2019-04-10
«Parlo al cuore, odio il cinema intellettuale»
Il pluripremiato regista francese Patrice Leconte: «Sono un romantico realista e moderno, ho la consapevolezza di che cosa è il mondo. Affronto le sfide dell'esistenza. I gilet gialli sono un male necessario con aspetti spaventosi, uno specchio della realtà della Francia di oggi».Patrice Leconte è l'unico uomo allampanato che riesca a indossare con eleganza questa sua condizione. Il settantunenne regista francese, pluripremiato autore di film quali Il marito della parrucchiera (1990) e L'uomo del treno (2002), è in Italia per tenere una masterclass al Ca' Foscari short film festival, rassegna di cortometraggi organizzata dalla professoressa Maria Roberta Novielli con la partecipazione degli studenti dell'ateneo veneziano. Ma, a giudicare dall'aria scanzonata, potrebbe benissimo essere capitato in laguna per caso, sull'onda di una danza sfrenata come quelle di Jean Rochefort nel suo film del 1990, il più celebre. Leconte parla solo francese e nello scusarsi non rinuncia a una punta di umorismo: «Non conosco neanche una parola d'italiano e mi rincresce moltissimo, perché penso che se lo parlassi avrei un accento meraviglioso».Sia ne Il marito della parrucchiera, sia in L'amore che non muore, i suoi personaggi non esitano ad andare incontro alla morte per amore. Nonostante si voglia dare una patina di cinismo, lei resta un impenitente cantore dell'amour fou. Alla sua età si ritiene ancora un romantico?«Credo di sì, ma di un romanticismo realista e moderno».Moderno?«Il romanticismo è parte più dei miei sogni che del mio quotidiano. Nel fondo del mio animo sono sì un romantico, ma con la consapevolezza di cos'è il mondo, la realtà concreta. Il mio romanticismo è un modo di prendere in contropiede le esigenze di amore che tutti abbiamo nella vita».Ne Il marito della parrucchiera, il protagonista scopre l'erotismo nell'infanzia. Qual è il suo primo ricordo legato all'eros?«Quella scena è autobiografica. Il mio primo ricordo è proprio quello di una parrucchiera che mi tagliava i capelli con la camicetta semiaperta e un seno prosperoso in bella vista». (Ride)La parrucchiera del film non può non ricordare la tabaccaia di Amarcord. Federico Fellini è un modello per lei?«Ho un'ammirazione sconfinata per lui e alcune mie scelte registiche possono richiamarlo, ma non è una citazione consapevole. È un'influenza inconscia che ogni tanto viene a galla. Cionondimeno, registi come Fellini, Michelangelo Antonioni, Ermanno Olmi, Ettore Scola e Valerio Zurlini hanno avuto per me un'enorme importanza».Lei incardina i suoi film sul lato tragico delle relazioni umane e dei sentimenti, ma li stempera sempre con un'ironia amara e delicata. Non sono mai commedie o tragedie pure. Non ama il cinema di genere? «È la vita a essere così. Non è mai commedia o tragedia, ma è una commistione delle due. Ogni mio personaggio tenta sempre di forzare il fato aprendo la porta sbagliata. Finisce per innescare un processo che conduce a strade diverse da quelle di partenza, comiche o tragiche che siano».Il suo eclettismo l'ha portata nel 2012 a realizzare un cartone animato, La bottega dei suicidi, ambientato in un negozio in cui si vende il nécessaire per uccidersi comodamente a casa propria. Nonostante l'ironia caustica, qualcuno lo accusò di essere un'apologia del suicidio.«Naturalmente non era così. So di essere un privilegiato e di non potermi immedesimare in chi ha perso tutte le speranze, pur comprendendone la sofferenza. Tuttavia, sono convinto che ci sia sempre la chance di rimboccarsi le maniche e affrontare le sfide dell'esistenza. Io non amo la morte, amo la vita».Il 2017 è stato per lei un annus horribilis: il 9 ottobre è venuto a mancare Jean Rochefort, attore protagonista di ben sette dei suoi film. Che cosa l'ha spinta a intraprendere questo rapporto professionale?