2025-11-23
Istituzioni accanite verso la famiglia. Sono le stesse del disastro Bibbiano
Nel riquadro Nathan Trevallion e Catherine Birmingham (Ansa)
Da tempo sentiamo parlare di «abbracciare» l’ambiente, con tutto il corollario di imposizioni green. Eppure chi lo fa sul serio viene sanzionato con l’allontanamento della prole. Benché volesse solo fuggire dalle ipocrisie.Clicca qui per vedere la video intervista a Nathan Trevallion.La storia della «famiglia del bosco» - che poi del bosco non è visto che i boschi si trovano almeno a un chilometro dalla casa di Nathan Trevallion, di sua moglie e dei tre figli - sta funzionando come una sorta di cartina di tornasole. Sta mostrando, ad esempio, quanto sia realmente limitata la libertà concreta che la nostra società e le nostre istituzioni consentono a chi non si adegua al discorso prevalente. E, soprattutto, quale livello di ipocrisia abbia raggiunto questo discorso.Da anni non sentiamo parlare d’altro che della necessità di amare l’ambiente, di venerare la natura, di decrescere e limitare gli sprechi. In nome del green e dell’ecologia alle società europee sono stati imposti sacrifici immani, dolorosi salassi e un feroce quanto rapido mutamento delle abitudini. Con la scusa di proteggere la natura si riempiono le città di zone a traffico limitato, si toglie l’illuminazione pubblica e si perseguitano gli automobilisti. Ma ecco che due genitori scelgono consapevolmente di mollare l’intero apparato industriale contemporaneo, di rifiutare quasi in blocco la società dei consumi e di ritirarsi in mezzo alle fronde. Una decisione estrema, senza dubbio. Che, però, viene immediatamente sanzionata dalle autorità con l’allontanamento dei tre bambini. Dunque soffrire per il green si può anzi si deve, ma scegliere uno stile di vita realmente ecologico e non consumista è proibito.Meravigliosa, poi, è l’insistenza del tribunale sul presunto isolamento dei tre piccoli, elemento che sembra colpire molto anche i commentatori di social e giornali. Viola Ardone, ad esempio, sulla Stampa riconosce che i genitori privati dei figli debbono sopportare un dolore indicibile e si dice convinta che abbiano agito per amore, per sottrarre i piccoli alla asfissiante tirannia del mondo moderno. Ma poi aggiunge: «Il risultato è che quei bambini saranno senza dubbio protetti dal vasto mondo fuori, ma anche destinati a un continuo rispecchiamento degli stessi valori, delle identiche credenze, abitudini, istruzioni che hanno appreso in famiglia. La scuola pubblica, invece, è complessità, differenza, confronto. Si va nel mondo per imparare l’altro e per scoprire l’altro in sé. Questo ai bambini di Palmoli è stato tolto, la possibilità di scoprirsi, l’opportunità di perdersi (nel bosco) e di imparare a orientarsi nella bella confusione di un mondo fuori che contiene il bello e il brutto, l’orrore e la speranza, il singolo e il molteplice. E se è vero che la famiglia è il primo nido in cui i piccoli si formano», prosegue Ardone, «è altrettanto importante permettere loro di stendere le ali e fare prove di volo in solitaria, come l’uccellino Cipì della bellissima favola di Mario Lodi. Esiste una genitorialità allargata, una comunità educativa a cui bisogna, volenti o nolenti, affidare i nostri figli, affinché non deperiscano soffocati nell’utero di Gea. Proteggere significa anche limitare». Curioso: in una società che favorisce in ogni modo l’isolamento dei singoli, andiamo a perseguitare proprio i poveretti che hanno deciso di rifiutare gli schermi e che vivono a contatto con la terra, gli animali e i vicini di casa. Davvero qualcuno ha il coraggio di sostenere che siano più isolati quei tre piccoli selvatici rispetto ai figli d’Occidente annichiliti dai social? Secondo la Ardone quei ragazzini non imparerebbero il confronto, la pluralità e la differenza. Ma perché, gli altri bambini e ragazzi le imparano? Dal dopoguerra a oggi non c’è mai stato un momento in cui in Occidente la libertà di pensiero e di espressione fosse più condizionata, in cui le persone avessero più timore di ascoltare idee diverse e di confrontarsi con le opinioni contrarie alle proprie. Se c’è un posto in cui viene imposto un «continuo rispecchiamento degli stessi valori, delle identiche credenze, abitudini, istruzioni», beh, si tratta senza dubbio dell’Europa di oggi, prigioniera di un (non) pensiero unico e intollerante. Diffuso, per altro, anche dal giornale progressista su cui è comparso il commento della Ardone.Su Repubblica, Francesco Merlo esibisce una visione differente ma ugualmente problematica. Scrive Merlo che l’ordinanza del tribunale dell’Aquila «è motivata con scrupolo, è piena di psicologismi e i giudici sono pronti a spiegarci che le leggi che tolgono ai bambini le carezze, i baci e la protezione della mamma sono “dolorose ma inevitabili”. Ma la verità è che esiste in Italia una cultura giudiziaria intrusiva nella tutela dei minori che condannerebbe persino Giuseppe e Maria per quella capanna riscaldata da un bue e un asinello. L’ordinanza ha sospeso mamma e papà, che nelle scuole e negli uffici è il castigo a tempo determinato, e forse seguirà la rimozione solo del papà o l’espulsione di entrambi o magari il reintegro, chi può sapere dove arriverà il maleficio delle buone intenzioni, dei dolcissimi e legalissimi atti di ferocia». Non si potrebbe descrivere meglio quanto accaduto a Nathan Trevallion e ai suoi cari. Eppure viene da domandarsi: Repubblica non è forse lo stesso giornale che ha difeso con granitica determinazione il sistema Bibbiano, che della «cultura giudiziaria intrusiva» ha rappresentato l’apice e la più clamorosa messa a terra? Le istituzioni che tolgono i figli a Nathan e Catherine sono le stesse che si accanivano in Emilia contro famiglie molto più fragili e povere. L’ideologia che afferma l’insufficienza della famiglia è la stessa che viene quotidianamente declamata da tutto il mondo progressista italiano, il quale grida e strepita affinché nelle scuole entrino «esperti», «educatori», «formatori» in grado di addestrare i fanciulli al rispetto del pensiero dominante.La famiglia che ha scelto di passare al bosco rifiuta le imposizioni, disdegna tutte le ipocrisie sopraelencate. E lo fa nel silenzio, senza predicare e senza rivendicare, senza pretendere nulla se non di essere lasciata in pace. E forse, nel mondo del narcisismo e del piagnisteo, questa sua riservatezza è l’affronto più intollerabile.
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