2020-10-27
«Papà Ugo, maschera dell’italiano di oggi»
Ugo e Ricky Tognazzi (Getty images)
Il figlio del grande attore cremonese lo ricorda a 30 anni dalla morte: «Il cinismo, il qualunquismo e l'arrivismo sfrenato dei suoi personaggi ora sono diventati valori. Era un narcisista corrisposto nel quale era difficile trovare il confine tra l'uomo e l'interprete».Trent'anni dalla morte di Ugo Tognazzi. Ma un un attore così grande, che ci ha fedelmente rappresentato nei nostri vizi e nelle nostre virtù, non scompare mai, fa parte della memoria collettiva: quando la sua immagine riappare magicamente sullo schermo, è la storia dell'Italia che si dispiega dinanzi ai nostri occhi, Un'immagine viva perché i suoi personaggi avevano il dono di essere cosparsi di modernità e ancor oggi possiamo rivederci nelle sue espressioni e nei suoi modi di fare. A tenere alto il nome di Tognazzi ci pensano poi i suoi figli, ognuno dei quali ha trovato la sua strada nel cinema. Il più grande, Ricky, ha avuto la fortuna di condividere fin da piccolo la vita sul set con suo padre, prima di intraprendere un'apprezzata carriera come attore e regista.Ha iniziato la sua carriera di attore da bambino accanto a suo padre. A un certo punto è tornato a casa e le ha chiesto di fare l'attore?«Più o meno così! La prima volta è stata per l'episodio Il pollo ruspante di Ro.Go.Pa.G. e ho il ricordo di una trattativa con mia madre, che badava a me. Avevo sette anni e vivevamo a Milano. I miei erano separati, però avevano uno splendido e affettuoso rapporto e mio padre aveva una casa sullo stesso piano. Ormai si era trasferito a Roma e quando poteva veniva a trovarci. La seconda volta è stata con I mostri. Ha raccontato più volte che ricattò i produttori: “Sì, sì, lo faccio molto volentieri, per Dino Risi, per l'amico Gassman, però voglio fare il primo episodio, L'educazione sentimentale, che è stato scritto per Vittorio, ma so che posso portarlo a casa io e soprattutto voglio farlo con mio figlio". Solitamente le estati le passavo con papà e lo seguivo sui set, perché nel cinema l'estate si lavora, stavo con lui nelle sue roulotte, nelle sale costumi: lo vedevo travestito da cowboy, da donna, da latin lover, da gangster... era un attore multiforme. Le mie vacanze con lui erano i film che faceva». Prima di girare i due episodi preparavate a casa le scene assieme?«No, non ce n'era bisogno, erano scene molto semplici, in cui lui faceva da mattatore. Aveva questa grande capacità, per il fatto che ero suo figlio anche negli episodi che giravamo, di prendermi per mano e camminare insieme a me, in modo da posizionarmi al segno giusto. Mi teleguidava: mi favoriva per la macchina da presa, in modo da catturare bene la luce, si abbassava sulle ginocchia, mi prendeva per le spalle in modo affettuoso. In quei momenti era un padre-padrone e un maestro di recitazione».Nell'episodio de I mostri il figlio, educato dal padre secondo i suoi principi, lo avrebbe poi ucciso da grande...«Questo padre allora rientrava nella mostruosità, oggi come oggi rientra nella storia con il suo cinismo, il suo bieco arrivismo: bisognava essere i più intelligenti, i più bravi, ma sopratttutto i più furbi, i più violenti, i più veloci. Diceva al figlio: “Ricordati sempre che devi mena' per primo... il mondo è tondo, chi non sta a galla va a fondo... ruba governo ladro". Il qualunquismo e l'arrivismo più sfrenati in una società dei consumi che stava esplodendo si è rivelato poi il nostro quotidiano. I veri valori oggi sono diventati quelli».E nella realtà com'era?