2025-10-18
I magistrati che occultano le prove non possono continuare a fare i pm
Sergio Spadaro e Fabio De Pasquale (Imagoeconomica)
La condanna in Appello per De Pasquale e Spadaro nel caso Eni-Nigeria deve spingere Nordio a rimuoverli. E la loro pretesa di una irresponsabile autonomia delle toghe è un manifesto per la riforma della giustizia.La Corte d’appello di Brescia ha confermato la condanna a otto mesi di carcere per due pm della Procura di Milano. Secondo i giudici, Fabio De Pasquale e il collega Sergio Spadaro sono colpevoli di aver nascosto consapevolmente delle prove a discarico degli imputati nel cosiddetto Nigeriagate, indagine che presupponeva il mai dimostrato pagamento di una tangente miliardaria da parte di alcuni dirigenti dell’Eni. Come ha già raccontato il nostro Alessandro Da Rold, prima che il tribunale emettesse la sentenza di condanna che conferma quanto deciso dai giudici in primo grado, uno dei due magistrati sotto processo, Sergio Spadaro, ha voluto fare alcune dichiarazioni spontanee, leggendo una lettera sottoscritta anche dal collega De Pasquale.Il testo è una summa del pensiero ideologico di certi pm, i quali non si sentono soltanto superiori alla legge, ma ritengono che le prove contrarie all’impianto accusatorio da loro sostenuto si possano e si debbano nascondere nel nome di un interesse superiore che consiste nella prosecuzione dell’indagine. In pratica, anziché chiedere scusa per aver sottratto alla difesa (ma anche ai giudici del processo) elementi a discarico degli imputati, De Pasquale e Spadaro rivendicano il diritto di ignorare ciò che contrasta con la convinzione di un pm. I due, nel documento letto in aula, negano di aver «rifiutato atti d’ufficio» (è questo il reato che gli è stato contestato), sostenendo di aver resistito alla «richiesta sbagliata, illegittima e arbitraria» di un collega della stessa Procura, il quale aveva segnalato l’esistenza di prove a favore degli imputati. In pratica, De Pasquale e Spadaro spiegano l’occultamento delle prove come una forma di indipendenza, ritenendo di aver agito con coscienza e rispetto del diritto. Secondo loro, un comportamento diverso prefigurerebbe «un pm teleguidato o a sovranità limitata. Il pubblico ministero deve poter scegliere autonomamente come condurre le proprie indagini». L’autonomia usata, dunque, come paravento per consentire alla pubblica accusa di scegliere tra le prove quelle che più aggradano e rispondono alle tesi della Procura, cancellando ciò che le smentisce.Letto tutto ciò, fossi nei panni di Carlo Nordio mi incaricherei di fare due cose. La prima mi sembra abbastanza ovvia: se due magistrati che rappresentano l’accusa si dicono convinti che sia legittimo ignorare le prove che contraddicono le loro tesi, non possono continuare a fare i magistrati e, dunque, va avviata al più presto un’azione per rimuoverli. De Pasquale, che da anni è impegnato in processi contro l’Eni e ha già collezionato una serie di sentenze che smentiscono le sue teorie (tra archiviazioni e assoluzioni siamo al sesto procedimento, con spese per le società coinvolte e per la collettività che superano abbondantemente i cento milioni), andrebbe gentilmente accompagnato alla porta. E il collega, che in aula ha letto la lettera, evidentemente non può restare a rappresentare il nostro Paese alla Procura europea: sarebbe come se un medico, condannato in primo e secondo grado per aver volontariamente sbagliato un intervento chirurgico e che rivendica il proprio operato, lo mandassimo a lavorare all’estero, dove magari ci rappresenta. Va bene, chiunque deve essere ritenuto innocente fino a che non intervenga una sentenza definitiva che dimostri il contrario, ma se il condannato difende il diritto di sbagliare intervento, non c’è molto da aggiungere.Vi state chiedendo qual è la seconda cosa che farei se fossi Nordio? Prenderei la lettera che Spadaro ha letto davanti ai giudici e la trasformerei in un manifesto a favore della riforma della giustizia. Niente può essere più convincente delle parole di due pm che sostengono di aver avuto ragione a ignorare le prove di innocenza di un imputato in nome di una totale e irresponsabile autonomia e indipendenza della magistratura. Autonomi e indipendenti perfino dalle prove.