2023-04-18
Oggi la partita decisiva sulla «casa verde»
Frans Timmermans e Ursula von der Leyen (Getty Images)
Inizia il trilogo, ovvero la trattativa finale fra Consiglio, Commissione ed Europarlamento, sulla direttiva sugli immobili green. Il testo contiene obblighi, non mere raccomandazioni, e recita: «Gli Stati garantiscono l’adeguamento anche degli edifici privati».La supposta (intesa purtroppo come sostantivo, non come participio passato del verbo «supporre») si avvicina sempre più pericolosamente, e i proprietari di immobili - già aggrediti su più fronti - devono davvero preoccuparsi. Contemporaneamente, è necessario che la tensione e l’attenzione mediatica restino alte e anzi crescano, per aiutare il governo italiano a fare il possibile per sventare la minaccia. Di che si tratta? Della famigerata direttiva green sugli immobili, che da oggi entra nella fase del cosiddetto «trilogo», cioè della consultazione finale tra le istituzioni europee: Parlamento, Consiglio, Commissione. Com’è noto, a metà dello scorso mese di marzo, la plenaria di Strasburgo ha già sparato la sua prima raffica, approvando un testo pessimo (con 343 voti favorevoli di socialisti, verdi, liberalmacronisti e un pezzo di Ppe, 216 voti contrari e 78 astenuti) in base al quale gli edifici residenziali dovranno raggiungere la classe energetica E entro il 2030 e la D entro il 2033. Per gli altri edifici, il raggiungimento delle medesime classi dovrà essere conseguito entro il 2027 (E) e il 2030 (D). Ora partirà il negoziato con le altre istituzioni Ue. Attenzione. Se anche si trattasse di un obbligo indiretto e implicito, il danno economico per i proprietari sarebbe devastante. Se infatti un proprietario non realizzasse gli interventi richiesti, il crollo del valore della sua casa sarebbe enorme e matematico. E già oggi il mercato sta segnalando una difficoltà e una frenata generale: ogni acquirente, prima di comprare, vuole sapere bene se l’immobile a cui è interessato debba o meno subire lavori costosi, se sia già «in regola» o meno rispetto alle nuove pretese normative. E - fatalmente, in caso negativo - tende o a offrire di meno o ad aspettare. Risultato? Un sensibile rallentamento del mercato immobiliare. E a poco a poco sarà sempre peggio. È noto infatti che gli istituti bancari saranno sempre più avari rispetto alla concessione di mutui per l’acquisto di immobili che non siano a «norma». Con gli effetti che ciascuno immagina per ciascun acquirente che non disponga di un capitale sufficiente. Ma la situazione è perfino peggiore. Perché nel testo in campo l’obbligo non è solo indiretto e implicito, bensì diretto ed esplicito. La formula inequivocabilmente utilizzata è: «Gli Stati membri garantiscono che» sia gli edifici di proprietà pubblica, sia gli edifici non residenziali, sia quelli residenziali, raggiungano le classi indicate entro le date che abbiamo visto prima. Quindi il primo tema è il danno economico devastante a carico dei cittadini. E il secondo è di principio: un conto sarebbe indicare un obiettivo astrattamente desiderabile e lasciare che ogni Stato preveda degli incentivi per incoraggiare chi volesse intervenire; altro conto è imporre tutto attraverso odiosi obblighi (come invece si sta facendo). Il terzo tema è quello della fattibilità dell’operazione. Fattibilità sia qualitativa (un borgo italiano è un po’ diverso dalla periferia di Bruxelles) sia quantitativa. Se l’operazione Superbonus alla grillina ha determinato lo sconquasso che sappiamo coinvolgendo appena 360.000 immobili italiani, figuriamoci cosa potrebbe accadere con un intervento che, nel suo spettro più largo, riguarderebbe (dati Ance) 9 milioni di edifici residenziali su 12. La stessa direttrice dell’Agenzia del Demanio, Alessandra dal Verme, interpellata dal deputato Fdi Andrea Bertoldi, ha candidamente ammesso: «Non è pensabile che il demanio, con un patrimonio di 43.000 beni pubblici, riesca improvvisamente con la bacchetta magica a intervenire su tutti gli edifici». Ora, se non può riuscire la mano pubblica su alcune decine di migliaia di edifici, come potranno fare i privati su milioni di case? E soprattutto, chi pagherebbe? È stata stimata una spesa di 45-50.000 euro per un appartamento medio: qualcosa di pesantissimo per una famiglia normale. A meno di ritenere che gli italiani debbano ancora indebitarsi per ottemperare agli obiettivi fortemente voluti, nell’ultimo anno di vita di questa legislatura europea, dall’ineffabile Frans Timmermans. Insomma. Siamo di fronte a una misura costosa, illiberale, impraticabile. Perfino le imprese che potrebbero oggettivamente trarre vantaggio da un meccanismo del genere riconoscono che non ci sono mezzi e maestranze sufficienti per un piano simile. Per non dire dell’impennata dei costi che inevitabilmente si determinerebbero: sia rispetto ai materiali sia rispetto all’effettuazione dei lavori. Dunque, fa benissimo il presidente di Confedilizia Giorgio Spaziani Testa a incalzare politica e media. Il governo deve pensare a un «piano a» (la costruzione di una minoranza di blocco) e a un «piano b» (la trasformazione degli obblighi in meri incentivi). E in più occorrerà - in termini di riduzione del danno - lavorare comunque al massimo allargamento possibile delle deroghe, escludendo il maggior numero possibile di edifici (non solo monumenti, luoghi di culto, edifici a vario titolo protetti, eccetera). La battaglia ricomincia oggi.
Jose Mourinho (Getty Images)