- Ristoranti, logistica, imprese edili: una grossa fetta dell’economia tedesca si basa sul riciclo di capitali illeciti. E la polizia riesce a confiscarne solo il 2%.
- Salvatore Calleri, presidente della Fondazione Antonino Caponnetto: «I criminali italiani sono duttili: la camorra aveva messo nel mirino Berlino Est già prima che il Muro crollasse».
- Tra i leader delle gang, gli albanesi sono secondi solo ai turchi. E molti sono «profughi».
Ristoranti, logistica, imprese edili: una grossa fetta dell’economia tedesca si basa sul riciclo di capitali illeciti. E la polizia riesce a confiscarne solo il 2%.Salvatore Calleri, presidente della Fondazione Antonino Caponnetto: «I criminali italiani sono duttili: la camorra aveva messo nel mirino Berlino Est già prima che il Muro crollasse».Tra i leader delle gang, gli albanesi sono secondi solo ai turchi. E molti sono «profughi».Lo speciale contiene tre articoli.Di fronte alla solidità dell’economia tedesca – nonostante segnali sempre più evidenti di rallentamento – si cela una realtà ben più opaca: un sistema sommerso, alimentato da enormi flussi di denaro illecito, che si insinua nei settori strategici del mercato ufficiale, contaminandoli. Una rete finanziaria parallela fatta di capitali in contanti e affari nascosti, un’enorme massa di denaro «in nero». Quello stesso «nero» che, da anni, la Germania attribuisce all’Italia.Dietro centinaia di ristoranti italiani, imprese edili, società di logistica e attività commerciali, agiscono in realtà le mafie italiane – in particolare la ‘ndrangheta – ma anche cartelli balcanici, clan della camorra e gruppi di matrice albanese. Secondo un rapporto del Bundeskriminalamt (Bka), la polizia criminale federale, oltre 120 clan della criminalità organizzata italiana operano stabilmente in Germania, con una forte concentrazione in Renania Settentrionale-Vestfalia, Baden-Württemberg, Assia e Baviera. A muovere il tutto è il riciclaggio dei proventi del narcotraffico, delle estorsioni e della tratta di esseri umani. Il denaro, una volta ripulito, viene reinvestito in attività imprenditoriali apparentemente legittime. Il risultato è un’economia drogata, dove le regole del libero mercato vengono alterate da chi può permettersi di operare in perdita pur di riciclare capitali illeciti. Quanto vale tutto questo? Almeno 30 miliardi di euro e la cifra è destinata a crescere data l’enorme richiesta di cocaina del mercato.«La Germania è diventata una cassaforte per i patrimoni mafiosi. Non solo perché offre un’economia stabile, ma anche perché le sue leggi sono ancora inadeguate a colpire il metodo mafioso», spiega un investigatore antimafia italiano impegnato in missioni internazionali. Il punto più critico resta infatti l’assenza del reato di associazione mafiosa nell’ordinamento penale tedesco: un vuoto giuridico che rende estremamente difficile colpire le reti criminali nella loro dimensione organizzata. Nel 2023, l’operazione «Eureka», condotta congiuntamente da Eurojust, Europol, polizia italiana e tedesca, ha messo a nudo l’estensione del fenomeno: oltre 150 arresti in tutta Europa, di cui una cinquantina in Germania. Le indagini hanno dimostrato come la ‘ndrangheta utilizzasse società tedesche per reinvestire milioni di euro provenienti dal traffico di cocaina e hashish, con basi logistiche ad Amburgo e Duisburg. Nel porto di Amburgo, i sequestri di cocaina sono aumentati del 750% tra il 2018 e il 2023, e sono emersi casi di corruzione anche all’interno delle forze dell’ordine e della magistratura. La ‘ndrangheta calabrese, ritenuta la più potente e globalizzata delle organizzazioni criminali italiane, ha trovato in Germania un terreno fertile per espandere i propri affari, soprattutto nel narcotraffico. La cocaina colombiana, sbarcata nei porti del Nord Europa, viene smistata da hub logistici situati in città come Duisburg, Mannheim e Francoforte, con l’intermediazione di clan radicati sul territorio e con legami familiari diretti con le cosche di