2023-12-04
Prove di retromarcia in Europa sul green
Ursula von der Leyen (Ansa)
A Bruxelles il fanatismo verde sembra lasciare il campo al pragmatismo. Lo si è visto su pesticidi, imballaggi e immobili. Però la battaglia è ancora lunga, a partire dall’auto.La normativa sul packaging: il compromesso sul riciclo riduce i costi per i consumatori.Il 7 dicembre ci sarà la ratifica finale della nuova normativa sulle case green: per ristrutturare ci sarà più tempo ma occhio ai colpi di coda delle lobby.Lo speciale contiene tre articoli.Spira un vento diverso in Europa. Sarà forse una coincidenza ma con l’approssimarsi del voto per il rinnovo per Parlamento europeo, si sta stemperando la battaglia ideologica sulla transizione green. Alcuni temi, pilastri della strategia Ue, quali quelli sullo stop alle auto endotermiche, sull’uso dei pesticidi, sugli imballaggi e sulla certificazione energetica degli immobili, sono stati rivisti con una impostazione meno ideologizzata e più pragmatica. Peraltro, uscito di scena Frans Timmermans, vicepresidente della Commissione europea e pervicace sostenitore del Green Deal, «senza se e senza ma», che ha incassato anche la sonora sconfitta alle elezioni olandesi (probabilmente l’elettorato non aspettava altro che di presentargli il conto delle politiche scellerate sull’agricoltura), le istituzioni europee sembrano aver imboccato la strada della concretezza. Il cieco fanatismo ecologista pare aver lasciato spazio a posizioni più ragionevoli. Il condizionale è d’obbligo giacché se su alcuni temi è prevalsa alla fine una posizione più soft, non si può ancora cantare vittoria. A spingere verso il pragmatismo deve aver inciso indubbiamente la crisi economica e in particolare le difficoltà della locomotiva tedesca, che per far marciare i motori dell’industria non può affidarsi all’eolico e al fotovoltaico ma ha ancora bisogno dell’energia fossile. Come non può mandar allo sbando i marchi tedeschi dell’auto per rincorrere i traguardi ecologici imposti dall’utopia ambientalista o consegnarsi mani e piedi all’industria cinese, più veloce nell’elettrico perché svincolata dalle regole capestro europee. Pechino tra aiuti di Stato e vantaggio competitivo sull’estrazione di materie prime (l’industria mineraria bandita in Europa marcia a pieno ritmo in Asia) non aspetta altro che colonizzare completamente la Ue fagocitando i marchi più illustri. Così qualche consigliere tedesco starebbe esercitando una forte pressione presso la Commissione, della quale Berlino è sempre stato azionista influente, affinché siano riviste le scadenze per l’abbandono dell’endotermico. Anche se i Verdi sono al governo, Berlino continua a mantenere uno «zoccolo duro» di carbone e gas perché è semplicemente impossibile farne a meno, per molto tempo ancora. I ministri europei dell’Energia, a marzo scorso, hanno ratificato a maggioranza il regolamento sullo stop ai motori termici alimentati a benzina e diesel nel 2035 (l’Italia si è astenuta, insieme a Bulgaria e Romania, mentre la Polonia ha votato contro) ma dietro le quinte non si è interrotta la discussione sull’ipotesi di spostare in avanti tale tagliola. C’è chi teme che il passaggio rapido a un’economia meno carbonica sia l’occasione per l’estensione della colonizzazione asiatica. È quello che accadde negli anni Ottanta nell’auto quando Toyota, Nissan, Honda e Mitsubishi invasero l’America mettendo in crisi i big di Detroit. Stavolta ci sarebbe la Cina al posto del Giappone.Nel periodo da gennaio a maggio di quest’anno le quattro maggiori marche automobilistiche tedesche (Volkswagen, Audi, Bmw, Mercedes) hanno prodotto nei loro stabilimenti europei mezzo milione di vetture in meno rispetto allo stesso periodo nel 2019. Nella sfida sull’auto elettrica Pechino