«Intanto era molto spiritoso, una delle persone che mi ha fatto più ridere nella mia vita. Aveva il piacere di essere al centro dell'attenzione: era un narcisista corrisposto, come diceva, credo, Elsa Morante, uno che piaceva e sapeva di piacere, un leader naturale che stava a capotavolo anche quando non lo era e teneva il banco della serata. Con una generosità di spirito, nel senso che in quei momenti si concedeva perché rivelava sé stesso, dava la sua opinione in modo appassionato. Era un grande raccontatore di aneddoti, dove spesso lui era la vittima: l'arte di far ridere attraverso l'autoironia. Sapeva raccontarti le cose con estro, conquistando l'attenzione degli altri. E poi era molto affettuoso con me e con i miei fratelli Gianmarco, Thomas e Maria Sole. Era un un amante della vita, profondamente orgoglioso, ma in tutta questa allegria aveva momenti di malinconia».Un'allegria malinconica che riusciva a portare anche sullo schermo.«Il suo spessore di comico era la capacità di trovare ed esaltare quei microdrammi che non sono sempre presenti nella drammaturgia. Portare sempre l'uomo dentro o davanti al personaggio. Era difficile trovare il confine tra il Tognazzi attore e il Tognazzi uomo. Portava a casa il suo lavoro, divertendosi a raccontare cosa avesse fatto quel giorno: eravamo riuniti attorno a lui, ci raccontava le storie e noi l'ascoltavamo. In quei momenti era come se ci svelasse la sua arte. Allo stesso tempo nelle scene dei film io riconosco spesso il papà, con certe espressioni e modi che erano tipicamente suoi e inseriva dentro i suoi personaggi, come quando dormiva con la gamba sinistra fuori dal letto o cucinava». Ugo Tognazzi era anche un cuoco, spesso bistrattato per l'eccessivo uso della panna.«A parte che eravamo in pieni anni Sessanta e Settanta, in cui la panna imperava di per sé e il burro non era stato ancora criminalizzato, per un lombardo mettere panna e burro nei suoi piatti era un fatto naturale. Da buon padano amava molto il burro. Non scordiamoci poi che ha fatto, per non so quanti anni, la pubblicità per la Parmalat e aveva quindi un vitalizio di panna a casa: doveva anche consumarla in qualche modo! Detto questo, trascorreva i suoi momenti in cucina come i pittori che avevano il loro periodo blu, il loro periodo rosso. Passava da una cucina burrosa a una cucina piena di essenze, di profumi, poi magari andava a fare un film in Francia e al ritorno c'era il periodo francese, poi c'è stata la fase etnica e ci cucinava le costine alle Mao, che faccio anche io tuttora. Ha scritto anche la prefazione di un libro di cucina cinese!».Era bravo a cucinare?«Era bravo come nel suo lavoro e uno che è bravo rischia. Gli piaceva variare, sperimentare e inevitabilmente commetteva dei grandi errori, ma nel contempo aveva i suoi piatti forti che avevano un grande successo. Era amico di Gualtiero Marchesi in tempi non sospetti, in cui era considerato uno snob, invece è stato il primo a inventare la nouvelle cousine italiana e mio padre è diventato uno dei suoi discepoli». Il suo piatto forte qual era?«Aveva una casa a Velletri, dove il suo sogno era di diventare autarchico. Aveva trovato, non so in quale rivista, delle mucche piccole che facevano un paio di litri al giorno, quelli sufficienti per mantenere casa, poi c'era il maiale Gigetto... Un giorno mia sorella Maria Sole ha chiesto: “Dov'è Giggetto, dov'è Giggetto?". “Te lo stai a magna', Giggetto!", e a quel punto ha dovuto smettere con i maiali. Una volta è andato in Brasile per un festival. Alla partenza lo ha accompagnato una hostess che lo ha fatto passare davanti alla fila, al ritorno, tranquillo per questo precedente, prima di partire è passato al mercato e ha riempito la valigia di mango, papaya, lime, guaranà, frutto della passione... quando è arrivato all'aeroporto ha pagato centinaia di dollari di sovrappeso perché nessuno lo aveva riconosciuto come Tognazzi gourmet, ma solo come un passeggero che stava portando un carico eccessivo!».L'altra sua grande passione era il torneo di tennis che organizzava nella sua villa di Torvajanica. Com'è nato questo evento al quale partecipava tutto il cinema italiano?