origine. A gestire questa rete sono clan stabilmente insediati sul territorio tedesco, legati da vincoli di sangue alle cosche calabresi d’origine.Ma non si tratta solo di droga. Le mafie italiane controllano anche reti di distribuzione alimentare, ristoranti di facciata e appalti nel settore edile, spesso servendosi di prestanome locali o cittadini italiani residenti in Germania da generazioni. In molte città, le cosche hanno stabilito relazioni stabili con professionisti compiacenti – commercialisti, notai, avvocati spesso impegati in politica – che facilitano l’apertura di società, la compravendita di immobili e la fittizia intestazione di capitali. La logistica è un altro settore-chiave. Le autostrade tedesche, le infrastrutture portuali e i collegamenti ferroviari rendono la Germania una piattaforma ideale per lo smistamento di merci e sostanze illecite. Alcune cooperative di trasporto legate ad ambienti mafiosi si sono aggiudicate contratti pubblici attraverso offerte al ribasso rese possibili solo da un’iniezione costante di liquidità criminale. Il meccanismo si autoalimenta: più denaro viene riciclato, più le organizzazioni acquisiscono potere economico e sociale. In diverse città della Ruhr e del Baden-Württemberg, alcuni esponenti della ‘ndrangheta sono ormai considerati imprenditori rispettabili, sponsor di eventi culturali e benefattori locali. Una mimetizzazione perfetta, che rende difficile l’intervento da parte delle autorità. Inoltre, la libertà di impresa e la scarsa regolamentazione del settore immobiliare hanno favorito investimenti opachi. Si stima che oltre 15 miliardi di euro di capitali illeciti siano stati reinvestiti in immobili in Germania solo nell’ultimo decennio. Eppure, i segnali ci sono da decenni. Nel 2007, la strage di Duisburg – in cui sei persone legate alla faida di San Luca furono uccise davanti a un ristorante – scosse per la prima volta l’opinione pubblica tedesca. Da allora, le autorità hanno avviato un lento processo di consapevolezza, ma la risposta legislativa resta del tutto parziale. Solo nel 2021, il governo federale ha approvato una legge che rafforza il sequestro dei beni di origine sospetta, ma l’assenza di strumenti adeguati per contrastare il reato associativo impedisce indagini strutturate come quelle italiane. Anche le istituzioni europee suonano l’allarme. In un rapporto del Parlamento europeo si afferma che la Germania è tra i Paesi membri più vulnerabili al riciclaggio di denaro mafioso, a causa della «mancanza di trasparenza dei registri societari e dell’assenza di un’autorità centrale per il contrasto alla criminalità organizzata». Nel frattempo, le mafie si adattano, sfruttando nuove tecnologie e canali finanziari criptati. Alcune indagini recenti hanno documentato l’uso di criptovalute per il trasferimento di fondi illeciti, e l’impiego di piattaforme di trading online per il riciclaggio. Il rischio è che l’inerzia istituzionale consenta a questo sistema parallelo di radicarsi in modo irreversibile. Non si tratta più solo di una minaccia alla sicurezza, ma di una distorsione strutturale del mercato. Se un’impresa può permettersi di lavorare in perdita perché alimentata da fondi mafiosi, l’imprenditoria onesta è destinata a soccombere. Il caso tedesco rappresenta un monito per tutta l’Europa: non esiste economia forte che possa dirsi immune dal virus mafioso se non adotta strumenti legislativi adeguati e una cultura della legalità diffusa. Ma la domanda è: la Germania vuole davvero combattere le mafie? Una ricerca evidenzia che solo il 2 % dei beni illeciti riesce a essere confiscato in Germania, e senza riforme urgenti il Paese resterà un centro nevralgico per la criminalità organizzata.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/pil-germania-drogato-dalle-mafie-2673891392.