è il problema maggiore per le marche tedesche. Se gli automobilisti cinesi a casa loro comprano meno Volkswagen Audi Bmw e Mercedes, lo si deve all’avanzata delle alternative elettriche, dove l’offerta da parte delle case domestiche è vincente. L’invasione cinese non è più un’ipotesi accademica. Accelerare sulla decarbonizzazione non conviene. Il modello lo fornisce proprio Pechino che si può considerare leader mondiale nelle rinnovabili, crede fermamente nel solare e nell’eolico, ha una posizione dominante nell’auto elettrica, investe in questi settori più dell’Europa, ma non si sogna di abbandonare carbone, gas, petrolio.Cambio di rotta già deciso invece per l’uso dei pesticidi, per le case green e per gli imballaggi. Il taglio del 50% dei pesticidi in agricoltura è stato bloccato. Nel 2020 l’Europa aveva lanciato il Green Deal e la sua applicazione all’agricoltura, la Strategia Farm to Fork, che prevedeva il dimezzamento dell’utilizzo dei pesticidi e il 25% di superficie agricola coltivata a biologico da qui al 2030. Il voto contrario del Parlamento, che ha visto l’Italia protagonista con un ruolo molto attivo, però è solo un primo passo. Ora la palla passa al Consiglio europeo che dovrà adottare una posizione negoziale in prima lettura. Il testo dopo tornerà in seconda lettura in Parlamento. Un percorso che difficilmente potrà essere concluso entro la fine della legislatura e quindi passerà sul tavolo della nuova legislatura. L’opposizione è stata trasversale; gruppi conservatori e popolari fino ad una parte di Socialisti e Democratici e dei Liberali. La strategia di imporre dall’alto obiettivi poco realistici e il rifiuto di valutare l’impatto della normativa hanno scatenato la protesta dei sindacati degli agricoltori. Un voto favorevole avrebbe avuto drammatiche ripercussioni sul settore primario nazionale, andando a ridimensionare sensibilmente diverse filiere, come ha ricordato la Copagri. Le associazioni hanno rimproverato alla Commissione di aver messo a terra un progetto di riduzione dei pesticidi senza considerare la disponibilità di valide alternative per gli agricoltori in difesa delle proprie produzioni, che ancora dipendono in molti casi dall’uso della chimica. Un’altra battuta d’arresto c’è stata sugli imballaggi. Qui l’Italia ha rischiato grosso. Se fosse passata la versione del regolamento proposta dalla Commissione europea, la nostra industria del riciclo, leader in Europa, sarebbe stata azzerata. Il Parlamento europeo ha approvato alcune deroghe per i Paesi in grado di dimostrare di aver raggiunto alte performance di riciclo (85%) rispetto agli imballaggi immessi sul proprio mercato e non ha fissato target al riuso che avrebbero penalizzato industria e agricoltura. Si è quindi tornati all’obiettivo originario, cioè non ridurre gli imballaggi ma diminuire i rifiuti e trovando un punto di equilibrio tra riciclo e riuso con la riduzione drastica dell’elenco degli imballaggi monouso vietati dalla Commissione. Il testo aggiornato del regolamento riconosce che il riuso può funzionare solo a determinate condizioni. Basta pensare alle enormi criticità legate al massiccio impiego di acqua, risorsa che lo stesso esecutivo Ue classifica come scarsa. Peraltro il minor impatto ambientale del riutilizzo non è supportato scientificamente e anzi probabilmente implica più trasporti, più inquinamento e maggiori consumi di acqua ed energia, come ha sempre sottolineato il presidente di Unionplast, Marco Bergaglio. Adesso però il testo passa all’esame del Consiglio Ambiente (18 dicembre). La presidenza di turno spagnola è intenzionata a chiudere il dossier.L’Italia è uno dei Paesi a più alto tasso di riciclo nel settore degli imballaggi come dimostrano i numeri. Secondo gli ultimi dati forniti dal