Uscita dalla recessione, disoccupazione sotto la doppia cifra, riduzione dei debiti della pubblica amministrazione e dei tempi medi di pagamento: l'elenco completo delle promesse non mantenute da Matteo Renzi, alla guida del Paese da due anni e mezzo, sarebbe lungo. E altrettanto corposo, sorprendentemente, è l'insieme dei provvedimenti non promessi, o comunque in un primo momento non definiti prioritari, eppure sistematicamente varati contro la vita, i giovani e la famiglia dal governo e dalla maggioranza a guida Pd, quasi vi fosse un'agenda ombra da rispettare. È un aspetto di cui spesso non si tiene conto, ma decisivo. Una breve panoramica aiuterà a rinfrescare la memoria sull'escalation demolitoria e nichilista di questa legislatura, tristemente destinata a passare alla storia.
Il primo passo, lo si ricorderà, è stato il cosiddetto «divorzio breve». L'ex sindaco di Firenze sedeva a Palazzo Chigi da pochi mesi quando, nel novembre 2014, alla Camera è stato fatto approvare un provvedimento da molti salutato come una svolta positiva, ma in realtà micidiale. Basta difatti uno sguardo a quanto accaduto in Paesi quali Danimarca, Spagna e Svezia per rendersi conto che alla semplificazione delle procedure per il divorzio corrisponde essenzialmente un solo effetto. Che non è quello di garantire divorzi più economici e più rapidi, bensì di propiziare un'impennata della curva delle rotture coniugali, con tutte le nefaste conseguenze sociali che ciò comporta, a partire dalla precarizzazione degli affetti di una società, come chioserebbe il sociologo Zygmunt Bauman, sempre più liquida.
Poi è stato il turno, nel gennaio 2016, di un decreto mediante il quale si è pensato bene da una parte di depenalizzare il reato di aborto clandestino e, dall'altra, di aumentare innalzandole fino a 10.000 euro le sanzioni per le donne che vi ricorrono. In pratica, con una sola disposizione si è riusciti ad abbassare la guardia contro l'aborto in clandestinità - lo stesso in nome del cui contrasto fu approvata nel 1978 la legge 194 - e a fare in modo che le donne, d'ora in poi, esitino a denunciare chi ha praticato l'intervento al di fuori dalle strutture pubbliche. Va riconosciuto come un provvedimento abortista in un ordinamento sostanzialmente già abortista non fosse impresa semplice. Ma nulla, a quanto pare, è impossibile a questo scatenato esecutivo sul versante della deriva etica.
L'autentico capolavoro politico - si fa per dire - sono state però le unioni civili. Poco dopo aver categoricamente escluso la fiducia («Non è un provvedimento su cui il governo immagina di inserire l'elemento della fiducia», dichiarò Renzi il 29 dicembre 2015), il premier-segretario e i suoi vi hanno fatto ricorso, strozzando il dibattito parlamentare, come se non bastasse, con un maxiemendamento con cui, a ben vedere, non si sono neppure approvate le unioni civili ma direttamente - ancorché sotto falso nome - il matrimonio gay, come a suo tempo già anticipato dal sottosegretario Ivan Scalfarotto il quale, nell'ottobre 2014, alla Repubblica aveva specificato che «l'unione civile non è un matrimonio più basso, ma la stessa cosa. Con un altro nome per una questione di realpolitik».
A nulla sono quindi valsi gli autorevoli interventi di tutti quei giuristi i quali, oltre a denunciare l'equivalenza tra unioni civili e nozze gay, hanno evidenziato come la quasi totalità dei diritti cui aspiravano le coppie omosessuali fosse già saldamente garantita dal nostro ordinamento. Il governo, anche grazie allo speciale interessamento del ministro Maria Elena Boschi, non ha voluto sentire ragioni, infischiandosene, fra l'altro, dell'apartitico ma oceanico popolo del Family day che il 30 gennaio 2016 ha affollato il Circo Massimo a Roma supplicando le istituzioni di non umiliare la famiglia fondata sul matrimonio (già vessata da un fisco vampiresco), parificandola a unioni di altro tipo.
Il guaio è che le brutte sorprese per la «famiglia come società naturale fondata sul matrimonio» (articolo 29 della Costituzione), «cellula fondamentale della società umana», come predica papa Francesco, purtroppo non sembrano finite. Si teme infatti, in particolare alla luce di quanto già accaduto in alcuni istituti scolastici, che l'ideologia del gender possa, con un placet governativo, ulteriormente radicarsi sul piano didattico col pretesto di corsi contro la «violenza di genere».
Renzi e i suoi hanno ancora la possibilità d'infliggere all'Italia ulteriori batoste etiche. I provvedimenti in cantiere, in tal senso, sono almeno tre: il disegno di legge contro l'omofobia, temporaneamente accantonato ma capace, se ripreso, di spedire in galera chiunque dissenta dall'agenda Lgbt; quello sull'eutanasia; quello sulla legalizzazione delle cosiddette «droghe leggere».
Chiaramente gli specchietti per le allodole, come il tiepidissimo bonus bebè, non mancano, ma che questo governo e questa maggioranza stiano facendo quanto in loro potere per affossare l'Italia sul versante etico, educativo e familiare è fuori discussione. Meravigliano solo, dinnanzi a tutto ciò, la timidezza e il silenzio di larga parte mondo cattolico che, dopo divorzio express, nozze gay, droghe libere, eutanasia alle porte e scuola italiana in procinto d'essere colonizzata dall'ideologia del gender così aspramente condannata da Papa Francesco, ancora tentenna. Quasi che vi fosse bisogno, per indignarsi, di misurare fino in fondo il baratro morale nel quale il governo Renzi, giorno dopo giorno, sta precipitando l'Italia. Quella di oggi e quella futura.