2018-09-03
Non c’è solo Cr7. Il nostro calcio è marcio
Grande euforia per l'arrivo nel nostro campionato del pallone d'oro portoghese (ancora in bianco) ma negli ultimi 15 anni sono fallite 150 società professionistiche. In A bene o male se la cavano, ma ai piani bassi è allarme rosso. I casi Bari, Cosenza e Avellino. Diritti televisivi? Una vera Odissea. E gli utenti adesso sono in rivolta. Dalle aste deserte ai match «spacchettati». L'ultima beffa è lo streaming di Dazn. Lo speciale contiene due articoli. Fallimenti, bilanci truccati, sponsor in fuga, fideiussioni con il trucco, sanzioni, tifosi in rivolta. L'arrivo di mister 100 milioni Cristiano Ronaldo, il mercato principesco delle milanesi e il gioco champagne del Napoli sono, per gli aedi del pallone nostrano, il segnale evidente della riscossa. Ma basta osservare da vicino l'estate del nostro scontento calcistico per capire che il sedicente campionato più bello del mondo somiglia più a un fondale di Cinecittà, dove alle spalle di finestre e stucchi scintillanti si celano impianti fuori norma e pareti già franate. Si può cominciare da qui, dalle frane. Il calcio professionistico ha appena salutato tre club storici, piegati dai debiti e cancellati insieme alle speranze delle loro tifoserie. Il Bari, 110 anni di storia e tanta Serie A negli anni d'oro del clan Matarrese, ha collezionato 17 milioni di rosso e 46 decreti ingiuntivi: ripartirà dalla D dopo la discussa acquisizione da parte del patron napoletano Aurelio De Laurentiis. Il Cesena che lanciò Rizzitelli, Bigon e Giaccherini è stato pizzicato per bilanci falsi e deve a fornitori ed erario 73 milioni. L'Avellino, infine, era riuscito a sanare tutte le pendenze ma fuori tempo massimo: il verdetto del Tar che lo escludeva dalla Serie B è arrivato con i calciatori già a fine ritiro. Per non parlare di quanto visto sabato a Cosenza, con i padroni di casa che hanno perso 3-0 a tavolino contro il Verona perché il campo non era all'altezza. Cose che si vedono a malapena tra i dilettanti. Il sistema è talmente polarizzato che lascia a secco le periferie del pallone: B, C, calcio femminile, settori giovanili e squadre dilettantistiche infatti non riescono più ad assolvere la loro funzione di serbatoio di campioni. Da quest'anno, poi, andrà ancora peggio perché il decreto Dignità ha messo al bando le pubblicità di scommesse e azzardo: bene o male che ne pensiate, si trattava dell'unico settore che finanziava indistintamente club grandi e piccoli. All'appello mancheranno, secondo le stime degli addetti ai lavori, almeno 100 milioni. C'è poi il problema cronico dell'assenza di un sistema efficace di controlli e di sanzioni. E infine l'incapacità di varare le riforme necessarie perché le istituzioni appaiono sempre più litigiose e provvisorie. Da febbraio 2018 sia la Figc sia la Lega Calcio sono rette da due commissari, Roberto Fabbricini e Giovanni Malagò, e sono paralizzate dalle faide interne. Per la Federcalcio siamo a tre commissariamenti in 12 anni, con le sole parentesi di Giancarlo Abete e Carlo Tavecchio, non certo due alfieri del rinnovamento. Così si finisce per non decidere su nulla. Per esempio, piuttosto che avventurarsi in ripescaggi che avrebbero scontentato qualcuno, la Serie B orfana di Avellino, Bari e Cesena ha scelto di partire con 19 squadre anziché 22. Risultato: una valanga di ricorsi che potrebbe costringere Fabbricini & co. a tornare sui loro passi. Non va meglio in LegaPro, l'ex serie C, dove il 22 agosto il presidente Gabriele Gravina ha rinviato il torneo alla metà di settembre mettendo nero su bianco «l'assenza di certezze economico-finanziarie», «la precarietà della governance del calcio italiano» e «la necessità di riforme strutturali non più rimandabili». Un'annata storta, potrebbe dire qualcuno. In realtà i crac calcistici sono ormai una consuetudine. Negli ultimi 15 anni sono fallite quasi 150 società professionistiche, con un precedente illustre anche in Serie A. Nel bel mezzo del campionato 2014/2015 il Parma finisce in bancarotta dopo una serie di vorticosi passaggi di proprietà fra Italia, Cipro e Albania. Per due volte i calciatori, senza stipendio da mesi, scioperano. Il buco supera i 200 milioni, i creditori si portano via le coppe vinte nell'era Tanzi e persino le panchine degli spogliatoi. Il club viene accompagnato a fine stagione prima di staccare la spina. «Mai più», promette l'allora presidente federale Tavecchio. Invece, a tre anni di distanza, un'altra compagine simpatia della massima divisione, il Chievo, è sotto inchiesta per plusvalenze fittizie e rischia fino a 15 punti di penalizzazione. La sentenza arriverà a fine mese, falsando inevitabilmente il campionato già in corso. Nessun rischio e nessuna illegalità da parte di big come Milan, Inter e Roma, che tuttavia sono state già sanzionate dalla Uefa in passato per aver sforato rispetto al break even. Per fare mercato in questa sessione estiva soprattutto i nerazzurri hanno messo in mostra una contabilità alquanto creativa, accumulando milioni di plusvalenze grazie a valutazioni assai generose dei loro primavera e spostando la maggior parte degli esborsi sui bilanci successivi grazie all'escamotage del prestito con obbligo di riscatto. In pratica, si compra un giocatore adesso ma lo si paga fra uno o anche due anni. E come non ricordare il tourbillon