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="contro-le-cosche-mancano-ancora-norme-adeguate" data-post-id="2673891392" data-published-at="1755483403" data-use-pagination="False"> «Contro le cosche mancano ancora norme adeguate» Salvatore Calleri, presidente della Fondazione Antonino Caponnetto Del ruolo delle mafie in Germania abbiamo parlato con Salvatore Calleri, presidente della Fondazione Antonino Caponnetto.Quand’è che le mafie scoprono la Germania come territorio dove fare affari con una certa tranquillità? «Le mafie in generale, ed a questa regola non si sottraggono le nostrane, seguono i flussi migratori dove con le persone oneste, che sono la maggioranza, arrivano però percentuali consistenti di mafiosi. I primi flussi migratori di italiani consistenti in Germania sono avvenuti nei primi anni Sessanta, con un aumento nei successivi anni Settanta. A quel periodo sono ascrivibili gli arrivi dei primi mafiosi italiani. La provenienza dei mafiosi italiani è principalmente dalle regioni meridionali ed in primis dalla Sicilia, dalla Calabria, dalla Puglia e dalla Campania. Questa è la situazione inerente a quella che fino al 1989, ossia alla caduta del Muro, era la Germania Ovest. Per la Germania est (Ddr) l’arrivo degli italiani è contemporaneo alla caduta del muro ed al caos conseguente. In particolare fece scalpore il testo di una intercettazione del 9 novembre 1989, dove un esponente di rilievo del clan della camorra Zaza diceva al fratello di comprare il più possibile ad est: “Stasera buttano giù il Muro. Per ordine di chi sai devi correre a Berlino Est e comperare tutto quello che puoi”. Questa telefonata, oltre a fare scuola pure per gli altri clan, ha dimostrato che come sempre le mafie italiane sono duttili, e questo consente loro una grande capacità di azione. Le mafie italiane, in mancanza di una adeguata normativa, anche se piccoli miglioramenti si registrano, si trovano bene in Germania».Come si spartiscono il territorio tedesco le mafie italiane? «Le mafie italiane tendono ad andare d’accordo tra loro e con le mafie straniere dividendosi i rispettivi campi d’intervento. Il territorio è ampio e sono presenti in modo diffuso ben oltre l’immaginario tedesco in vari settori, dall’immobiliare, al ricettivo, alla ristorazione. Senza trascurare i traffici tipici delle organizzazioni criminali organizzate. Le mafie italiane in Germania è probabile che poi seguano lo schema confederativo esistente per il nord Italia emerso dalle indagini della Procura di Milano. Ma gli scontri possono sempre avvenire come successo a Duisburg il 15 agosto del 2007, una strage di ‘ndrangheta che fece molto rumore per alcuni anni e fece scoprire ai tedeschi quello che non volevano vedere: le mafie sparano ed uccidono. L’arrivo di nuove mafie come la “Moccro Maffia” a Colonia proveniente dal Belgio e dall’Olanda può poi portare ad instabilità criminali con guerre tra clan».Le locali di ‘ndrangheta in Germania rimangono in costante contatto con i boss in Calabria oppure godono di una certa autonomia? «Le locali sono sempre in contatto con i gruppi di origine della terra natale. Seguono le regole rigide della ‘ndrangheta. Le locali sono quindi da considerarsi una estensione all’estero della compagine criminale. Le locali nell’estrinsencare il loro potere sono comunque relativamente autonome e valgono i gradi delle gerarchie ‘ndranghetiste. Possono comunque sorgere dei conflitti nei casi in cui si ricerchi una maggiore autonomia dalla casa madre. Lo stesso vale per le organizzazioni siciliane presenti ascrivibili a Cosa Nostra. Per le altre mafie possono esserci sfumature diverse a seconda dei clan e delle tipologie degli stessi».Come fanno a coesistere in Germania le mafie italiane con quelle balcaniche? «Le mafie italiane sono molto considerate a livello internazionale anche solo per motivi storici e per il prestigio acquisito anche a livello di filmografia mondiale. La regola base è quella della collaborazione che si fonda sul mettere a frutto le specificità dei singoli gruppi. Si registra poi una particolare sintonia tra clan albanesi e la ‘ndrangheta, entrambi forti nel traffico di droga. Nel traffico di armi poi bisogna seguire con attenzione le organizzazioni serbe che sono specializzate in questo dai tempi della guerra che ha insanguinato l’ex Jugoslavia. Non sono comunque mai da escludere dei conflitti tra gruppi italiani e gruppi balcanici in caso di disaccordi». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/pil-germania-drogato-dalle-mafie-2673891392.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="la-forza-dei-clan-balcanici-e-la-tratta-di-migranti" data-post-id="2673891392" data-published-at="1755483403" data-use-pagination="False"> La forza dei clan balcanici è la tratta di migranti Le organizzazioni criminali dei Balcani occidentali – provenienti da Albania, Kosovo, Montenegro, Bosnia-Erzegovina e Macedonia del Nord – hanno consolidato negli ultimi anni una presenza capillare in Germania. Secondo Europol, si tratta di reti transnazionali altamente strutturate, specializzate in traffico di stupefacenti, tratta di esseri umani, riciclaggio di denaro e contrabbando di migranti. Uno degli epicentri delle attività criminali è il porto di Amburgo, hub chiave per l’ingresso in Europa della cocaina proveniente dal Sud America. Le reti balcaniche – in particolare i clan albanesi e kosovari – sono attori centrali in questa catena logistica, gestendo trasporti, distribuzione e reinvestimento dei profitti illeciti.La Polizia criminale federale tedesca ha documentato un aumento costante della presenza balcanica nei dossier di criminalità organizzata. Nel 2023 sono stati identificati 285 sospetti albanesi coinvolti in reati mafiosi, in crescita rispetto ai 254 del 2022. Altri 100 sospetti sono originari del Kosovo, con ruoli attivi nei traffici illeciti. Preoccupante è il fatto che il 40% degli albanesi coinvolti avesse ottenuto lo status di asilo in Germania.Quasi la metà delle indagini sul crimine organizzato nel Paese riguarda il traffico di droga, comparto in cui i gruppi balcanici giocano un ruolo dominante. Il valore complessivo del traffico di cocaina gestito da questi gruppi in Germania è stimato oltre 1 miliardo di euro. Parallelamente, il traffico di esseri umani – in particolare lungo la rotta balcanica – è una fonte costante di reddito: i migranti pagano tra 4.500 e 12.000 euro per raggiungere la Germania. Tra le organizzazioni più influenti figurano i clan montenegrini Škaljari e Kavač, rivali storici coinvolti in una faida sanguinosa che ha avuto ramificazioni anche in Germania. Entrambi sono attivi nel traffico internazionale di droga e in episodi di violenza organizzata, come l’omicidio avvenuto a Forst nel 2019. A fianco di questi si collocano le famiglie albanesi, spesso legate a nuclei originari di Tirana e del Kosovo, che operano come protagonisti assoluti nel narcotraffico attraverso il porto di Amburgo. Anche alcuni gruppi bosniaci risultano coinvolti, seppur in misura minore, in attività come la tratta.Secondo Europol, le mafie balcaniche dimostrano una spiccata capacità di adattamento e di costruzione di alleanze criminali locali. A Berlino e Francoforte, ad esempio, pur non essendo egemoni, riescono a collaborare con clan turchi o arabi più radicati sul territorio, condividendo interessi e spartendosi il mercato. Le statistiche pongono l’Albania al quarto posto tra i Paesi con maggior peso nella criminalità organizzata in Germania, dopo Turchia, Polonia e Italia. Se si guarda alla nazionalità dei leader dei gruppi criminali, gli albanesi sono secondi solo ai turchi. La presenza delle mafie balcaniche in Germania è dunque tutt’altro che marginale: è un fenomeno strutturato, in evoluzione e con una capacità finanziaria e operativa tale da rappresentare una delle principali minacce per la sicurezza europea.
Mahmoud Abu Mazen (Getty Images)
Riunione in Egitto tra le principali fazioni. Il portavoce dell’Anp: «Poste le basi per un governo unitario, stop ai gruppi armati». Ma c’è già divisione sul possibile successore di Abu Mazen, Hussein al-Sheikh, inviso alla popolazione per l’elevato tenore di vita.
