2022-01-04
Il pasticcio dell’Iss sui vaccinati positivi rende impossibile confrontare le tabelle
Il presidente dell'Istituto superiore di sanità, Silvio Brusaferro (Getty Images)
Nei bollettini usati dati non omogenei: numeri inutilizzabili. In Germania il 57% dei tedeschi non si fida delle cifre ufficiali.A cosa serve (meglio: a cosa dovrebbe servire) ripetere la stessa indagine, la stessa ricerca, la stessa analisi, a distanza di tempo? Elementare, Watson: a fare un raffronto tra la situazione nel momento precedente e la situazione nel momento successivo. In tempo di pandemia, dovrebbe servire a verificare se il quadro migliora o peggiora, se le cose stanno cambiando in direzione positiva o negativa. Questo è ciò che ciascuno di noi sarebbe - ingenuamente - orientato a rispondere alla domanda. E invece le sofisticatissime intelligenze dell’Istituto superiore di sanità guidato da Silvio Brusaferro devono pensarla diversamente. Questo almeno si desume dall’esame di una delle tabelle chiave pubblicate nel bollettino di Epicentro (il portale che raccoglie e elabora i dati Iss) del 28 dicembre scorso. Stiamo parlando della tabella 7 di quel bollettino (relativa al periodo compreso tra il 1° novembre e il 26 dicembre), che sintetizza - usiamo le parole dell’Iss - «le stime dell’efficacia del vaccino nel prevenire casi di Covid e malattia severa» nei soggetti vaccinati con ciclo completo entro 90 giorni, in quelli vaccinati sempre con ciclo completo tra i 91 e i 120 giorni, e ancora in quelli vaccinati con ciclo completo oltre 120 giorni, e infine nei soggetti che hanno ricevuto la terza dose, rispetto ai non vaccinati. La questione è cruciale: si tratta di capire quante probabilità ha il vaccinato (e dopo quanto tempo dal completamento del ciclo vaccinale) di essere o non essere ospedalizzato, di finire o non finire in terapia intensiva, di morire o non morire di Covid, rispetto ai non vaccinati. Peccato che, dopo una sfilza di numeri (e alcune opportune precisazioni sul fatto che si tratti di stime, che fatalmente scontano un determinato livello di incertezza), si legga in fondo, in grassetto maiuscolo, questa nota: «Tabella non confrontabile con la stessa tabella riportata nel bollettino del 21 dicembre 2021». Non senza stupore, quindi, siamo andati a cercare la tabella corrispondente, quella appunto del 21 dicembre (relativa al periodo tra il 26 luglio e il 19 dicembre), scoprendo che - per ragioni misteriose - in quel caso erano stati presi in considerazione riferimenti temporali disomogenei: vaccinati con ciclo completo entro 150 giorni, vaccinati con ciclo completo oltre 150 giorni, e infine vaccinati con terza dose. La domanda sorge spontanea: possibile che all’Iss nessuno si sia reso conto del fatto che, con queste tempistiche disallineate, con questa discrasia nella scelta dell’arco temporale considerato, le due tabelle non sarebbero state raffrontabili? Nella nostra ingenuità, non sappiamo quale delle due ipotesi sia peggiore: se nessuno se n’è reso conto, siamo davanti a un clamoroso caso di sbadataggine; se invece qualcuno se ne fosse reso conto, la scelta di non rendere raffrontabili le due tabelle sarebbe perfino diventata consapevole. Risultato? Senza retropensieri e senza processi alle intenzioni, resta un dato di fatto: nessun confronto è possibile. Anziché consentire laicamente un esame dell’evoluzione della situazione, si sono create le condizioni per permettere una sola cosa: la recita televisiva di dati non raffrontabili, a quel punto sottoposti all’interpretazione ultrasoggettiva di qualche demiurgo, di qualche televirologo, di qualche più o meno improvvisato Mosè appena disceso dal Sinai con le Tavole della legge. Non ci si sorprenda se poi, a forza di episodi di questo tipo, la fiducia dei cittadini tende inevitabilmente a scendere. E si badi bene: non si tratta solo di un rischio tutto italiano. È delle scorse ore un’indagine dell’Insa per la Bild da cui risulta che la maggioranza assoluta dei tedeschi non si fiderebbe più dei numeri forniti dal governo sul Covid. In particolare, interrogati se si fidino o meno dei dati ufficiali sui contagi, ben il 57% ha risposto di no, mentre appena il 32% crede che i numeri siano corretti. Insomma, una schiacciante maggioranza dei tedeschi sembra non credere più alle cifre del Robert Koch institute.E che il problema esista davvero lo certificano autorevoli dichiarazioni politiche. Il ministro della Sanità Karl Lauterbach (Spd) ha ammesso che l’attuale tasso di infezione «non è accuratamente rappresentato nelle cifre ufficiali». In discussione è finito perfino il tasso ufficiale di vaccinazione, visto che alcune delle immunizzazioni effettuate potrebbero non essere state conteggiate. Non a caso c’è chi (Erwin Rüddel, Cdu), chiede un registro centrale. Tra i dati contestati sono addirittura finite le cifre relative ai ricoveri: secondo le obiezioni, diversi di coloro che vengono conteggiati come pazienti Covid non sarebbero in ospedale a causa del coronavirus. Di tutta evidenza, siamo di fronte a questioni diverse tra Italia e Germania. Ma un problema di fondo è comune: se non c’è sufficiente trasparenza sui dati, o se la genuinità dei numeri è messa in discussione da fette tutt’altro che marginali dell’opinione pubblica, è inevitabile che salga l’onda della sfiducia e dello scetticismo. E questo perfino a prescindere dal grado di consenso o di dissenso rispetto alle linee politiche perseguite dai governi e dai loro consulenti.
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