Conai, il Consorzio Nazionale Imballaggi, nel 2023 il tasso di riciclo degli imballaggi potrebbe raggiungere il 75%, l’equivalente di circa 11 milioni di tonnellate di packaging avviati a riciclo.Rimane ancora in vigore il sistema di deposito cauzionale per i contenitori per bevande in plastica e metallo con capienza da 0,1 a 3 litri per intercettare tutti quegli imballaggi che vengono raccolti in maniera differenziata. A partire dal 1° gennaio 2029 gli Stati membri dovranno garantirne l’istituzione a patto che non dimostrino di raggiungere un livello di raccolta differenziata dell’85%. Il Conai ha più volte sottolineato che il deposito cauzionale rappresenta «una duplicazione inutile di costi economici ed ambientali: va ad affiancare, senza sostituirsi in tutto, le raccolte differenziate tradizionali». Si tratterebbe di distribuire capillarmente sul territorio nazionale circa 100.000 Reverse Vending Machine, «per un investimento iniziale di circa 2,3 miliardi di euro, e un costo di gestione di circa 350 milioni di euro all’anno». Un’altra follia ecologista senza senso. Possono stare tranquilli, per il momento, i proprietari di immobili. Le case dovranno essere comunque ristrutturate per adattarle a standard di efficienza energetica più alta, decisi con la direttiva sulle case green, ma le tempistiche potrebbero essere meno stringenti di quanto previsto nel testo originario: a fissare i paletti, infatti, saranno i singoli Stati e non l’Ue.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/prove-retromarcia-europa-green-2666428471.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-compromesso-sul-riciclo-riduce-i-costi-per-i-consumatori" data-post-id="2666428471" data-published-at="1701676715" data-use-pagination="False"> Il compromesso sul riciclo riduce i costi per i consumatori «Più che di marcia indietro su alcuni temi come quello degli imballaggi, io parlerei di un’impostazione più flessibile che tiene conto delle specificità dei Paesi membri. Ma non c’è alcun ripensamento sulle politiche green». Edoardo Croci, coordinatore dell’Osservatorio sulla Green Economy dell’Università Bocconi di Milano, frena gli entusiasmi. «La politica comunitaria sulla transizione ecologia non è cambiata. Il regolamento approvato dal Parlamento Ue sugli imballaggi rappresenta un compromesso ragionevole tra situazioni e modelli diversificati a livello europeo. L’obiettivo di fondo, cioè migliorare le performance dei sistemi di gestione dei rifiuti, è rimasto». È stato conservato però il meccanismo del deposito cauzionale che impone la creazione di una rete capillare di raccolta. «Il regolamento lo mantiene ma in modo più soft» spiega Croci. «Nella versione iniziale c’era l’obiettivo di arrivare al 90% della raccolta entro il 2027, ora all’85% e qualora i Paesi non ce la facciano, possono varare piani biennali di recupero dei rifiuti». Il Conai però avrebbe preferito che fosse tolto dal Regolamento perché rappresenta comunque un costo importante per il sistema. «È vero, servono investimenti importanti ma meno che nella versione iniziale. Ogni punto in più in percentuale del riciclo ha un costo maggiore della fase iniziale perché la raccolta degli imballaggi va effettuata in situazioni complesse. Cambiare l’intero sistema avrebbe comportato investimenti di miliardi di euro, con l’attuale sistema gli investimenti sono di entità minore. C’è un costo superiore per la raccolta ma solo sulla frazione aggiuntiva». I consumatori pagheranno di più la merce? «Questo già avviene, è inevitabile. Col deposito cauzionale più stringente, il ricarico sui consumatori sarebbe stato superiore». Ma dopo tanti disagi e costi, il gioco vale la candela? «Bella domanda. Alcuni studi dicono di sì, altri sono scettici. L’Europa sta spingendo