«Ho visto in lui la rappresentazione di me stesso più antique, più anziano. Era un rapporto strano, fatto sì di fiducia assoluta, ma anche di edonismo e pazzia. Durante le riprese di Il marito della parrucchiera chiese se fosse previsto un coreografo per le scene di ballo. Risposi: “Assolutamente no, devi danzare come se fossi un bambino". Ne fu felice, perché poté inventarsi un suo modo di ballare, folle e indimenticabile. Ricorderò sempre con affetto anche quanto fu difficile convincerlo a tagliarsi i baffi per interpretare in Ridicule il ruolo di un nobile nella Versailles del Settecento».Il 6 dicembre dello stesso anno è morto Johnny Hallyday, la più grande rockstar francese, indimenticato protagonista di L'uomo del treno. Sono ancora vivide le immagini del suo corteo funebre, con la folla accalcata lungo gli Champs Elysées fino a Place de la Concorde. Che ricordi ha di lui?«Ricordo che dopo la cerimonia dei César, gli Oscar francesi, chiese a Jean-Luc Godard: “Presentami a Leconte". Mi guardò, mi mise una mano sulla spalla e disse: “Un giorno mi piacerebbe essere filmato da te". Il film è nato in quell'esatto momento. Si è poi concretizzato quando mi è venuta l'idea di contrapporgli Jean Rochefort. Funzionò a meraviglia».Ha incontrato difficoltà nel farlo accettare per quel ruolo?«Nessuna difficoltà, neanche a lavorare con lui sul set. Era modesto, disponibile, attento ai bisogni degli altri. Ricordo la prima del film alla Mostra del cinema di Venezia. Quando ancora ci stavamo inchinando per ringraziare il pubblico degli applausi scroscianti, Johnny mi sussurrò: “Questo è il più bel giorno della mia vita". Ne fui turbato. Voglio dire, quell'uomo aveva assistito allo spettacolo di stadi colmi di fan che cantavano all'unisono con lui e urlavano il suo nome. Ma, imperturbabile, concluse: “Stasera sono stato applaudito come attore". Non mi feci altre domande».Spesso nelle sue opere si crea un rapporto simbiotico tra i due protagonisti.«Se non c'è una relazione forte tra i personaggi, il film semplicemente non esiste. Ho sempre messo al centro di tutto i rapporti tra i personaggi. Tempo fa mi sono accorto di un fatto di cui non mi ero mai reso conto durante la realizzazione delle mie opere: all'inizio del film, i protagonisti non si conoscono. Ciò che m'interessa veramente è il momento dell'incontro. Anche senza essere legati all'amore, gli incontri possono stravolgere una vita. Naturalmente, per fare un'esperienza simile bisogna avere gli occhi aperti sul mondo. Se li si tiene fissi sul display dello smartphone, non si corre certo questo rischio».I protagonisti di molti suoi film, quali L'uomo del treno e L'insolito caso di Mr. Hire, o sognano una vita diversa, o incarnano in pieno le proprie ossessioni. A che cosa è dovuta questa scelta?«Credo che nessun sogno sia impossibile. Possiamo essere frustrati dalla vita che stiamo conducendo, ma se ci si impegna è comunque possibile cambiarla e uscire dalla sofferenza. Sempreché non si resti intrappolati nelle nostre ossessioni, s'intende. Forse abbiamo tutti torto a cercare negli altri quello che ci manca. Sono convinto che sia nelle persone semplici che si nascondono le storie più formidabili».È sempre stato lucido nella visione della nostra epoca e della nostra società. Qual è il suo giudizio sul movimento dei gilet gialli?«È un male necessario. Sicuramente ha degli aspetti spaventosi, come la violenza nelle manifestazioni. Però è un movimento che esprime ciò che si muove nella pancia della gente. È uno specchio della realtà della Francia in questo periodo storico».In un'epoca di serie tv e Netflix, qual è il futuro del cinema?«Sicuramente cambierà. Cambierà il modo di girare, cambieranno fisicamente anche le sale in cui la gente andrà a vedere i film. Personalmente amo assistere al cinema nei cinema, ma oggigiorno si possono guardare i film persino sull'iPhone. Come si può star lì, con gli auricolari e, peggio ancora, fissando uno schermo da tre pollici? Per me è una cosa terribile. Ma finché ci saranno sceneggiatori, registi e attori validi, il cinema sopravviverà. Bisogna continuare a creare pensando al film e non al supporto su cui sarà visto».Progetti per il futuro?«In autunno girerò un adattamento da un romanzo di Georges Simenon su Maigret. Daniel Auteuil sarà il protagonista. Penso sarà un'opera emotivamente molto forte».Sarà un film modernamente romantico?«Sicuramente non sarà un film da intellettuali. Odio il cinema intellettuale. Preferisco parlare al cuore che al cervello».