2023-12-28
L’ultimo pasticcio dell’era pandemica: niente indennizzi per i sanitari morti
Cattolica rifiuta di equiparare la malattia che uccise i medici all’infortunio sul lavoro. Cause in vista dai parenti delle vittime. Dati essenziali per valutare l’efficacia dei preparati, ma l’azienda invoca la riservatezza. Lo speciale contiene due articoli. Sono molte le questioni legate alla pandemia Covid ancora irrisolte. Una tra tutte risulta essere il nodo assicurativo, e più nel dettaglio il risarcimento che le compagnie del settore dovrebbero fornire ai medici morti a causa del virus. La questione però risulta essere più complicata di quanto si possa pensare, anche perché entrano in gioco i tecnicismi legati al mondo assicurativo, quale la differenza tra infortunio e malattia e l’eventuale collegamento della morte come conseguenza di un infortunio professionale/extraprofessionale o alla malattia. Nel caso specifico, Cattolica Assicurazioni, diventata a luglio una divisione di Generali Italia guidata da Giancarlo Fancel, non intende pagare gli indennizzi dei dottori dipendenti del Servizio sanitario nazionale (Ssn) deceduti durante la pandemia. I familiari dei 383 camici bianchi morti scomparsi starebbero premendo sulla compagnia assicurativa per vedersi riconosciuto l’indennizzo, minacciando in caso contrario di fare causa. Secondo quanto risulta a Milano Finanza, lo scontro tra le parti verterebbe sull’estensione del concetto di infortunio sul lavoro e l’assimilazione di questo a quello di morte improvvisa, inaspettata e imprevedibile, da agente infettivo. I famigliari dei medici deceduti stanno infatti sollecitando la compagnia assicurativa ad adottare, per i risarcimenti, l’interpretazione fornita dall’Inail per quanto riguarda il Covid. Nel dettaglio, l’istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, nella circolare numero 13 del 3 aprile 2020, ha chiarito alcuni aspetti concernenti la tutela assicurativa nei casi accertati di infezione da nuovo coronavirus, avvenuti in occasione di lavoro. «Secondo l’indirizzo vigente in materia di trattazione dei casi di malattie infettive e parassitarie, l’Inail tutela tali affezioni morbose, inquadrandole, per l’aspetto assicurativo, nella categoria degli infortuni sul lavoro: in questi casi, infatti, la causa virulenta è equiparata a quella violenta», si legge dal testo della circolare che aggiunge anche come, «in tale ambito delle affezioni morbose, inquadrate come infortuni sul lavoro, sono ricondotti anche i casi di infezione da nuovo Coronavirus occorsi a qualsiasi soggetto assicurato dall’Istituto. [...] Nell’attuale situazione pandemica, l’ambito della tutela riguarda innanzitutto gli operatori sanitari esposti a un elevato rischio di contagio, aggravato fino a diventare specifico». Interpretazione che però Cattolica assicurazioni non intende applicare. Molto probabilmente la compagnia, nel negare l’indennizzo ai parenti dei camici bianchi morti durante la il Covid, si rifà alla sentenza del 20 giugno 2023, con cui la Corte di appello di Torino ha affrontato una controversia relativa alla riconducibilità dell’infezione da Covid all’infortunio sul lavoro, previsto dal contratto di assicurazione e il relativo indennizzo spettante alla morte dell’assicurato. Nel caso in esame, il giudice era partito dal fatto che quando si stipula una polizza infortuni privata, l’oggetto della garanzia viene liberamente determinato tra le parti in questione (concetto di autonomia negoziale riconosciuto dal Codice civile). Le parti avevano deciso di distinguere tra infortunio e malattia e di legare l’evento di morte a un conseguente infortunio e non alla malattia. Nel farlo, avevano anche definito l’infortunio come un evento dovuto a una causa fortuita, violenta ed esterna che causa lesioni fisiche. Stando alla definizione, si è però andati a escludere il concetto di Covid e più in generale della morte conseguente a infezioni virali, visto che questa non si può configurare come un evento dovuto a una causa violenta. Altro elemento evidenziato dal giudice è che nel caso di infezione da Covid, non si può risalire con precisione al luogo e al momento del contagio (nell’incidente sul lavoro il tutto è invece individuabile). Inoltre, la lesione non è immediatamente riscontrabile, dato che è preceduta da un periodo di incubazione che può variare a secondo del ceppo del virus che si contrae. Il riconoscimento dell’indennizzo si gioca dunque su sottigliezze e dettagli, tipici dei contratti assicurativi, che possono far pendere l’ago della bilancia dalla parte dei parenti dei medici o della compagnia assicurativa. La questione rimane dunque ancora aperta, in attesa di ulteriori risvolti. L’unica certezza è che Cattolica assicurazioni in tempi non sospetti, nel 2017, aveva vinto la gara pubblica per la stipula delle polizze Rc infortuni indetta dall’Enpam, la cassa previdenziale dei medici. Difficile dunque andare a quantificare il rischio finanziario di questa vicenda, anche perché non risulta essere ancora chiaro il numero delle famiglie che potrebbero intraprendere le vie legali. Considerando che il tetto per gli indennizzi a seguito di morte da infortunio è di 100.000 euro, il rischio potenziale per la compagnia si aggira intorno ai 38 milioni di euro.