2025-06-13
L’ombra del governo cinese dietro la criminalità che spadroneggia a Prato
Il procuratore di Prato Luca Tescaroli (Ansa)
Minacciarono un «pappone» con la bara: arrestati. Ma il potere di questa mafia è sottovalutato e gode della connivenza di Pechino.Un mazzo di gladioli rossi è uno dei messaggi intimidatori che la criminalità cinese invia alle persone che intende minacciare. Ma a Prato, l’1 ottobre scorso, H.C., un trentacinquenne «pappone» cinese (conosciuto in zona come Cris), al concorrente H.H., soprannominato Gambarotta, anche lui cinese, ma di tre anni più giovane, ha fatto recapitare un avviso ben più macabro: una bara con tanto di foto-ritratto incorniciata. E poi, per essere certo di spaventarlo a sufficienza, gli ha pure fatto saltare per aria l’auto, ferma nel parcheggio di uno degli hotel dove Gambarotta faceva, sino a ieri, prostituire le proprie ragazze.I «necrofori» alle dipendenze di Cris erano D.G., detto Ciccione o Biondo, un calabrese di 36 anni con numerosi precedenti penali, e un quarantottenne pachistano, H.B.Z., entrambi impiegati a tempo perso in un autolavaggio. Alla fine, su richiesta della Procura di Prato, guidata da Luca Tescaroli, sono entrambi finiti in manette, insieme con quattro cittadini cinesi, compresi i due ras della guerra per il controllo del meretricio. I reati contestati ai sei sono a vario titolo quelli di tentata estorsione aggravata (ipotesi per cui è indagato anche un uomo soprannominato Mascherina) e sfruttamento della prostituzione. Nella retata sono finite anche due donne cinesi: C. F., trentunenne ex prostituta, fidanzata di Gambarotta, e la trentacinquenne Z.W., detta Nana. Le due, insieme con Gambarotta, si sarebbero occupate di reclutare e gestire le ragazze.Durante le indagini è emerso che della scuderia facevano parte, oltre a numerose cinesi, anche una venticinquenne colombiana, poco apprezzata dall’esigente clientela originaria della terra del Dragone (che preferisce acquistare i servigi di connazionali dalla pelle chiara), una giapponese capace di avere anche 8-10 incontri al giorno (ma dopo un paio di discussioni con i clienti ha lasciato l’Italia) e un’altra occidentale soprannominata Mi Lu. La sera dell’attentato Gambarotta e un suo amico erano in albergo insieme con la trentaduenne H.H. che, a causa dello shock, ha prontamente lasciato Prato per dirigersi a Milano. Una meta non casuale, visto che l’organizzazione spostava in continuazione le escort lungo questa direttrice (circa ogni 10 giorni), rinnovando così l’offerta per i clienti. Quello della bara e dell’auto distrutta è solo l’ultimo episodio di una lunga serie di violenze e attentati che da mesi, in particolare dal 2024, hanno reso la zona tra Prato e Firenze un territorio molto somigliante alle aree mafiose del Sud Italia. Per questo motivo Tescaroli ha chiesto sostanziosi rinforzi. Il Csm non ha ancora coperto i posti vacanti, mentre Polizia, Carabinieri e Guardia di finanza hanno inviato una ventina di uomini in più. Ovviamente un numero ancora non sufficiente. L’attività di ieri ha permesso di ricostruire dettagliatamente il modus operandi di due gruppi antagonisti di cinesi che usano come bracci operativi per le azioni violente anche criminali nostrani, spesso ridotti a manovalanza delle Triadi. È il caso del Ciccione, il quale, intercettato, si è vantato del suo doppio lavoro. Per esempio ha raccontato di avere «picchiato bene bene» un tassista abusivo cinese. In un’altra ha spiegato che lui avrebbe voluto usare modi spicci per convincere il direttore dell’hotel ad allontanare il concorrente del suo «capo», ma che questi lo aveva invitato alla calma, temendo che ci fossero delle indagini in corso (come in effetti era). In un caso, per conto di Cris, si sarebbe recato