2021-07-05
Chi dà patentini alla «buona destra» non ne azzecca una da più di 20 anni
Basta no global imborghesiti e moderati funzionali al sistema: riscopriamo Marzio Tremaglia.Attraversata l'ennesima, grottesca polemica (montata da Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera) relativa agli eventuali residui di fascismo rimasti nelle vene della destra italiana, viene da chiedersi per quale motivo si ripetano imperterriti, da anni, i tentativi di inchiodare al passato le forze conservatrici di casa nostra. Chiaro: evocare il fascismo è utile alla costruzione del nemico, al rafforzamento dell'egemonia culturale. Ma non basta.Pare di intuire, dietro le innumerevoli intemerate contro la presunta vocazione reazionaria e antidemocratica della destra, un profondo timore e un devastante senso di inadeguatezza dei progressisti (e di certi sedicenti liberali). Costoro, sempre pronti a richiedere ad altri esami del «dna democratico», un serio esame del proprio passato non l'hanno mai fatto. Non si sono mai liberati delle tendenze liberticide, non hanno mai rinunciato al disprezzo degli avversari.Soprattutto, però, i teorici della «destra presentabile», i cantori del «salotto buono» e i fieri critici del «populismo» hanno enormi problemi ad affrontare il presente e il futuro. Mancano totalmente di una visione adeguata, di una prospettiva che consenta di interpretare la complessità del reale. Motivo per cui, da anni, inanellano un fallimento dietro l'altro.Facciamo un esempio, tanto per stare sul concreto. Tra il 19 e il 22 luglio di vent'anni fa, a Genova, andò in scena una violenta protesta contro il G8. Ricordate? Erano gli anni dei no global, delle tute bianche, dei black bloc. Da una parte c'era la sinistra antagonista: fu effettivamente capace di sollevare questioni interessanti sulla tendenza del neoliberismo a sconfinare e a far danni, ma si ritrovò prigioniera delle sue solite gabbie.Le manifestazioni di piazza non si rivelarono molto diverse da quelle viste e riviste nei trent'anni precedenti, e finirono malissimo, con la morte di Carlo Giuliani, a cui seguì la consueta demonizzazione degli «sbirri assassini». Dal punto di vista teorico e politico finì in modo ancora più disastroso. Alcuni dei contestatori ottennero ciò che chiedevano, cioè posti ben retribuiti e belli comodi. Altri li abbiamo ancora tra i piedi, come Luca Casarini, riciclatosi prima come difensore delle partite Iva e poi come grande organizzatore di recuperi di migranti in mare (con corredo di brindisi a champagne per i bonifici ottenuti da grandi compagnie straniere).Quanto agli ideologi dell'epoca, meglio stendere un velo pietoso. Toni Negri, Naomi Klein… Si sono goduti il successo, hanno incassato i proventi dei bestseller e poi? Beh, si sono accodati al discorso dominante. Sono diventati ambientalisti, immigrazionisti, no borders, attivisti per il clima… Non hanno capito che, per fermare lo sconfinamento della globalizzazione, serviva la difesa dei limiti e dei confini. Quasi peggio della sinistra, tuttavia, riuscì a fare la autoproclamata destra moderata e liberale. Obnubilata dalla retorica globalizzante, divenne nei fatti progressista, cioè prese a celebrare le magnifiche sorti e progressive dell'Occidente, subì passivamente e supportò tutte le imposizioni di un sistema che mirava alla cancellazione delle differenze, delle culture e delle identità. Antagonisti e liberali, non a caso, hanno finito per unirsi in un amplesso mortale. Sono divenuti «liberal», e spesso oggi marciano uniti brandendo i diritti dei migranti, esaltando le minoranze, supportando la causa Lgbt...Nel mezzo di tale deserto politico e intellettuale, tuttavia, sono spuntati piccoli fiori. Nel 1999, ancora prima di Genova, un uomo di nome Marzio Tremaglia (che sarebbe morto l'anno successivo) scrisse una splendida riflessione sulla globalizzazione sotto forma di lettera a Gianfranco Fini, allora leader della destra. «I veri anti global dovremmo essere noi», diceva Tremaglia. «Chiunque contesti che il mondo debba essere ricondotto semplicemente al commercio e a mercato o comunque ad economia, non può che essere nostro amico».Questa è stata, ed è, la destra. Un movimento di idee e valori che già vent'anni fa aveva compreso perfettamente quali sarebbero state le sfide degli anni a venire. Che si opponeva all'azione livellante della globalizzazione, alla distruzione dello spirito per mano dell'interesse economica, all'annichilimento dei valori fondamentali, alla precarizzazione dell'esistenza e alla devastazione del tessuto produttivo nazionale. Le idee che Tremaglia esprimeva alla fine dei Novanta sono quelle che oggi caratterizzano il lato migliore di patrioti e identitari. Sono idee che, da una prospettiva differente ma non troppo dissimile, si trovavano pure negli scritti di Giovanni Paolo II, fenomenale difensore delle patrie e delle tradizioni, geniale analista del corpo, che è oggi il vero terreno di sfida (basti pensare alle battaglie sul gender).Su tutti questi temi, che cosa hanno detto e che cosa hanno da dire la sinistra e la «destra presentabile»? Sostanzialmente nulla. Anzi, qualcosa a dire il vero l'han detta, una frase sola: «Sì, padrone». Si sono vendute, piegate, spente nell'inconsistenza. Ma ancora oggi pretendono di dar lezioni, di fornire patenti, di dettare legge. Tristemente aggrappati all'arroganza degli sconfitti.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)