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/pasticcio-niente-indennizzi-sanitari-morti-2666816356.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="pfizer-non-fornisce-le-informazioni-sulla-stabilita-dellrna-nel-vaccino" data-post-id="2666816356" data-published-at="1703755274" data-use-pagination="False"> Pfizer non fornisce le informazioni sulla stabilità dell’Rna nel vaccino «È di fondamentale importanza conoscere la stabilità dell’Rna nei vaccini perché se si disintegra, l’efficacia del vaccino diminuisce». L’esperto australiano Phillip Altman, responsabile dell’approvazione sul mercato di numerosi nuovi farmaci, ha spiegato alla giornalista investigativa Maryanne Demasi che questi dati «sono di enorme interesse pubblico e dovrebbero essere divulgati», mentre Pfizer si rifiuta di farlo. Eppure, i dubbi si sono accumulati dalla prima comparsa sul mercato del vaccino anti Covid. In un primo momento, l’azienda aveva affermato che l’mRna nel vaccino, che codifica per la proteina Spike, è instabile e decadrebbe se le fiale chiuse non fossero conservate a -70°C. Ma nel febbraio 2021, Pfizer aveva apparentemente risolto il problema. Dichiarò che il vaccino poteva essere conservato in congelatori convenzionali (-20°C), non richiedeva più congelatori ultra freddi. Tanto bastò a Fda ed Ema, le agenzie regolatorie statunitense ed europea, che approvarono rapidamente la modifica, così pure le date di scadenza del vaccino furono prorogate di sei mesi e fino a un anno. «Ma conoscendo la sensibilità dell’Rna ai cambiamenti di temperatura e alla durata di conservazione, su quali dati di stabilità si sono basate le agenzie regolatorie per dare il via libera?», ha chiesto la Demasi alla Fda, che si è rifiutata di fornire la documentazione richiesta. Anche Pfizer ha detto di no, non intende divulgare i dati e invoca la «riservatezza commerciale». Però è una questione di sicurezza del vaccino, che riguarda la salute di milioni di persone. «Alcune ricevono dosi di mRna più elevate rispetto ad altre, e questo potrebbe spiegare perché lotti di vaccino sono associati a più eventi avversi rispetto ad altri», ha precisato Altman, riferendosi allo studio danese pubblicato lo scorso marzo sull’European Journal of Clinical Investigation. «Credo che le aziende farmaceutiche abbiamo sottostimato l’effetto paradosso», o Ade, che dipende principalmente da un rapporto squilibrato tra anticorpi neutralizzanti e non neutralizzanti contro il virus infettante, spiegò alla Verità un’affermata studiosa costretta all’anonimato. «Hanno detto di essere pronte a fornire i vaccini perché confidavano sul fatto che, già a fine 2020, il virus fosse ormai sufficientemente attenuato, sperando così di poter osservare un numero limitato di Ade nei vaccinati». Aggiunse che forse, avere composti con un mRna meno stabile, cambiando la temperatura di conservazione, è stata la «fortuna» per quanti si sarebbero ritrovati con molti più effetti avversi. Il bioscienziato David Wiseman afferma che sarebbe stato essenziale condurre test di stabilità in condizioni reali per valutare l’integrità dell’Rna e delle nanoparticelle lipidiche dopo il trasporto, lo stoccaggio, la preparazione e il mantenimento in cliniche in condizioni non ideali. La nuova soluzione tampone utilizzata da Pfizer per il sequenziamento dell’mRna e per migliorare il profilo di stabilità del vaccino «probabilmente avrebbe un impatto sulla quantità di proteine Spike prodotte o altererebbe il modo in cui le nanoparticelle lipidiche si comportano nel corpo», osserva Wiseman. Il professore accusa la Fda di non «aver mai insistito affinché la nuova formulazione fosse testata, almeno sugli animali, prima che farla iniettare nei bambini».Nuove ipotesi sugli effetti del vaccino anti Covid a mRna arrivano anche da un paper, pubblicato su European Review for Medical and Pharmacological Sciences. Gli autori, tra i quali esperti di genetica italiani, nella documentazione supplementare dichiarano di aver rilevato nel Dna genomico di pazienti con long Covid e diversi mesi dopo l’essersi vaccinati, «la presenza di una sequenza simile alla sequenza proteica del picco del vaccino BNT162b2, che potrebbe indicare una potenziale integrazione». La persistenza della Spike è già stata documentata da diversi studi, mentre per la integrazione nel Dna di sequenze da mRna vaccinali servirebbero casistiche più ampie, ma è un altro campanello d’allarme.
L'ex procuratore di Pavia Mario Venditti (Ansa)
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