2025-07-13
Quattro prof trovano un appiglio: ci si può opporre alla carriera alias
In un istituto a Spilimbergo (Pordenone) i docenti invocano la «clausola di minoranza», prevista da una legge del 2015: non possono essere forzati ad agire contro la loro morale. Per loro «Mario» non diverrà «Giorgia».Il cosiddetto «diritto» di scegliere un nome di elezione (alias), se uno studente non si riconosce nel genere biologico e o se è in una fase di «transizione», non è sancito per legge ma, quando la procedura viene adottata da un istituto scolastico o università, viene dato per scontato che tutto il corpo docenti sia d’accordo. Invece alla «carriera alias», protocollo sempre più diffuso in nome di una discutibile tutela formativa contro bullismo, discriminazione o emarginazione, un insegnante può dire no, rifiutandosi di chiamare in aula «Giorgia» l’alunno Mario che si percepisce con una identità di genere non rispondente a quella assegnata alla nascita. A rivendicare il diritto dei professori di non agire contro la propria morale solo per accontentare una deriva Lgbt ci hanno pensato quattro insegnanti friulani. I docenti di lettere Massimiliano Verdini, Caterina Paladini, Marta Varutti e la professoressa d’inglese Claudia Pràmparo hanno fatto valere l’«opzione di minoranza» nel loro Istituto di istruzione superiore «Il Tagliamento» a Spilimbergo (provincia di Pordenone), opponendosi alle decisioni del collegio docenti che aveva applicato il regolamento carriera alias. «È una norma poco applicata, ma che garantisce dei principi fondamentali per l’affermazione della libertà d’insegnamento», spiega il professor Verdini. Chiamata anche «opzione di gruppi minoritari», prevista dall’articolo 1 comma 14 della legge 107/2015, fa sì che gli insegnanti possano rifiutarsi di applicare regolamenti che nel merito o nel metodo ritengono contro la loro morale, anche se approvati a maggioranza dal collegio docenti (che spesso accetta passivamente metodologie e attività). Sempre che non siano regolamenti imposti per legge dello Stato, ma ad oggi nessuna norma impone l’applicazione di una «carriera alias». E il ministero dell’Istruzione non ha emanato linee guida per l’attivazione della carriera alias per studenti trans alle quali le scuole di ogni ordine e grado debbano fare riferimento per redigere appositi protocolli.Quando anche da una sola persona viene fatta valere questa opzione, fondamentale clausola di garanzia della libertà d’insegnamento, deve essere inserita obbligatoriamente nel Piano triennale dell’offerta formativa (Ptof), senza che si possa esercitare a riguardo un voto positivo o negativo. Si prevedevano, nel piano dell’istituto, la nomina di un tutor amministrativo - per la gestione del procedimento - e di un tutor scolastico, che mantiene i contatti con il consiglio di classe, con l’eventuale personale supplente, e «si accerta che il personale docente esterno della commissione per l’esame di Stato venga adeguatamente informato sulle corrette modalità di relazione con la persona per cui è stata attivata la carriera alias». Non sia mai che trapeli il vero nome e l’identità dello studente, altrimenti figuriamoci che cosa potrebbe accadere. Sempre nel regolamento approvato, la scuola si impegnava a «promuovere la formazione del personale scolastico sui temi connessi ai disturbi dell’identità di genere, avvalendosi della collaborazione di esperti»; così pure ad attivare «percorsi di sensibilizzazione e di formazione specifica rivolti al gruppo classe di appartenenza della persona titolare della carriera alias». Un dispendio di energie, mezzi e consulenti esterni. «Quando mi sono alzato e ho chiesto che venisse messa a verbale la nostra opzione di minoranza, dichiarando che non avremmo mai applicato il loro regolamento nel nome della legge, la dirigente Lucia D’Andrea si è opposta gettando il foglio che le porgevo, tra battiti di mani e insulti da parti di certi colleghi», racconta Verdini. Poi, spiega, la preside sarebbe stata «costretta» a verbalizzare l’obiezione di coscienza e a protocollarla, assieme alle motivazioni di contrarietà manifestate dai professori non appiattiti sull’ideologia gender. «Ci sarebbero stati altri colleghi convinti che era giusto firmare l’opzione di minoranza, ma “per non avere problemi” con la preside si sono astenuti», raccontano i professori contrari alla carriera alias. Aggiungono: «Dopo quella decisione ci sentiamo controllati a vista. Andare contro istanze Lgbt ti mette in difficoltà nei confronti degli altri docenti e del direttore di istituto». Ciò nonostante, sono soddisfatti che la loro posizione sia stata inserita nel Piano triennale dell’offerta formativa. «L’Istituto potrà anche riconoscere l’identità alias, ma se ci sono dei professori che chiamano con il loro vero nome uno studente è evidente che tutta la procedura salta», sottolinea Verdini. «Crediamo che sia il primo caso in Italia di opposizione con l’unico mezzo legale che gli insegnanti dispongono per non applicare questo genere di regolamenti. Potrebbe essere una valida idea per altri docenti coraggiosi».Secondo Agedo, associazione di genitori, parenti e amici di persone lesbiche, gay, bisessuali, transgender, al 2 luglio sono 463 le scuole che in Italia prevedono nel loro regolamento la carriera alias. Per quanto riguarda gli Atenei sarebbero 32 in base all’ultimo dato relativo a giugno 2024.