a Torino semplicemente per minacciare un obiettivo, ricevendo in cambio 5.000 euro facili facili. Invece Gambarotta per un pestaggio lo aveva pagato «solo» 3.000 euro da dividere in tre. Dalle investigazioni risulta che lo stesso «boss» avesse offerto 2.000 euro a un connazionale per far «riempire il volto di lividi» a un suo ex collaboratore (conosciuto come Vip o Peugeot). A far scoppiare la guerra tra i due gruppi sarebbero stati i debiti accumulati da Gambarotta con i suoi vecchi sodali: a detta dei creditori doveva 24.000 euro a Cris, 25.000 ad altri due cinesi e tre mesi di stipendi arretrati del Biondo. Quest’ultimo ha a proprio carico numerose denunce per truffa, per guida senza patente, danneggiamento, furto e anche arresti in flagranza di reato per rapina e detenzione di stupefacenti, tutti reati commessi in Calabria. Secondo gli inquirenti sarebbe stato anche un cliente abituale delle prostitute oltre che loro protettore. Durante le perquisizioni di ieri (nei confronti dei sei arrestati e di ulteriori quattro indagati, tre cinesi e un altro calabrese), gli investigatori hanno trovato in casa del Ciccione un revolver con matricola abrasa e per questo gli è stata contestata anche la detenzione di arma clandestina. Nell’appartamento di un trentottenne sono stati, invece, rinvenuti 32.000 euro in contanti. Gambarotta, dopo l’attentato, è stato cercato per giorni dal Biondo, che avrebbe voluto dargli un’altra lezione, ma poi il cinese ha ripreso i contatti con Cris, intorno al gennaio scorso, salvo poi ricominciare, subito dopo, la guerra e riprendere il controllo dell’albergo da cui si era temporaneamente allontanato con le sue peripatetiche. In una telefonata valorizzata da Tescaroli e dai suoi pm si capisce quanto valga la prostituzione cinese d'alto bordo. Le prestazioni venivano pagate sino a 600 euro l'ora (una tariffa che comprendeva il cosiddetto «servizio completo»), ma il costo delle squillo gestite da Gambarotta non scendeva mai sotto i 200 euro della «prestazione base» (300 per la «normale»). Le ragazze dovevano essere tutte molto avvenenti e Gambarotta al telefono assicurava a un’aspirante escort che avrebbe guadagnato sino a 50.000 euro al mese. A una donna di 35 anni non ne garantiva, però, più di 20.000. L’uomo offriva alle sue sex worker «tutto il necessario per lavorare tranne i vestiti sexy». Il giudice suppone che, invece, «preservativi e lubrificanti» fossero «inclusi nell'assunzione».Quando le giovani avevano le mestruazioni perdevano il diritto a vitto, alloggio e al lavoro e si dovevano arrangiare. Alle nuove arrivate, però, Gambarotta, durante il ciclo, offriva la propria casa come ricovero. Dalle trattative intercettate dai pm si evince che le escort cinesi in questo momento sono più attratte dagli Stati uniti che non dalla vecchia Europa.Gambarotta proponeva diverse strade per arrivare in Italia: il visto turistico, non difficile da ottenere secondo lui, anche pagando persone in grado di preparare l'intera pratica; l’immigrazione illegale, passando prima dalla Serbia e poi dalla Grecia; le dichiarazioni di lavoro false per ottenere il permesso di soggiorno. L'arrestato dimostrava di avere i contatti necessari per assistere le donne nelle diverse opzioni e si offriva di anticipare il denaro necessario a raggiungere l’Italia.Le ragazze dovevano dare a Gambarotta il 60 per cento dei loro introiti (per poi scendere a 40 una volta fatta esperienza) e, se non avevano debiti con lui per l’ingresso nel nostro Paese, potevano interrompere la collaborazione dopo il primo mese di lavoro (gli altri sfruttatori ne pretendevano tre), anche se non era stata una passeggiata di salute: nessun giorno di ferie (se non durante il ciclo) e reperibilità dalle 12 del mattino alle 3 di