2024-04-20
Per incentivare il solare strapaghiamo il gas
I produttori di energia sono costretti a tenere in funzione le centrali per intervenire subito nel caso di eccessiva volatilità giornaliera delle rinnovabili. Su queste ultime ci becchiamo gli oneri di sistema. Sul vecchio fossile i prezzi si alzano di più.I prezzi zero dell’energia elettrica che si sono verificati di recente sui mercati all’ingrosso non sono la buona novella che molti commenti entusiastici pretendono di annunciare. Sono in realtà il segnale di un sistema elettrico che sta cambiando e che va raccontato per quello che è. Perché l’energia a costo zero non esiste.Domenica 7 aprile si è verificato un Prezzo Unico Nazionale (Pun) pari a 0,10 euro al megawattora. Si tratta del prezzo all’ingrosso dell’energia elettrica comprata il giorno prima della consegna sul mercato regolamentato, gestito dal Gestore del Mercato Elettrico (Gme). Chiamiamolo «borsa elettrica» per semplicità.È rispetto al Pun giornaliero che vengono regolati i contratti per differenze sul mercato all’ingrosso. Anche i nuovi incentivi alle rinnovabili sono concepiti come un contratto per differenze, della durata di due decenni. In questi contratti si decide un prezzo fisso tra le parti, ma l’energia viene scambiata in borsa: se il prezzo di borsa è diverso dal prezzo fisso pattuito, produttore e acquirente si scambiano le relative partite economiche. Quando si tratta di operatori che usufruiscono degli incentivi, questo significa che la controparte è un soggetto pubblico, il Gse. In questo caso, dunque, il Gse corrisponde al produttore la differenza tra il prezzo fisso pattuito come incentivo e il Pun. Più il Pun è basso, maggiore è l’esborso del Gse. Se il PUN è zero ma il prezzo fissato nel contratto per differenza è 70 euro al megawattora, il Gse deve pagare comunque 70 euro al megawattora. Da dove prende il denaro il Gse? Da una specifica voce inserita nella bolletta di tutti gli italiani, una componente che pagano tutti sul proprio consumo di energia elettrica, che si chiama Asos ed è inserita in bolletta nella voce «oneri di sistema», con un valore stabilito trimestralmente dall’Arera (al momento 2,98 cent per kilowattora). Come si legge nel budget economico della Cassa per i servizi energetici e ambientali (Csea) nel 2024 si stima che gli italiani pagheranno 7,8 miliardi di euro per la componente Asos in bolletta, mentre ai produttori incentivati andranno 8,8 miliardi di euro (lo sbilancio è coperto con altre componenti in bolletta). Dunque, se anche il Pun fosse sempre zero, i produttori incasserebbero sempre il prezzo fissato nell’asta che ha assegnato l’incentivo, che assume la forma di un prezzo garantito. Solo che a pagare non sarebbe il mercato, ma gli italiani con l’apposita voce in bolletta.Ma c’è un effetto più ampio delle rinnovabili sul sistema elettrico. Il prezzo zero si verifica quando c’è un eccesso di offerta, dato dalla sovraproduzione del fotovoltaico nelle ore centrali del giorno. Il sistema con cui si forma il Pun orario assegna il prezzo marginale a tutte le centrali che hanno prodotto in quell’ora. Poiché le fonti rinnovabili offrono in borsa la propria energia a prezzo zero, se la domanda è bassa è proprio il fotovoltaico a fissare il prezzo. Quando il sole inizia a scendere, però, la produzione fotovoltaica cala rapidamente e il sistema ha bisogno di potenza elettrica, in grado di entrare in funzione rapidamente per soddisfare all’istante la domanda di energia. Più produzione solare c’è, più il calo di produzione è ripido e più le centrali che devono entrare in sostituzione devono essere veloci. Quali impianti possono fornire questo servizio? Quelli termoelettrici a gas. Che però, essendo spiazzati durante il giorno dalle rinnovabili che vendono a prezzo zero (avendo minimi costi variabili e godendo degli incentivi), nel momento in cui sono chiamati a produrre pretendono prezzi alti, per recuperare i denari delle ore in cui non hanno lavorato pur sostenendo costi. Questo influisce sul Pun giornaliero, tenendolo più alto di zero. Del resto, quale produttore venderebbe la propria energia incassando zero? È pur sempre un mercato. Chi lo fa guadagna da qualche altra parte.Per evitare l’eccessiva volatilità infra-giornaliera e «ripulire» il Pun da questi picchi si è inventato il mercato della capacità, con cui si pagano i produttori per il fatto di tenere le centrali a disposizione, pronte ad essere chiamate a produrre. Si tratta di un onere di sistema, che non entra nel Pun, ma che viene riversato in bolletta.L’idea è che progressivamente la flessibilità venga fornita da gigantesche batterie anziché da centrali elettriche. Ma il principio non cambia: anche le batterie avranno bisogno di un prezzo, o di una componente tariffaria in bolletta, per ripagare l’investimento, che nel caso delle batterie è molto alto. Dunque il costo delle energie rinnovabili va considerato tenendo conto dell’impatto sul sistema nel suo complesso. Dire prezzo zero è fuorviante. Per avere tanta produzione fotovoltaica il sistema è costretto a tenere in vita gli impianti a gas, e un domani a pagare le batterie. Le quali andranno a sostituire centrali elettriche perfettamente funzionanti, evidenziando ancora una volta l’inefficienza finanziaria complessiva di questi investimenti.In consonanza con il piano appena presentato da Enrico Letta, il sostegno obbligatorio alle fonti rinnovabili a qualunque costo (whatever it takes) dirotta investimenti verso fonti inefficienti, bloccando così gli investimenti in altre tecnologie e in ricerca scientifica. Alla ricerca di una «sostenibilità» immaginaria che sconfina nel pensiero magico.
Jose Mourinho (Getty Images)