuazione del piano d’azione di Minsk». Insomma, la mozione della Duma, inizialmente presentata dal Partito comunista russo in una fase tanto delicata, non era stata coordinata con il Cremlino: il che può voler dire che alcuni settori politici russi o hanno cercato di mettere i bastoni tra le ruote a Putin oppure hanno tentato di forzargli la mano nella crisi in corso. Come che sia, il capo del Cremlino si è ritrovato in difficoltà nel pieno dei negoziati ucraini, visto che sia l’Ue che la Nato hanno criticato la mozione della Duma, mentre Kiev ha chiesto un incontro urgente con Mosca e l’Osce. La crisi, insomma, resta ricca di incognite. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/putin-apre-dialogo-occidente-2656684482.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="qui-nessuno-crede-al-blitz-russo" data-post-id="2656684482" data-published-at="1644999008" data-use-pagination="False"> «Qui nessuno crede al blitz russo» Andrea Palmeri, di Lucca, nel 2014 è partito dall’Italia per sostenere le milizie filorusse che combattono nel Donbass. Accusato di essere un mercenario, è stato condannato a 5 anni di reclusione da un tribunale italiano. Rimasto in Ucraina, ora dice di essere impegnato in attività umanitarie. Palmeri, c’è chi dice che in Ucraina potrebbe accendersi la miccia della terza guerra mondiale… «Purtroppo penso che la terza guerra mondiale sia già iniziata, una guerra combattuta sul piano economico e dell’informazione. La situazione dell’Ucraina è emblematica: si sta usando questa nazione per allontanare la Russia dall’Europa, lo scopo è solo questo. Russia ed Europa dovrebbero essere partner economici e avere un rapporto disteso risulterebbe vantaggioso per entrambe. Logicamente a qualcuno questo dà noia. L’Europa si è dimostrata assente e troppo asservita al volere di Washington e quindi sta subendo la situazione in modo passivo». Come si vive realmente in questi giorni e che aria tira per le strade? «Qui si vive normalmente. Nessuno crede che la Russia invaderà l’Ucraina. Tutto è aperto e prosegue come sempre, del resto sono 8 anni che viviamo in uno stato di guerra permanente e di solo teorico “cessate il fuoco”». Quanto è davvero imminente l’invasione russa? «Penso che un’invasione russa dell’Ucraina sia solo propaganda, la macchina della propaganda americana lavora incessantemente e purtroppo sono poche le voci libere che hanno la forza di opporsi. Alla Russia non serve una guerra e invadere l’Ucraina non avrebbe senso. Sicuramente la Russia vuole garanzie sul fatto che l’Ucraina non entri nella Nato e che le Repubbliche del Donbass non vengano attaccate rischiando così un genocidio. In Europa non si può dire ma qui, nel 2014, i battaglioni nazionalisti ucraini hanno fatto migliaia di morti: ci sono fosse comuni, ma su ciò si tace volutamente». Però ci sono i militari russi al confine, no? «I militari al confine non basterebbero per la conquista dell’Ucraina: hanno una funzione deterrente, niente di più. Io penso che per la pace nel mondo i democratici americani siano quanto di peggiore possa esistere. Credo comunque che russi e americani abbiano già trovato una bozza di accordo, perché nessuno è così stupido da esasperare il tutto fino all’irreparabile». L’Europa, e soprattutto l’Italia, che ruolo hanno e come stanno giocando in quella che sembra un’infinita partita a Risiko? «L’Europa è purtroppo assente, l’unico politico di spessore che aveva voce in capitolo e faceva gli interessi europei era la Merkel. La sua assenza infatti si sente tantissimo. L’Italia invece, e lo dico con dispiacere, è un Paese commissariato che non ha voce in capitolo». Quelli che sono ormai diventati i suoi concittadini sono realmente preoccupati? Che cosa si aspettano dal futuro? «Ripeto che secondo me si sta giocando una partita di propaganda: la Russia non vuole la guerra, vuole solo essere ascoltata. Penso che sia giusto e doveroso che Russia ed Europa tornino ad essere partner. Il nemico è la Cina e anche gli americani dovrebbero capirlo: Trump lo aveva capito, i democratici purtroppo no». Zalnesky ha dichiarato che mercoledì 17 la Russia attaccherà l’Ucraina. «Non credo proprio che ci sarà un attacco. Eventualmente, se la Duma riconoscerà le nostre repubbliche (come poi è accaduto, ndr), i soldati russi verranno su invito dei nostri governi a garantire la pace. Ci vuole volontà: basterebbe dare la voce al popolo con un referendum. Per chi si erge a paladino della democrazia, la voce del popolo dovrebbe essere sovrana».
Emmanuel Macron (Getty Images). Nel riquadro Virginie Joron
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L'evento organizzato dal quotidiano La Verità per fare il punto sulle prospettive della transizione energetica. Sul palco con il direttore Maurizio Belpietro e il vicedirettore Giuliano Zulin, il ministro dell'Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, il presidente di Regione Lombardia Attilio Fontana, il presidente di Ascopiave Nicola Cecconato, il direttore Ingegneria e realizzazione di Progetto Terna Maria Rosaria Guarniere, l'Head of Esg Stakeholders & Just Transition Enel Maria Cristina Papetti, il Group Head of Soutainability Business Integration Generali Leonardo Meoli, il Project Engineering Director Barilla Nicola Perizzolo, il Group Quality & Soutainability Director BF Spa Marzia Ravanelli, il direttore generale di Renexia Riccardo Toto e il presidente di Generalfinance, Boconi University Professor of Corporate Finance Maurizio Dallocchio.
Kim Jong-un (Getty Images)