societario che ha avvolto i rossoneri tra una conglomerata cinese, una holding lussemburghese e l'arrivo di un fondo speculativo come Elliott? Se in Serie A comunque ci si barcamena, ai piani bassi avere i conti in disordine significa rischiare di sparire per sempre. Solo nell'ultimo lustro sono rimaste senza calcio professionistico piazze come Modena, Vicenza, Siena, Como, Messina, Reggio Calabria. Qualcuno riparte dal basso, qualcuno fatica ancora a far quadrare i conti, mentre chi sopravvive lo fa ricorrendo spesso a soluzioni spericolate. Lo dimostra un altro evergreen, quello delle fideiussioni «audaci». Le garanzie fornite da una società terza sulla disponibilità economica delle squadre sono obbligatorie per iscriversi ai campionati. Già nel 2016 la Figc si ritrovò in imbarazzo quando molte squadre di B e C, ma anche una di A (la Sampdoria), invece di ricorrere ai tradizionali canali bancari, ottennero l'intercessione di alcune finanziarie sparse fra Liechtenstein, Bulgaria, le Bermuda e le Cayman, in seguito fallite o sospese dall'esercizio. Quest'anno la maggioranza delle società ha presentato fideiussioni bancarie regolari. Una quindicina di loro, però, si è affidata alla Finworld, società italianissima e iscritta all'apposito elenco di Banca d'Italia. O così recita il suo sito. Perché anche su questo intermediario è sorto un aspro contenzioso, giunto sino al Consiglio di Stato, che ne ha messo in dubbio i requisiti di permanenza in quell'elenco. In attesa di un chiarimento definitivo, le squadre hanno dovuto cercarsi un altro garante finanziario. Ma non tutte ci sono riuscite. E pensare che il totale delle fideiussioni per tutte le squadre ammontava a tre mesi scarsi dello stipendio di Cr7. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/non-ce-solo-cr7-il-nostro-calcio-e-marcio-2601372000.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="diritti-televisivi-una-vera-odissea-e-gli-utenti-adesso-sono-in-rivolta" data-post-id="2601372000" data-published-at="1758097275" data-use-pagination="False"> Diritti televisivi? Una vera Odissea E gli utenti adesso sono in rivolta Dopo settimane di proteste e a campionato iniziato, anche l'Antitrust si è accorta che qualcosa, nel calcio in tv, non è andato per il verso giusto. Il 28 agosto l'Autorità garante per la concorrenza ha aperto un'istruttoria contro Sky e Dazn per possibili danni ai consumatori e comunicazioni ingannevoli delle loro offerte sui pacchetti calcio. A ciò si aggiungono le lamentele da parte degli utenti per le tariffe applicate dall'emittente satellitare (invariate nonostante gli uomini di Rupert Murdoch abbiano perso i diritti su un terzo delle partite) e per i problemi tecnici dei nuovi arrivati, abilitati a trasmettere solo in streaming in un Paese dove la copertura di banda è un problema endemico. Una situazione indecente, che parte dalle decisioni della Lega calcio cui gli operatori si sono allineati, e che segna il punto di distanza massima fra un sistema votato all'autoconservazione e la platea dei tifosi-utenti che lo dovrebbe legittimare. Tutto inizia nella primavera del 2017, quando i presidenti di Serie A, come al solito in debito d'ossigeno, danno mandato alla Lega Calcio di vendere i diritti di trasmissione del campionato per il periodo 2018/2021 con una base d'asta monstre: 1,05 miliardi di euro contro i 943 del triennio precedente. Trovare i soldi spetta alla società Infront, dal 2006 advisor commerciale della Lega fra (pochi) alti, (molti) bassi e (troppe) inchieste giudiziarie. Finita l'era del discusso Marco Bogarelli, il controllo di Infront è passato ai cinesi di Dalian Wanda, avamposto dell'Opa di Pechino sul pallone europeo, e i presidenti sognano un grande player globale da affiancare al duopolio Sky/Mediaset Premium. Le aspettative, però, restano frustrate. La prima asta va deserta e la seconda parte a dicembre, subito dopo l'eliminazione degli azzurri dai Mondiali di Russia e dunque con l'appeal internazionale del nostro calcio ai minimi. Infatti si presentano solo Sky e Premium, con un assegno complessivo da 830 milioni, 220 in meno della richiesta. Di Facebook, YouTube e Amazon, che nel resto del mondo stanno investendo miliardi nello streaming sportivo, neppure l'ombra. Le società entrano in fibrillazione fin quando si fanno avanti gli spagnoli di MediaPro, che mettono sul piatto gli 1,05 miliardi più mille euro. Il loro piano di acquistare le immagini per poi rivendere i diritti a Sky e Mediaset incontra da subito ostacoli giuridici ed economici, ma soprattutto si schianta contro la tregua siglata tra le due emittenti, che non entrano più in competizione fra loro. A giugno gli spagnoli si ritirano e, con il via dei campionati ormai imminente, la Lega è costretta a varare in fretta un terzo bando. La base d'asta è ancora più alta (1,1 miliardi) ma i diritti stavolta sono venduti per prodotto. Cioè ciascun operatore, indipendentemente dalla piattaforma distributiva, avrà i diritti su un certo numero di partite di cartello. Si chiude a 973 milioni: 780 arrivano da Sky che si aggiudica la trasmissione di 7 partite su 10 in pay tv, 193 da Dazn, che trasmetterà via web gli altri tre match più la Serie B. I presidenti passano all'incasso, ma per i telespettatori è l'inizio di un caos senza precedenti.
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