notte. Un tour de force difficile da sopportare. Adesso questo oliato sistema di sfruttamento della prostituzione è stato interrotto dalle indagini della Procura. Che ha molti altri fronti aperti per quanto riguarda il contrasto alla criminalità cinese. Tescaroli, in una recente lettera aperta al Corriere della sera, aveva lanciato l’allarme e spiegato che i cinesi forniscono alla criminalità organizzata italiana e albanese «servizi bancari illegali di pagamenti internazionali per il narcotraffico» e gestiscono «un sistema economico-criminale parallelo che coinvolge tutta la filiera manifatturiera, sfruttando la manodopera clandestina e drenando profitti verso la Cina». Essì, perché gli introiti realizzati in Italia non restano nel nostro Paese, persino i capannoni del tessile sono solo presi in affitto.A guadagnarci è solo Pechino che può fare concorrenza sleale alle altre economie acquisendo, però, il know-how locale. In un’audizione davanti alla commissione sullo sfruttamento lavorativo del Senato Tescaroli ha spiegato che la colonia italo-cinese «drena i proventi e genera un flusso finanziario che rientra in madre patria attraverso canali differenziati» ed «è funzionale ad approvvigionare la Repubblica popolare e a rafforzare la moneta debole di quel Paese con provviste di euro», agevolando «le attività commerciali cinesi». Sarà per questo che il governo di Pechino risulta connivente: non risponde alle richieste di collaborazione giudiziaria che arrivano dalle nostre Procure e, a quanto risulta agli inquirenti italiani, non adotta iniziative per interrompere le attività illecite dei propri connazionali. I cinesi del distretto di Prato riuscirebbero anche a evitare gran parte dei dazi e dell’Iva sulle merci importate, poiché ormai metà dei materiali acquistati transitano da altri Paesi europei meno esosi nei confronti della Cina e anche le tasse dovute all’Erario vengono spesso non pagate grazie alla creazione di imprese «apri e chiudi». Tescaroli ha anche scritto che nell’ultimo anno si è registrata «un’escalation criminale cruenta con molteplici condotte a base violenta (omicidi, pestaggi, incendi, induzione alla prostituzione)», il cui culmine è stato il duplice omicidio avvenuto a Roma lo scorso 14 aprile. Il tutto nell’ambito di una sanguinosa guerra per il controllo del mercato delle grucce per abiti, della logistica e dei trasporti. Una lotta che si è estesa sino a Parigi (due incendi) e Madrid, dove è stato dato alle fiamme un intero stabilimento. Dal giugno dell’anno scorso si contano, in questo conflitto transnazionale, incendi dolosi (di questi, tre in una stessa notte, a febbraio), pestaggi e aggressioni con bastoni, estorsioni, spedizioni punitive. Una prostituta rumena proveniente da Roma è sparita nel nulla. Un cittadino cinese è stato colpito alla testa più volte con spranghe e barre di alluminio: dopo otto mesi è ancora ricoverato in ospedale. Negli ultimi 12 mesi si contano diversi altri tentati omicidi, come quello ai danni di un pregiudicato cinese (a sua volta autore, in Campania, di un assassinio, nel 2006): è stato eviscerato dai suoi assalitori e si è miracolosamente salvato. Uno spiraglio di luce arriva dalla decisione di collaborare con la giustizia presa nell’ultimo anno da settantadue tra imprenditori cinesi e lavoratori sfruttati di diverse nazionalità, sessantadue dei quali hanno iniziato il loro percorso a partire da febbraio. Tra loro c’è anche il figlio di un noto boss della mafia cinese. Una sfida che per ora Tescaroli è costretto ad affrontare con soli otto pm. Anche se la Commissione antimafia guidata da Chiara Colosimo ad aprile ha mandato due suoi membri a studiare il dossier e pure il ministero della Giustizia ha promesso aiuto.
Beatrice Venezi (Imagoeconomica)