2021-01-21
Ok allo sforamento di bilancio, il resto è buio
Giuseppe Conte (S.Carofei/Getty Images)
Lo scostamento di 32 miliardi passa quasi all'unanimità. Il centrodestra: «Non intendiamo privare famiglie e aziende degli aiuti necessari». Ma la lista degli interventi è assai vaga. Giuseppe Conte prova a guadagnare tempo, fare la vittima e accontentare un po' tutti.E ci sono anche Milleproroghe e ddl Zan. Senza Iv, il governo non è autosufficiente.Lo speciale contiene due articoli.Per la sesta volta in pochi mesi, ieri sera le Camere, quasi all'unanimità (Azione e Più Europa non si sono fidate delle richieste generiche del governo), hanno votato l'autorizzazione a un ulteriore scostamento di bilancio. Stavolta lo sforamento previsto è di altri 32 miliardi. Dunque, da un punto di vista numerico, com'era stato del resto preannunciato, quasi nessuno si è messo di traverso: né i renziani, che lo avevano assicurato anche nei giorni precedenti, né il centrodestra. Le scelte dell'opposizione sono state formalizzate da una nota congiunta dopo un vertice con Matteo Salvini, Giorgia Meloni e (in collegamento) Silvio Berlusconi: «Nonostante le forzature del governo e le continue scorrettezze, nonostante una pretesa autosufficienza che non esiste, il centrodestra non intende privare le famiglie e le aziende italiane degli aiuti necessari in un momento così drammatico: per questa ragione, come annunciato, voterà compatto lo scostamento di bilancio. In ogni caso il centrodestra intende rappresentare al presidente della Repubblica il proprio punto di vista sulla situazione che è ormai insostenibile». Quindi, netta distinzione tra un duro contrasto a quel che resta del Conte bis e un ok concesso allo scostamento, anche per non dare modo alla sinistra di colpevolizzare il centrodestra. Il problema - però - è che da mesi il governo prima si reca in Aula a chiedere sostegno trasversale (per lo sforamento, infatti, serve tassativamente la maggioranza assoluta in ciascun ramo del Parlamento) ma poi, al momento di utilizzare i fondi, fa di testa propria: il che ha largamente determinato una dilapidazione degli oltre 108 miliardi stanziati nel 2020. Questa volta, nella vaghissima relazione governativa in cui si chiede lo scostamento, si legge che, al di là delle misure per le imprese, «sono previsti stanziamenti aggiuntivi per il settore sanitario, anche in relazione alle necessità relative all'acquisto, la conservazione e la logistica dei vaccini e dei farmaci per il trattamento dei pazienti affetti da Covid-19». Altre voci indicate sono: interventi a tutela del lavoro, per la protezione civile, per le forze dell'ordine, per le autonomie territoriali. Si parla anche di una «rimodulazione temporale dell'invio delle cartelle esattoriali e, in favore delle imprese, di misure che consentano di accelerare e potenziare la ripresa dell'attività economica».Ciascuno comprende che questo zibaldone e questa lista non chiariscono nulla: quanto andrà effettivamente a chi? Quanto alle imprese massacrate dal lockdown strisciante? E che vuol dire «rimodulazione temporale» delle decine di milioni di cartelle dell'Agenzia delle entrate che sono in partenza? Si tratterà solo della presa in giro di un mini rinvio oppure ci saranno risposte reali? Ieri mattina, a Coffe break su La 7, il viceministro Antonio Misiani si è limitato a indicare una voce, in continuità con quanto, aderendo alle richieste del centrodestra, era già avvenuto in legge di bilancio: allora fu stanziato 1 miliardo per la decontribuzione a favore degli autonomi, e stavolta dovrebbe essere stanziato un altro miliardo e mezzo per la stessa voce. Ma su tutto il resto è buio. Ci sono solo ipotesi. Tra queste, altre 26 settimane di cassa integrazione e licenziamenti bloccati dopo il 31 marzo (ma solo per le imprese dei settori in crisi). Quanto ai ristori, potrebbe essere superato il meccanismo legato ai codici Ateco, concentrando gli aiuti sulle perdite di fatturato: la soglia dovrebbe essere quella del 33%. Ma tutto è ancora indefinito. Tocca infatti al governo stendere il decreto Ristori quinquies (che dovrebbe essere varato a fine mese), e, a parte alcune buone intenzioni, tutto è ancora in alto mare. Di più: nel pieno del suk che ha aperto e sta gestendo, Giuseppe Conte sarà diviso fra tre diverse spinte. La prima è dilatoria: guadagnare tempo, usare giorni in più, facendo della gestazione di questo provvedimento parte della sua campagna di «persuasione» sui parlamentari incerti. La seconda spinta, una volta varato il decreto, sarà quella, durante l'esame parlamentare, di usarlo come una specie di giubbetto antiproiettile per proteggersi: additando cioè ogni obiezione e ogni avversario come un ostacolo all'azione di ristoro alle imprese. E ciascuno può già immaginare la martellante propaganda governativa a cui saremo sottoposti. La terza spinta, infine, sarà quella di trovare un bilanciamento tra esigenze politiche molto diverse: quelle di chi sta in maggioranza (Pd, 5 stelle, Leu, più i fantomatici «responsabili»), di chi non ci sta più (i renziani), di chi non c'è mai stato (il centrodestra). Nelle precarie condizioni parlamentari in cui il governo si trova, alcune concessioni dovranno necessariamente avvenire. Insomma, c'è da ipotizzare un curioso mix di propaganda (del tipo: «stiamo ristorando le imprese»), di vittimismo («mi stanno ostacolando») e di consociativismo nel tentativo di accontentare un po' tutti. Difficile pensare che, in un frullatore simile, l'uso delle risorse possa rivelarsi efficace e ben mirato. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/ok-sforamento-bilancio-resto-buio-2650047242.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="legge-elettorale-giustizia-recovery-gli-scogli-insidiosi-nelle-commissioni" data-post-id="2650047242" data-published-at="1611189904" data-use-pagination="False"> Legge elettorale, giustizia, Recovery. Gli scogli insidiosi nelle commissioni Non fa certo difetto la fantasia, in queste ore, a chi parla di uno scenario parlamentare agibile per il governo, se i numeri restassero quelli usciti dal voto del Senato di martedì sera. Ma c'è di più: un'analisi approfondita delle forze in campo in aula e nelle commissioni, non potrebbe che portare alla conclusione che, anche con l'arrivo di un'altra manciata di «neoresponsabili», la paralisi sarebbe assicurata. Anzi, in più di un caso mandare il governo in minoranza sarebbe un gioco fin troppo facile, qualora Italia viva decidesse di passare all'attacco e porre in atto la minaccia di votare contro l'esecutivo. E a giudicare dal tenore di un paio di provvedimenti tra i numerosi che sono attesi al banco di prova parlamentare, è veramente difficile immaginare che il partito di Matteo Renzi possa comportarsi come nel caso dello scostamento di bilancio o del decreto Ristori 5, ai quali ha assicurato il sostegno. Partiamo dalla cornice: come già detto, senza i renziani, a Palazzo Madama, il governo non ha la maggioranza assoluta in aula e, per ora, può contare su qualche voto di scarto sull'opposizione. Ma il tabellone della fiducia dice anche che il primo voto contrario di Iv determinerebbe un quadro di sostanziale parità. Nelle commissioni, invece, c'è già una situazione che non lascia alcuna speranza di autosufficienza al governo, se si associano i nuovi equilibri al merito dei provvedimenti in ballo. Seguiamo l'ordine delle commissioni, partendo dalla Affari costituzionali. Il premier Giuseppe Conte, in Aula, ha lasciato intendere ai «cespugli» che volessero sostenerlo che sul tavolo c'è una riforma elettorale proporzionale capace di accontentare tutti i partiti, anche quelli con percentuali da prefisso telefonico. Ebbene, una riforma di questo tipo, per esempio, dovrà passare attraverso la commissione Affari costituzionali dove, tanto per dire, al Senato in questo momento senza Iv il governo ha gli stessi voti dell'opposizione. Un «dispetto» sulla soglia di sbarramento o sulla reintroduzione delle preferenze, sarebbe sufficiente a mandare tutto all'aria. Subito dopo viene la commissione Giustizia, ed è qui che il Vietnam parlamentare per la maggioranza assume i contorni più realistici poiché alla Camera, senza renziani, il governo è alla pari col resto dei gruppi e al Senato finanche in svantaggio. Qui, addirittura, la presidenza è in mano all'opposizione (Lega). Ora, dato che già un anno fa la crisi di governo sembrava ineluttabile a causa delle proteste di Iv sulla prescrizione in salsa grillina, è lecito chiedersi cosa potrà succedere quando si muoverà l'iter di due leggi attualmente ferme: le riforme del processo civile e della magistratura ordinaria. Senza contare che anche alla Camera, pur in quadro meno contrastato, in commissione Giustizia da questa settimana la situazione è di parità, e questo non è certo un buon viatico con in ballo la riforma del processo penale. E cosa dire, allora, del fatto che la commissione Bilancio del Senato vede ora 13 senatori di maggioranza, 11 di centrodestra e due di Iv? Per esempio, che sarà interessante vedere cosa accadrà al momento (non lontano) dell'approdo del Recovery plan, visto che quest'ultimo è stato il casus belli che ha scatenato la crisi tra Renzi e Conte. Non finisce qui, perché c'è il Milleproroghe in scadenza a inizio marzo e la prospettiva non è certo quella di un esame sollecito, idem per la legge di delegazione europea, per dirne un'altra che è già in Parlamento, senza parlare delle leggi-bandiera come il ddl Zan sull'omotransfobia, il cui approdo pare ora molto lontano. Infine, poiché non è un dettaglio, giova ricordare che Italia viva manterrà fino a fine legislatura la presidenza di ben tre commissioni: alla Camera la Finanze e la Trasporti e al Senato l'Istruzione.