(Guardia di Finanza)
La Guardia di Finanza ha scoperto una rete di aziende gestite da imprenditori spagnoli che hanno ottenuto indebitamente incentivi per la produzione di energia solare. Sequestrati conti correnti, immobili e impianti fotovoltaici.
I Finanzieri del Comando Provinciale di Varese, nell’ambito di un’attività mirata al contrasto delle indebite erogazioni di risorse pubbliche, hanno individuato tre società controllate da imprenditori spagnoli che hanno richiesto e ottenuto indebitamente oltre 5 milioni di euro di incentivi per la produzione di energia solare da fonti rinnovabili.
L’indagine, condotta dalla Compagnia di Gallarate, è stata avviata attraverso l’analisi delle società operanti nel settore dell’energia elettrica all’interno della circoscrizione del Reparto, che ha scoperto la presenza di numerose imprese con capitale sociale esiguo ma proprietarie di importanti impianti fotovoltaici situati principalmente nelle regioni del Centro e Sud Italia, amministrate da soggetti stranieri domiciliati ma non effettivamente residenti sul territorio nazionale.
Sulla base di tali elementi sono state esaminate le posizioni delle società anche mediante l’esame dei conti correnti bancari. Dall’esito degli accertamenti, è emerso un flusso finanziario in entrata proveniente dal Gestore dei Servizi Energetici (GSE), ente pubblico responsabile dell’erogazione degli incentivi alla produzione di energia elettrica. Tuttavia, le somme erogate venivano immediatamente trasferite tramite bonifici verso l’estero, in particolare verso la Spagna, senza alcuna giustificazione commerciale plausibile.
In seguito sono state esaminate le modalità di autorizzazione, costruzione e incentivazione dei parchi fotovoltaici realizzati dalle società, con la complicità di un soggetto italiano da cui è emerso che le stesse avevano richiesto ad un Comune marchigiano tre diverse autorizzazioni, dichiarando falsamente l’installazione di tre piccoli impianti fotovoltaici. Tale artificio ha consentito di ottenere dal GSE maggiori incentivi. In questi casi, infatti, il Gestore pubblico concede incentivi superiori ai piccoli produttori di energia per compensare i maggiori costi sostenuti rispetto agli impianti di maggiore dimensione, i quali sono inoltre obbligati a ottenere l’Autorizzazione Unica Ambientale rilasciata dalla Provincia. In realtà, nel caso oggetto d’indagine, si trattava di un unico impianto fotovoltaico collegato alla stessa centralina elettrica e protetto da un’unica recinzione.
La situazione è stata segnalata alla Procura della Repubblica di Roma, competente per i reati relativi all’indebita erogazione di incentivi pubblici, per richiedere il sequestro urgente delle somme illecitamente riscosse, considerati anche gli ingenti trasferimenti verso l’estero. Il Pubblico Ministero titolare delle indagini ha disposto il blocco dei conti correnti utilizzati per l’accredito delle somme da parte del GSE e il vincolo su tutti i beni nella disponibilità degli indagati fino alla concorrenza di oltre 5 milioni di euro.
L’attività della Guardia di Finanza è stata svolta a tutela del corretto impiego dei fondi pubblici al fine di aiutare la crescita produttiva e occupazionale. In particolare, l’intervento ispettivo ha permesso un risparmio pari a ulteriori circa 3 milioni di euro che sarebbero stati erogati dal GSE fino al 2031 alle imprese oggetto d’indagine.
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Giorgia Meloni (Getty Images)
- Il premier: «Su 44 miliardi di profitti, gli istituti ne verseranno cinque». E annuncia un piano per «alloggi a prezzi calmierati per giovani coppie». Due punti su cui c’è sintonia col Carroccio, che però insiste: «Servono più soldi». Tajani: «Non dal credito».
- Infermieri, firmato l’accordo grazie alla Cisl: 172 euro al mese in più per il personale sanitario.






