2025-08-05
Pure Berlino ha mollato Bruxelles: per noi è ora di seguire l’esempio
Manfred Weber, vicepresidente della Csu (Ansa)
Dal viaggio di Lars Klingbeil in America al nein di Manfred Weber e Friederich Merz al bando dell’auto elettrica: la Germania è decisa a fare da sé. Perfino chi ha plasmato l’Unione scappa: perché dovremmo fare il contrario?Se persino il padrone del veicolo sostiene che il motore non funziona più e preferisce scendere e andarsene da solo in taxi, a maggior ragione anche i passeggeri che stanno scomodi sui posti dietro dovrebbero cominciare a farsi qualche domanda. In estrema sintesi, la Germania ci sta mostrando esattamente questo: l’Unione europea è un ente inutile anzi dannoso, meglio farne a meno. E i tedeschi non sono propriamente dei passanti nell’Ue. Al contrario sono quelli che l’hanno guidata fino a oggi, facendone lo strumento principe della loro egemonia sul Vecchio continente. La sfruttavano pure per gestire le rogne migratorie, usandola come paravento per siglare accordi sulla gestione dei flussi con la Turchia. Adesso invece, beh, preferiscono evitarla. Nel fine settimana il ministro delle finanze tedesco Lars Klingbeil si è recato a Washington, per colloqui di alto livello con il segretario al Tesoro statunitense Scott Bessent. Come ha scritto ieri su queste pagine Laura Della Pasqua, l’obiettivo del viaggio era chiaramente quello di strappare condizioni migliori sul comparto automotive. Come noto, la situazione a riguardo è grigia. Intanto il rappresentante al Commercio Usa Jamieson Greer ha fatto sapere alla Cbs che «i dazi annunciati dal presidente Trump sono praticamente definitivi, non credo che saranno negoziati al ribasso nei prossimi giorni». E poi ci sono le questioni tecniche. I dazi sui veicoli e sulle parti auto, almeno in teoria, non dovrebbero scendere al 15%, ma fermarsi al 27,5% comprensivo dell’aliquota del 2,5% già in vigore e di un 25% aggiunto da Trump. Comunque sia, la Germania non ha altra via per difendere il proprio comparto auto che tentare la via dell’accordo bilaterale, cioè l’unica che potrebbe consentire un pur minimo margine di miglioramento. Se i fanatici europeisti negli ultimi giorni si sono lasciati andare a scomposte e vagamente grottesche manifestazioni di disistima verso Ursula von der Leyen (la donna che hanno votato, rivotato e rivotato ancora confermandola al vertice della Commissione Ue), i tedeschi sono stati più pragmatici: meno lamenti e più azione, manco a dirlo in autonomia. Per altro non è da oggi che la Germania dà segni di insoddisfazione specialmente per quanto riguarda l’automobile. Sono mesi che il cancelliere Friedrich Merz si batte contro le restrizioni green. Alla fine di luglio si è espresso con decisione contro la volontà della Commissione europea di vietare i veicoli con motore a combustione interna per le flotte di auto a noleggio. «Le proposte annunciate in merito alle flotte di auto a noleggio e all’elettrificazione ignorano completamente le esigenze che attualmente ci troviamo ad affrontare in Europa», ha detto. «Queste non sono le proposte giuste. Vogliamo piuttosto rimanere aperti alle nuove tecnologie. L’industria automobilistica è una delle industrie chiave del continente europeo e non dobbiamo permettere che venga distrutta concentrando la nostra attenzione su tecnologie di cui non sappiamo nemmeno se saranno tutte commercializzabili entro una certa data». Più di recente gli ha fatto eco il vicepresidente della Csu Manfred Weber. Sabato, su Die Welt, ha firmato un editoriale piuttosto rigido: «Mai prima d’ora così tante persone hanno trovato impiego nel mercato unico europeo. Per garantire che ciò continui nel nuovo mondo di dazi punitivi, l’Ue deve reagire, anche per quanto riguarda i motori a combustione», ha scritto. Insomma: il divieto di utilizzo di motori a combustione deve essere eliminato, altrimenti si finirà per distruggere l’industria dell’auto. La questione ovviamente non è nuova. Abbiamo già avuto modo di spiegare nelle settimane passate che il peso delle norme (falsamente) ecologiche è più oneroso di quello dei dazi imposti dagli Stati Uniti, e ciò significa che la prima causa delle disgrazie europee è proprio l’Unione europea. Ora che la loro industria automobilistica è in enorme difficoltà, anche i simpatici politici teutonici non solo si rendono conto che qualcosa non va, ma brigano con solerzia da un lato per rimodellare la Ue - che pure è guidata da una loro rappresentante e amica - dall’altro per scavalcarla alla bisogna. A questo punto, poco importa quello che otterranno. Ciò che conta è che finalmente si possano aprire gli occhi a tutti gli eurofanatici del circondario. Se i tedeschi mostrano notevole insofferenza, se anche loro hanno capito che le regole verdi e i divieti sono letali, e se anch’essi certificano che la trattativa bilaterale con gli Stati Uniti è l’unica che consente un lieve margine di manovra, perché noi dovremmo ostinarci a negare la realtà? In soldoni, i tedeschi ribadiscono che non serve più Europa ma meno. E se lo dicono loro che l’Europa l’hanno plasmata in base al proprio interesse, per quale ragione noi dovremmo sostenere il contrario? Il padrone autoritario molla la presa: i servi dovrebbero festeggiare e regolarsi di conseguenza.
Un modello Keqiao SS 2026 durante la Milano Fashion Week. Nel riquadro, Ruan Chuping
Brunello Cucinelli (Imagoeconomica)
Plastico del Ponte sullo Stretto (Imagoeconomica)
Nel riquadro, Andrea Baccarelli, preside della T.H. Chan school of public health di Harvard. (IStock)