2021-12-03
Dati contraddittori, pochi test clinici. Però l’Aifa fa politica: «Vaccinate i bimbi»
Solo 1.300 i pazienti di 5-11 anni testati. I report di Ema e Pfizer sull’efficacia sono difformi. Da noi parte il ricatto della socialità.Con i minori di 12 anni si parte il 16. I pediatri avvisano: «A breve tocca ai più piccoli».Lo speciale contiene due articoliÈ un delirio di numeri sulla pelle dei bambini. Secondo la commissione tecnico scientifica dell’Aifa, «i dati dello studio registrativo», presentato da Pfizer e Biontech per ottenere da Ema l’autorizzazione alla commercializzazione in Europa del vaccino, «mostrano un elevato livello di efficacia nella popolazione in oggetto». Il burocratese è riferito alla fascia 5-11 anni che nel nostro Paese potrà stendere il braccino per farsi inoculare il farmaco anti Covid, a partire dal prossimo 16 dicembre. Rassicurante, potrebbero commentare genitori ansiosi di conoscere il perché del responso positivo dell’Agenzia regolatoria, ignari che le sperimentazioni sono state compiute su 1.305 bimbi cui è stato inoculato Comirnaty, mentre 663 hanno ricevuto il placebo. Questa, purtroppo, è la portata dello studio che ha fatto decidere per la vaccinazione di 3,6 milioni di creature in Italia. In verità, nemmeno sui dati dei trial clinici c’è allineamento tra Aifa, Ema e Pfizer. Due giorni fa, l’Agenzia italiana del farmaco motivava il sì citando «3.100 bambini vaccinati». L’agenzia europea, che il 25 novembre aveva rilasciato l’autorizzazione, riferiva di «1.305 bambini che hanno ricevuto il vaccino. Tre hanno sviluppato Covid-19 rispetto a 16 dei 663 bambini che hanno ricevuto il placebo». Attenzione, non è una lotteria, stiamo parlando di studi in base ai quali si è decisa la salute di decine di milioni di bambini solo nella Ue. A settembre erano Pfizer e Biontech che illustravano i risultati «positivi» delle sperimentazioni su «2.268 partecipanti di età compresa tra 5 e 11 anni» e dichiaravano che le medie geometriche dei titoli (Gmt) degli anticorpi non erano inferiori a quelle «dei partecipanti di età compresa tra 16 e 25 anni, utilizzati come gruppo di controllo». Inoltre, aggiungevano che nei più piccoli «il vaccino Covid-19 è stato ben tollerato, con effetti collaterali generalmente paragonabili a quelli osservati nei partecipanti di età compresa tra 16 e 25 anni». A parte misurare effetti e reazioni accostando fasce di età così differenti (creature in formazione e giovani adulti), ma è possibile che non vengano comunicati numeri esatti sulle sperimentazioni effettuate in quell’età pediatrica? Le incongruenze purtroppo abbondano, nella relazione stilata dal Cts dell’Aifa. Sempre parlando dello studio compiuto su poche centinaia di piccoli, gli esperti dichiarano che la vaccinazione «ha mostrato un’efficacia nella riduzione delle infezioni sintomatiche da Sars-Cov-2 pari al 90,7% rispetto al placebo». L’Ema aveva puntualizzato diversamente: «Il tasso reale poteva essere compreso tra il 67,7% e il 98,3%», mentre la media indicata dalla nostra agenzia regolatoria non tiene conto di questa importante valutazione. Tutto il documento, in realtà, è desolatamente privo di sostanza scientifica. A parte scrivere che i dati della farmacovigilanza americana sulle reazioni post vaccino (prevalentemente una dose) in circa 3,3 milioni di bambini di 5-11 anni «non evidenziano al momento nessun segnale di allerta in termini di sicurezza», come se questo dovesse bastare a tranquillizzare, le considerazioni espresse sembrano più da trattato psicologico che da agenzia responsabile dell’autorizzazione di farmaci. In base a una manciata di sperimentazioni vengono date per certe l’efficacia e la sicurezza del vaccino nei più piccoli, poi il comitato si inoltra in valutazioni che non gli competono. Accettare la punturina «comporta benefici di altra natura, quali la possibilità di frequentare la scuola e condurre una vita sociale connotata da elementi ricreativi ed educativi», scrivono persone pagate per investigare gli effetti dei prodotti farmaceutici sugli organismi viventi, non le problematiche psicosociali. «Oltre ai suddetti benefici diretti, la vaccinazione dei bambini comporterebbe un aumento della copertura vaccinale dell’intera popolazione e, quindi, una maggiore protezione anche per i soggetti più fragili di tutte le età, soprattutto se conviventi con i bambini», aggiungono, dimenticando che i più fragili hanno già fatto anche la terza dose e non hanno bisogno di usare i piccoli come scudo contro il Covid. Le farneticazioni, sui bimbi che dovrebbero proteggere adulti e anziani e non il contrario, fanno molta presa ultimamente. Ieri un pediatra di Trieste, Giorgio Tamburlini, dichiarava a Repubblica: «A partire dai 9-10 anni i bambini hanno anche provato la sensazione sgradevole di sentirsi responsabili e colpevoli, se