«Io dovevo partire per l'Inghilterra per studiare, allora per salutarmi papà ha organizzato un torneo al villaggio Tognazzi, dove avevamo un campo da tennis, e in una gioielleria di Torvajanica ha comprato qualche medaglietta. Al secondo o al terzo anno ha detto: “Dobbiamo inventarci qualche cosa, non possiamo fare le medagliette come a scuola... Gli americani in Coppa Davis hanno l'insalatiera d'argento, noi siamo più forti di loro e facciamo lo scolapasta d'oro". Così è nato il famoso premio e questa manifestazione, a cavallo tra agosto e settembre, è andata avanti per venticinque-trenta anni».Anche lei giocava?«Sì, anch'io, ero una pippa spaventosa! Giocavano tutti: vecchi, donne, uomini, bambini. C'era gente bravissima, come Vittorio Gassman, Arnaldo Ninchi e Umberto Orsini, e gente negata. Mi ricordo che Luciano Pavarotti era agilissimo a rete».Da ragazzo ha fatto l'attore in due film diretti da suo padre, Cattivi pensieri e I viaggiatori della sera.«In questi due film ero l'aiuto regista e ho fatto piccole parti da attore, come spesso mi succedeva quando facevo l'aiuto, a volte per necessità, perché l'attore era venuto a mancare all'ultimo momento, o per semplice narcisismo o perché il regista diceva: “Fallo tu questo ruolo"». Com'era fare l'aiuto regista a suo padre?«Era difficile. Intanto ero un aiuto regista alle prime armi e il lavoro dell'aiuto è molto complesso, c'è bisogno di tanta attenzione e di tanta dedizione al lavoro, e a volte ero mancante in questo. Poi fare il regista vuol dire anche sapere esattamente quello che ci vuole e comunicarlo agli altri, soprattutto all'aiuto regista. Ugo invece aveva l'abitudine e il bisogno di rimandare le decisioni, questo faceva sì che ci trovassimo sempre un po' in difficoltà, e poi era molto nervoso perché sentiva sulle spalle il peso della regia, cosa che oggi capisco più che mai. Sono state due lavorazioni molte difficili per entrambi, però ci hanno fatto crescere dal punto di vista umano perché ci siamo conosciuti meglio attraverso anche qualche discussione».Quando ha esordito con Piccoli equivoci nel 1989, suo padre ha avuto modo di vedere il film?«Abbiamo fatto a Milano una proiezione e lui è venuto con Lucio Ardenzi, un produttore teatrale con cui stava facendo L'avaro di Molière. Non stava già benissimo ed era molto emozionato, anche perché avrà pensato, immagino, “se è una cagata, cosa gli racconto?!". Quando si sono accese le luci, Ugo, commosso, impaurito, ha detto a Lucio: “Mi sono rincoglionito o il film è carino?". E Lucio: “Tranquillo, Ugo, il film è molto carino, non ti preoccupare" e gli ha dato una pacca sulle spalle. Credo che abbia avuto un momento di grande sollievo a non dover dire che suo figlio era un cane! Per Ultrà, qualche mese prima di morire, mi ha detto: “Quando mi fai vedere il film?". “Se vuoi, te lo faccio vedere stasera, però non ci sono ancora le musiche...". “No, no, aspetto". Purtroppo non ce l'ha fatta a vederlo per pochi giorni. Ho fatto in tempo a mettere sui titoli di testa: A Ugo, mio padre, maestro e amico».
(Totaleu)
«Tante persone sono scontente». Lo ha dichiarato l'eurodeputato della Lega in un'intervista al Parlamento europeo di Strasburgo.