2025-10-28
Orbán star a Roma fa rosicare la sinistra: «L’Ue non conta nulla, il gas russo ci serve»
Viktor Orbán e Giorgia Meloni a Roma (Ansa)
Il leader ungherese vede la Meloni e il Papa. «Dirò a Trump di togliere le sanzioni a Mosca». Contestazione di Più Europa.«L’Unione europea non conta nulla»: il premier ungherese Viktor Orbán, ieri a Roma per incontrare papa Leone XIV e Giorgia Meloni, dice quello che tutti pensano, molti affermano, eppure manco a dirlo scatena una canea strumentale e propagandistica delle opposizioni. Per rendervi conto di quanto siano fuori da ogni logica le azioni delle opposizioni italiane, pensate che il leader di Più Europa, Riccardo Magi, ha organizzato un flashmob (sarebbero quelle adunate di poche persone con qualche cartello in mano convocate per farsi una foto da postare sui social e mandare ai giornali): «Mentre Meloni lo accoglie a Palazzo Chigi», scrive Magi, «noi ricordiamo chi è davvero: il burattino di Putin, il simbolo della democrazia illiberale, l’uomo che usa i soldi europei per distruggere la libertà in Ungheria. Mettiamo il veto a Orbán». Bene, anzi malissimo: poche ore prima di incontrare la Meloni, Orbán era stato in Vaticano, ricevuto dal Pontefice: Magi però da quelle parti non si è fatto vedere. «Ho chiesto a Sua Santità», scrive Orbán su X al termine del colloquio con Leone XIV, «di sostenere gli sforzi pacifisti dell’Ungheria». «Papa Leone XIV», recita un comunicato della Santa sede, «ha ricevuto in udienza il primo ministro d’Ungheria, Viktor Orbán, il quale ha poi incontrato il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato di Sua Santità, accompagnato da monsignor Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati e le organizzazioni internazionali. Nel corso del cordiale colloquio in Segreteria di Stato», prosegue la nota del Vaticano, «sono state sottolineate le solide relazioni bilaterali e l’apprezzamento per l’impegno della Chiesa cattolica nel promuovere lo sviluppo sociale e il benessere della comunità ungherese, con particolare attenzione al ruolo della famiglia, alla formazione e al futuro dei giovani, nonché all’importanza della tutela delle comunità cristiane più vulnerabili. Ampio spazio è stato riservato altresì alle questioni europee, con particolare attenzione al conflitto in Ucraina, e alla situazione in Medio Oriente». Prima di recarsi a Palazzo Chigi, Orbán affida a Repubblica e Messaggero alcune considerazioni: «L’Unione europea non conta nulla. Donald Trump sbaglia su Putin, andrò da lui per fargli togliere le sanzioni alla Russia. Purtroppo», aggiunge il leader di Budapest, «non abbiamo un ruolo. L’Europa è totalmente fuori dai giochi. Presto sarò da Trump per risolvere il problema delle sanzioni al petrolio. Stiamo ragionando su come costruire un sistema sostenibile per l’economia ungherese, perché l’Ungheria dipende moltissimo dal petrolio e dal gas russo. E senza di loro, i prezzi dell’energia andranno alle stelle, provocando carenze nelle nostre scorte. L’Ucraina? Abbiamo appaltato agli americani e ai russi la possibilità di risolvere questa guerra. Purtroppo, non abbiamo un ruolo. Il punto importante dell’incontro con Giorgia Meloni», conclude Orbán, «è il futuro dell’economia europea, perché sulla guerra resta ben poco da fare».Ora Viktor Orbán può piacere o non piacere, ma la sua riflessione è non solo corroborata dai fatti, ma basata su concetti, a partire dalla totale irrilevanza dell’Unione europea nelle questioni internazionali, ripetuti anche dai più irriducibili fan di Bruxelles, che di tale irrilevanza si dolgono ma non la contestano più. «Spero di sentire la voce chiara della nostra premier», sostiene, per fare un esempio, la senatrice dem Simona Malpezzi, «rispetto alle pericolose affermazioni che ha fatto oggi Orbán da Roma. È arrivato il momento di superare il voto all’unanimità perché è chiaro che serve solo ai Paesi come l’Ungheria che vogliono distruggere la Ue dall’interno». Con il dovuto rispetto per la senatrice Malpezzi, la Ue si è distrutta da sola, se mai ha avuto un momento di vitalità, mortificata dalle divisioni interne, dalle follie burocratiche, dal fondamentalismo green, dai piani di riarmo da 800 miliardi e anche dalla serie di fandonie che in questi anni di guerra in Ucraina i leader hanno raccontato alle loro popolazioni, a partire dallo slogan «sconfiggeremo la Russia sul campo», smentito dai fatti. Nel pomeriggio Orbán incontra la Meloni, e al termine del faccia a faccia Palazzo Chigi diffonde una nota: «Il