verso un riciclo sempre più alto e questo ha un costo. È anche vero che i materiali recuperati hanno un valore e contribuiscono a ridurre l’onere finanziario». Poi Croci ricorda che il regolamento non è ancora definitivo perché spetta al Trilogo tra istituzioni comunitarie l’ultima parola. «Il quadro complessivo definito dal pacchetto sull’economia circolare approvato nel 2018 spinge verso obiettivi sempre più ambiziosi di recupero e riciclo degli imballaggi e verso l’avvio di nuovi sistemi di raccolta differenziata e riciclo per settori prima non regolati, come il tessile e i rifiuti da costruzione e demolizione» <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/prove-retromarcia-europa-green-2666428471.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="la-normativa-sulle-case-per-ristrutturare-ci-sara-piu-tempo-ma-occhio-ai-colpi-di-coda-delle-lobby" data-post-id="2666428471" data-published-at="1701676715" data-use-pagination="False"> La normativa sulle case: per ristrutturare ci sarà più tempo ma occhio ai colpi di coda delle lobby Il 7 dicembre ci sarà la ratifica finale della nuova normativa sulle case green. Per questa data è fissato l’incontro definitivo tra Parlamento, Consiglio e Commissione europei. A sbloccare la situazione è stata una riunione avvenuta circa un mese fa, che ha cambiato alcuni degli aspetti più importanti della norma. La modifica più importante riguarda le tempistiche. Nella prima versione, si stabiliva che tutti gli edifici residenziali avrebbero dovuto raggiungere la classe energetica E entro il 2030 e la classe D nel 2033. Nella versione nuova, invece, saranno i singoli Stati a poter decidere i tempi per raggiungere questi traguardi. Resta confermato il traguardo zero emissioni per il 2050. Nel frattempo, ogni Paese fisserà delle tappe intermedie da rispettare, misurando il consumo energetico per metro quadro e definirà il numero di edifici da ristrutturare. La Ue fisserà, ogni cinque anni, a partire dal 2030, traguardi per verificare che le misure stiano funzionando. Le soglie intermedie saranno decise nella riunione del 7 dicembre. Per questo risultato l’Italia si è spesa in modo particolare. Nel nostro Paese il 43% degli edifici è in classi energetiche basse. Questa percentuale equivale a circa 5 milioni di immobili residenziali. Milioni di case andranno ristrutturate ma in tempi più lunghi. La posta in gioco è alta. «La vittoria, se non sarà smentita da manovre poco trasparenti sempre in agguato, sarebbe quella dell’eliminazione degli obblighi di intervento sugli immobili entro determinate (e impraticabili) scadenze», commenta il presidente di Confedilizia, Giorgio Spaziani Testa, che ha condotto una battaglia serrata per incidere nelle decisioni delle istituzioni europee. Insieme all’Italia, spiega, «hanno fatto fronte comune Grecia, Spagna (in parte), Finlandia (ha sollevato obiezioni di costituzionalità) e Germania (ha modificato l’atteggiamento alla fine)». Quali vantaggi ora si prospettano per i proprietari? «Se tutto andrà bene, non si parlerà di vantaggi, ma di scampati pericoli». Ma i rischi sono sempre dietro l’angolo. «Su questa proposta di direttiva si concentrano due elementi pericolosi e molto influenti. Il primo è quello degli oltranzisti del green, che sono sempre pronti ad alzare l’asticella delle misure da imporre ai proprietari di casa. Il secondo è quello degli interessi, composto da migliaia di operatori che non aspettano altro che avere guadagni assicurati da obblighi imposti per legge» afferma il presidente di Confedilizia, che sollecita le istituzioni a «tenere alta l’attenzione, continuare a premere sulla politica e sperare che a prevalere sia - in via definitiva - il buon senso».
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