
Il bando contro Teheran non ci danneggia, ma con Washington restano aperti molti tavoli, dalla Libia alla Via della seta. Il nostro premier domani volerà a Pechino.Ricevere una telefonata dalla Casa Bianca avrà certamente fatto piacere a Giuseppe Conte l'altro ieri. Così come leggere, poco dopo, un tweet di @realDonaldTrump improntato a cordialità e amicizia: «Ho parlato con il primo ministro italiano Giuseppe Conte, principalmente a proposito di immigrazione, tasse, commercio, e dell'economia dei nostri Paesi. Telefonata molto buona!». Forse però - sul lato italiano - non è purtroppo il caso di entusiasmarsi, per almeno due ordini di ragioni: la prima ha a che fare, tattica e contingenza a parte, con una certa insoddisfazione Usa per la non chiara collocazione geostrategica dell'Italia. L'incidente del memorandum of understanding firmato in pompa magna tra Roma e Pechino non è superato. Trump aveva fino a quel momento considerato l'Italia gialloblù parte integrante della «sua» squadra geopolitica globale: poi però non tanto la firma in sé, quanto l'evidenza simbolica della visita italiana del leader cinese Xi Jinping, ha cambiato le cose, lasciando uno strascico di incomprensione tra Washington e Roma. È probabile, visto che Conte partirà domani per la Cina, che Trump abbia voluto dare un segnale ai cinesi chiamando il nostro primo ministro, anche per far intendere a Pechino che la Casa Bianca considera ancora importante l'interlocuzione con l'Italia. Ma le ombre restano, dal tema dei porti a quello rovente delle telecomunicazioni: e nei prossimi mesi toccherà all'Italia dimostrare agli Usa che il dialogo commerciale con Pechino non coinvolgerà aree sensibili. Il secondo motivo che deve indurre alla cautela riguarda gli altri due dossier caldi, Libia e Iran. Sul versante libico (del quale Trump e Conte avevano già parlato qualche giorno fa), l'amministrazione Usa condivide con Roma la preoccupazione su un'eventuale riapertura incontrollata del rubinetto dei migranti, con tutti i rischi di infiltrazione del caso. Ma - e questa non è una buona notizia per l'Italia - la telefonata dell'altro ieri non cancella la chiamata ben più rilevante fatta da Trump il 15 aprile scorso al generale Khalifa Haftar. Nel linguaggio anodino delle note diplomatiche, un comunicato della Casa Bianca aveva «riconosciuto gli sforzi di Haftar per contrastare il terrorismo e mettere al sicuro le risorse petrolifere». Traduzione: Trump, lungi dal rovesciare il corso delle cose come l'Italia avrebbe sperato, ha finito per riconoscere il fatto compiuto prodotto da Haftar sul terreno, e gli ha perfino assegnato una patente di stabilizzatore. Di fatto, un endorsement a lui, e un altro colpo ad Fayez Al Serraj. Una linea assai diversa dai toni ruvidi che, ancora qualche giorno prima, il segretario di Stato Usa Mike Pompeo aveva usato nei confronti di Haftar. Va anche detto che, nell'immenso teatro africano, anche l'amministrazione Trump non sembra avere una linea chiarissima, e pare subire una crescita di influenza cinese: dall'Egitto (con Abdel Fattah Al Sisi che a sua volta è attratto nell'orbita della Via della seta) al Corno d'Africa. Quanto al dossier Iran, la notizia era già nota: Trump ha deciso di aumentare la pressione sul regime degli ayatollah, estendendo le sanzioni a chiunque compri petrolio da loro, e facendo venir meno le esenzioni di cui pochi Paesi - tra i quali l'Italia - avevano beneficiato. Questo non cambia granché per noi, visto che l'Italia ha già sostanzialmente azzerato gli acquisti di petrolio da Teheran, ed è invece una mossa pesante verso Cina e Turchia. Resta un ultimo capitolo, che non è stato oggetto della chiamata con Conte, che poco avrebbe da chiarire al riguardo. Dopo le europee, cambieranno gli equilibri nell'Ue? L'Italia può essere parte di un riequilibrio che renda l'Unione meno germanocentrica? È forse su questo terreno, dopo l'incidente cinese, che i gialloblù farebbero bene a recuperare terreno nel dialogo con Washington.
(IStock)
Il Tribunale del lavoro di Palermo boccia il ricorso di un prof, sospeso senza paga dopo una ramanzina a un’alunna satanista.
Nel riquadro il professor Andrea Fiorillo, presidente dell’Ente Europeo di Psichiatria e testimonial scientifico della giornata palermitana (iStock)
Il 10 ottobre Palermo celebra la Giornata Mondiale della Salute Mentale con eventi artistici, scientifici e culturali per denunciare abbandono e stigma e promuovere inclusione e cura, su iniziativa della Fondazione Tommaso Dragotto.
Il 10 ottobre, Palermo non sfila: agisce. In occasione della Giornata Mondiale della Salute Mentale, la città lancerà per il secondo anno consecutivo un messaggio inequivocabile: basta con l’abbandono, basta con i tagli, basta con lo stigma. Agire, tutti insieme, con la forza dei fatti e non l’ipocrisia delle parole. Sul palco dell’evento – reale e simbolico – si alterneranno concerti di musica classica, teatro militante, spettacoli di attori provenienti dal mondo della salute mentale, insieme con tavoli scientifici di livello internazionale e momenti di riflessione pubblica.
Di nuovo «capitale della salute mentale» in un Paese che troppo spesso lascia soli i più fragili, a Palermo si costruirà un racconto, fatto di inclusione reale, solidarietà vera, e cultura della comunità come cura. Organizzato dalla Fondazione Tommaso Dragotto e realizzato da Big Mama Production, non sarà solo un evento, ma una denuncia trasformata in proposta concreta. E forse, anche una lezione per tutta l’Italia che alla voce sceglie il silenzio, tra parole come quelle del professor Andrea Fiorillo, presidente dell’Ente Europeo di Psichiatria e testimonial scientifico della giornata palermitana che ha detto: «I trattamenti farmacologici e psicoterapici che abbiamo oggi a disposizione sono tra i più efficaci tra quelli disponibili in tutta la medicina. È vero che in molti casi si parla di trattamenti sintomatici e non curativi, ma molto spesso l’eliminazione del sintomo è di per sé stesso curativo. È bene - continua Fiorillo - diffondere il messaggio che oggi si può guarire dai disturbi mentali, anche dai più gravi, ma solo con un approccio globale che miri alla persona e non alla malattia».
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Attentato a Gerusalemme (Ansa)
- Uccisi i due attentatori: venivano dalla Cisgiordania. Il ministro Bezalel Smotrich: «Sciogliere l’Anp». Benjamin Netanyahu va sul luogo della strage: annullata l’udienza del suo processo.
- Il premier spagnolo: «Va fermato il genocidio». E vieta l’ingresso nel proprio Paese ai militari che combattono a Gaza. Lo Stato ebraico: «Sei schierato con i terroristi».
Lo speciale contiene due articoli
Volodymyr Zelensky (Ansa)
- Un rappresentante di Bruxelles è a Washington per coordinare le iniziative. Il segretario Usa all’Energia: «Gli europei non comprino più il petrolio russo». Il Cremlino: «Per noi non cambia nulla». Donald Trump non chiude allo zar: «Gli parlerò molto presto».
- Il cancelliere tedesco: «Non si fermerà all’Ucraina». E conferma l’esproprio di Rosneft.