colloquio», si legge, «ha consentito di mettere a fuoco le prospettive delle relazioni bilaterali e di avere uno scambio di vedute sui principali temi dell’attualità internazionale, con particolare riferimento alla situazione in Ucraina, agli sviluppi in Medio Oriente e all’agenda europea. Tra i temi affrontati, anche le iniziative per una gestione efficace e innovativa dei flussi migratori. I due leader hanno infine discusso delle opportunità offerte dallo strumento europeo Safe», aggiunge Palazzo Chigi, «valutando possibili sinergie tra Italia e Ungheria a sostegno delle rispettive capacità industriali e tecnologiche». «È stato un piacere», scrive Orbán su X al termine dell’incontro, «rivedere la premier Giorgia Meloni a Roma. Abbiamo parlato di guerra, dell’economia europea in difficoltà, dei prezzi dell’energia e di migranti. Restando uniti e forti, difenderemo le nostre nazioni». Oggi il premier ungherese vedrà il leader leghista Matteo Salvini. Coda polemica: proprio mentre il suo leader è in Italia, Balázs Orbán, consigliere politico e omonimo del premier ungherese, attacca il programma di Rai 3 Report per un servizio sull’internazionale sovranista. Immancabili le risposte al vetriolo della sinistra, M5s in testa.
Mahmoud Abu Mazen (Getty Images)
(Guardia di Finanza)
I Finanzieri del Comando Provinciale di Varese, nell’ambito di un’attività mirata al contrasto delle indebite erogazioni di risorse pubbliche, hanno individuato tre società controllate da imprenditori spagnoli che hanno richiesto e ottenuto indebitamente oltre 5 milioni di euro di incentivi per la produzione di energia solare da fonti rinnovabili.
L’indagine, condotta dalla Compagnia di Gallarate, è stata avviata attraverso l’analisi delle società operanti nel settore dell’energia elettrica all’interno della circoscrizione del Reparto, che ha scoperto la presenza di numerose imprese con capitale sociale esiguo ma proprietarie di importanti impianti fotovoltaici situati principalmente nelle regioni del Centro e Sud Italia, amministrate da soggetti stranieri domiciliati ma non effettivamente residenti sul territorio nazionale.
Sulla base di tali elementi sono state esaminate le posizioni delle società anche mediante l’esame dei conti correnti bancari. Dall’esito degli accertamenti, è emerso un flusso finanziario in entrata proveniente dal Gestore dei Servizi Energetici (GSE), ente pubblico responsabile dell’erogazione degli incentivi alla produzione di energia elettrica. Tuttavia, le somme erogate venivano immediatamente trasferite tramite bonifici verso l’estero, in particolare verso la Spagna, senza alcuna giustificazione commerciale plausibile.
In seguito sono state esaminate le modalità di autorizzazione, costruzione e incentivazione dei parchi fotovoltaici realizzati dalle società, con la complicità di un soggetto italiano da cui è emerso che le stesse avevano richiesto ad un Comune marchigiano tre diverse autorizzazioni, dichiarando falsamente l’installazione di tre piccoli impianti fotovoltaici. Tale artificio ha consentito di ottenere dal GSE maggiori incentivi. In questi casi, infatti, il Gestore pubblico concede incentivi superiori ai piccoli produttori di energia per compensare i maggiori costi sostenuti rispetto agli impianti di maggiore dimensione, i quali sono inoltre obbligati a ottenere l’Autorizzazione Unica Ambientale rilasciata dalla Provincia. In realtà, nel caso oggetto d’indagine, si trattava di un unico impianto fotovoltaico collegato alla stessa centralina elettrica e protetto da un’unica recinzione.
La situazione è stata segnalata alla Procura della Repubblica di Roma, competente per i reati relativi all’indebita erogazione di incentivi pubblici, per richiedere il sequestro urgente delle somme illecitamente riscosse, considerati anche gli ingenti trasferimenti verso l’estero. Il Pubblico Ministero titolare delle indagini ha disposto il blocco dei conti correnti utilizzati per l’accredito delle somme da parte del GSE e il vincolo su tutti i beni nella disponibilità degli indagati fino alla concorrenza di oltre 5 milioni di euro.
L’attività della Guardia di Finanza è stata svolta a tutela del corretto impiego dei fondi pubblici al fine di aiutare la crescita produttiva e occupazionale. In particolare, l’intervento ispettivo ha permesso un risparmio pari a ulteriori circa 3 milioni di euro che sarebbero stati erogati dal GSE fino al 2031 alle imprese oggetto d’indagine.
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Giorgia Meloni (Getty Images)