2023-01-03
Ora pure il capo dell’Aifa fa politica e dà il colpo di grazia alla scienza
Nicola Magrini (Imagoeconomica)
Nicola Magrini, direttore dell’Agenzia del farmaco a fine mandato, getta la maschera e attacca il governo a caccia di un posto. Spieghi invece i ritardi sulle cure, il no ai monoclonali, la scarsa vigilanza e il flop del siero italiano.Pensavamo fosse scienza e invece era politica. Ecco la nuova puntata: scende in campo Nicola Magrini, direttore generale dell’Aifa, l’agenzia italiana per il farmaco, cioè la massima autorità in campo di medicina e medicine, l’istituzione che presiede la nostra salute. E sapete che fa Magrini? Ovvio: fa polemica politica. Cioè fa polemica con il governo. Vi stupisce? Macché. Ormai gli esperti, o sedicenti tali, ci hanno abituati: dicono che agiscono in nome della scienza, ma in realtà quest’ultima è solo uno schermo per coprire le loro vere motivazioni. Pier Luigi Lo Palco diventa assessore, Andrea Crisanti diventa senatore, Fabrizio Pregliasco si candida alla Regione. E Nicola Magrini, con apposita intervista a Repubblica intitolata “Sui vaccini il governo tace”, si candida all’opposizione. Sfruttando, per altro, il suo ruolo istituzionale per attaccare le istituzioni. Non è forse meraviglioso? Per carità: Nicola Magrini è libero di dire quello vuole. Può accusare il governo di «tacere sui vaccini». Di «vivere di rendita». Di avere preoccupanti «esitazioni». Può cercare di convincere tutti che la quarta, la quinta, la sesta dose (la sua proposta: non contarle più) sono indispensabili. Può dire che acquistare il doppio dei vaccini necessari non è uno spreco. Può dire tutto quello che vuole. Quello che non può fare è usare lo schermo della scienza per mascherare le sue fin troppo smaccate intenzioni politiche. Lui, uomo di Roberto Speranza contro Giorgia Meloni; lui, scelto dalla sinistra a testa bassa contro il governo di destra. E il tutto con motivazioni che stanno alla scienza più o meno come Totti e Ilary stanno all’amore eterno. In effetti: attacca perché il suo mandato è finito. E allora vuole mettersi una medaglietta al petto. Strizzare l’occhio ai compagni. Magari cercare una poltrona o una candidatura futura, chi lo sa. Così ancora una volta la scienza (ah! La scienza! La scienza!), la tanto celebrata scienza viene sputtanata proprio da coloro che fan finta di riverirla. Esattamente come era successo con la nomina di Lo Palco, con l’elezione di Crisanti e con la candidatura di Pregliasco. In effetti: come si fa a credere a chi dice di parlare sulla base di dati oggettivi e ricerca disinteressata, se poi l’unico dato oggettivo è quello della loro passione politica (guarda caso sempre dalla stessa parte) e l’unica ricerca, per altro non proprio interessata, è quella della futura poltrona? Siamo sicuri che anche Magrini ce la farà. Gli auguriamo di avere pure lui il suo posto al sole, dopo febbraio, quando con la riforma dell’Aifa la cadrega di direttore generale sparirà. Ma finché è presidente dell’Aifa dovrebbe parlare da tecnico. Non da militante degli Speranza Boys.Come si fa a non capire? Buttarla in politica, proprio in scadenza di mandato, è un brutto segnale. Non per Magrini, che, anzi, come dicevamo potrebbe trarne molti vantaggi. Ma per la scienza. E per l’istituzione. Che non dovrebbe essere sporcata da chi usa la salute degli italiani per lanciare messaggi ai partiti. Se il direttore generale, per altro, avesse voluto davvero fare del bene al Paese avrebbe avuto tante cose più interessanti dei veleni politici da mettere in quell’intervista. Per esempio avrebbe potuto chiarire perché nell’ottobre 2020, l’Aifa da lui diretta disse no all’offerta di 10mila dosi di monoclonali gratis da parte di Eli Lilly. Come mai abbiamo rifiutato i farmaci che in quel momento venivano utilizzati per salvare il presidente degli Stati Uniti d’America anche se erano gratis, finendo poi per acquistarli per 400 milioni di euro mesi più tardi? Quante vite avremmo potuto salvare se avessimo accettato l’offerta subito? E quanti soldi avremmo potuto risparmiare? Se Magrini avesse voluto, avrebbe anche potuto dire nell’intervista per quale motivo nel gennaio 2021 si presentò in pompa magna alla presentazione del vaccino italiano Reithera, che era solo alla prima sperimentazione. Perché mise la sua faccia su quei risultati provvisori, e purtroppo non confermati nelle successive fasi di ricerca. Perché lui, autorità di controllo e di solito così prudente, si era sbilanciato tanto su quei vaccini italiani (destinati al fallimento), mentre invece aveva frenato su ogni tipo di cura alternativa. Perché respinse per mesi le richieste di autorevoli ricercatori del San Raffaele che, forti di studi pubblicati su Nature, chiedevano di utilizzare contro il virus il farmaco Anakinra. E perché in tutto questo periodo l’Aifa è stata così timida nell’andare a caccia di effetti avversi ai vaccini, e così lenta nel pubblicare i dati. Se avesse voluto, il direttore generale dell’Aifa avrebbe potuto chiarire tutto ciò e altro ancora. Invece, niente. Ha preferito non rispondere a queste domande (anche perché il collega di Repubblica si è ben guardato dal porle). Ed ha scelto di andare giù pesante contro il governo, colpevole a) di essersi insediato a ottobre proprio «all’inizio della stagione delle infezioni respiratorie» e b) di non aver continuato la celebre linea “vaccino&cappuccino” dell’ex ministro Speranza. A questo proposito Magrini ha dimostrato, al contrario, di essere in perfetta continuità con il precedente esecutivo, da cui ha avuto la prestigiosa nomina: ha ripetuto infatti, nell’intervista a Repubblica, la solita favoletta farlocca che ci hanno propinato per mesi e mesi. E cioè ha detto che chi non è fragile farebbe comunque bene a vaccinarsi «per non portare il virus in famiglia, qualora ci fossero dei fragili». Proprio così: «per non portare». Come se fosse vero che il vaccino ferma il contagio. Invece non è vero. Purtroppo. Quella del vaccino che ferma il contagio era una scemenza un anno e mezzo fa quando la diceva Mario Draghi. Resta una scemenza ora che la dice Nicola Magrini. Con l’aggravante che il primo la diceva da politico e non da scienziato. E il secondo pure.
Francesca Albanese (Ansa)