sono stati coinvolti in contagi in famiglia o a scuola». E per fortuna che il medico è presidente del Centro per la salute del bambino, sennò che altri macigni voleva caricare sui piccoli per convincerli della bontà del vaccino? Sono partite iniziative vergognose, per ingannevolezza del messaggio. «E adesso sì che possiamo giocare liberamente», cantano in coro i bimbi cartonati del girotondo in locandina, pensato dalla Regione Lazio per far presa su mamme e papà convincendoli a portare i figli a vaccinarsi contro il Covid. Eppure lo stesso documento dell’Aifa non ha potuto fare a meno di citare un recente rapporto Ecdc, il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, il quale «dimostra che la maggior parte dei bambini di 5-11 anni ospedalizzati per Covid non presentava alcun fattore di rischio». Perché allora vaccinarli con un farmaco, sebbene in dosi ridotte, che ancora non sappiamo quali effetti provocherà nel tempo? Dal proprio database sulla sicurezza, Pfizer lo scorso aprile aveva fornito i rapporti sugli eventi avversi al vaccino BNT162b2 registrati negli Stati Uniti e all’estero fino al 28 febbraio 2021. Raccolti in nove pagine dell’appendice ce ne sono più di 1.200 definiti «di particolare interesse». Speriamo che la promessa «farmacovigilanza di routine» continui, e più stretta sui bambini.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/pochi-test-aifa-vaccinate-bimbi-2655912035.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="e-gia-scatta-la-rincorsa-ai-lattanti-di-6-mesi" data-post-id="2655912035" data-published-at="1638472709" data-use-pagination="False"> E già scatta la rincorsa ai lattanti di 6 mesi Non facciamo nemmeno in tempo a inaugurare le vaccinazioni sui bimbi da 5 a 11 anni - partiranno il 16 dicembre - che già qualcuno si frega le mani, al pensiero di puntare la siringa sui ragazzini ancora più piccoli. È una prospettiva alla quale, da come si rivolge al Corriere della Sera, sembra proprio non riuscire a resistere il professor Bruno Dallapiccola, direttore scientifico dell’ospedale pediatrico Bambin Gesù di Roma: «C’è da chiedersi perché un sistema come il vaccino, che ha funzionato su miliardi di adulti nel mondo, compresi decine di milioni di adolescenti, non debba essere altrettanto efficiente quando si passa a una età inferiore. È logico aspettarsi tra non molto l’arrivo del vaccino per 6 mesi-4 anni e varrà lo stesso ragionamento». Un ragionamento che, però, è l’apoteosi dell’approssimazione: i bambini non sono adulti e neppure adolescenti in miniatura. Anzi, più sono piccoli, meno reggono eventuali analogie. In fondo, è proprio per questo motivo che esiste una branca della medicina denominata, appunto, pediatria. Basterebbe già tale pacifica e banale considerazione, per indurci a evitare frettolosi parallelismi. Ma ormai, la spirale pandemica ha risucchiato la verità scientifica nel vortice della propaganda politica. A ben vedere, lascia perplessi anche l’altro paragone proposto dal luminare del Bambin Gesù: quando uscì il vaccino contro la polio, ricorda lui, «nessuno protestava. Eppure l’antipolio conteneva virus attenuato e c’era il rischio che infettasse». Al prof sfugge che, nel Novecento, divennero ricorrenti le ondate epidemiche di questa patologia, che provoca gravi disabilità. Naturale si fosse disposti a correre qualche pericolo, per ottenere un maggior beneficio. Al contrario, il Sars-Cov-2, per i giovani, è un problema trascurabile, benché già da qualche mese sia partito il martellamento, ancorato a statistiche cucite ad arte, sui bimbi in rianimazione e le sindromi da long Covid. Il rapporto rischi-benefici, nel caso del vaccino per il coronavirus, rimane più che discutibile. Per fortuna ieri, sul Fatto, il direttore scientifico dello Spallanzani, Enrico Girardi, ha offerto confortanti barlumi di lucidità: «Il Covid-19, nei bambini senza patologie preesistenti», ha ribadito, «è nella quasi totalità una malattia lieve e con manifestazioni cliniche praticamente assenti». Al contrario, vanno ancora valutati i possibili «eccessi di eventi avversi», anche rari, che sono difficili da riscontrare quando nei trial clinici sono coinvolti meno di 2.000 soggetti, com’è accaduto con il preparato di Pfizer. La priorità della campagna vaccinale dovrebbero essere le fasce anagrafiche più vulnerabili e i pazienti fragili, quasi sempre vaccinati già dai primi mesi del 2021 e, adesso, virtualmente scoperti. La logica vorrebbe che ogni sforzo fosse concentrato su di loro, piuttosto che sulla caccia ai manipoli di no vax o, peggio, sulla rincorsa ai bambini. Se solo la logica non fosse ricoverata in terapia intensiva.
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Il ministro dell'Ambiente Gilberto Pichetto Fratin (Imagoeconomica). Nel riquadro il programma dell'evento organizzato da La Verità