2024-08-08
«Nella musica liquida gli artisti affogano»
Il trombonista jazz Mauro Ottolini e la cantante sperimentale Vanessa Tagliabue Yorke (Roberto Cifarelli)
Il trombonista jazz Mauro Ottolini: «Le piattaforme di streaming uccidono i sogni di chi suona. Per guadagnare servono numeri enormi e la qualità ci rimette le penne. L’obiettivo oggi è sfornare playlist infinite che frantumano gli album e creano solo un sottofondo per l’aperitivo».Nel piccolo grande mondo del jazz italiano tutti lo chiamano «Otto», ma di vite musicali, passate e presenti, ne ha collezionate molte di più. Trombonista classico, improvvisatore, compositore, arrangiatore conteso dalle stelle del pop, turnista, inventore di un festival in un borgo abbandonato dagli uomini a Brenzone sul Garda (Verona) - oggi il battesimo della trentesima edizione - bandleader, direttore e suonatore di conchiglie (questa vale doppio). In occasione del suo ultimo disco, Nada Màs Fuerte, dedicato alle più grandi compositrici e interpreti dell’America Latina, Mauro Ottolini si è trasformato anche nel condottiero di una rivolta originale e creativa contro i colossi dello streaming che, a suo dire, spremono gli artisti come limoni in cambio di qualche monetina d’euro (color rame) e poi shakerano il tutto per servire al pubblico una lista infinita di cocktail musicali, noti con il nome di «playlist». Il factotum veronese, classe 1972, è anche l’ospite dell’ultima puntata del nuovo podcast della Verità, Non sparate sul pianista. Per cui chi volesse ascoltare la voce, il trombone e i singolari strumenti marini dell’unico concertista al mondo a cui è stato dedicato un nuovo esemplare di conchiglia (Turritella Ottolinii) non deve far altro che inquadrare il Qr code presente in questa pagina. La curiosità verrà ripagata dalla presenza straordinaria della cantante Vanessa Tagliabue Yorke. Ottolini, perché ce l’ha con Spotify, Amazon, Apple music e compagnia cantante, anzi… distribuente?«Innanzitutto, alla musica liquida, che ha mandato in pensione i vecchi supporti (vinili e compact disc), ho sempre preferito il vino...» (ride). «E poi io contesto il sistema, non le singole società».Mi spieghi perché.«Le piattaforme di streaming hanno distrutto il mercato discografico e hanno ucciso i sogni degli artisti che spendono la propria vita per la musica. Oggi è inutile investire soldi ed energie per realizzare un’incisione di qualità, andando a registrare nei migliori studi, se poi le multinazionali che ha citato lei comprimono i suoni e appiattiscono tutto. Per risparmiare spazio e denaro la qualità viene massacrata. Senza parlare del trattamento economico riservato agli autori e agli interpreti…».Qualche numero?«Semplificando, sotto il milione di ascolti non c’è un ritorno considerevole. Guarda caso piacere a tutti diventa un obbligo per troppi».Per ora il ragionamento non fa una piega.«E non è finita, il degrado in corso è profondo e passa dal fatto che all’ascoltatore viene negata la possibilità di scoprire (e presto si rassegnerà all’idea) chi è il trombettista in un certo brano, chi è l’arrangiatore in un altro e soprattutto qual è il concept di un album. Non sono dettagli inutili, come gli appassionati e gli addetti ai lavori sanno, tant’è che i vecchi dischi fornivano tutte queste informazioni. Oggi purtroppo il modello è la playlist, che spazza via l’unitarietà dell’opera: la musica è stata ridotta allo stato liquido, scorre senza sosta (“streaming” vuol dire proprio questo), ma è solo un sottofondo per l’aperitivo». Mi tocca fare l’avvocato del diavolo: se però cerco il suo ultimo disco su Spotify alla fine lo trovo. E devo confessarle che anche il podcast Non sparate sul pianista, nel quale lei ha suonato con grande generosità, viene compresso dalle piattaforme che lo rendono accessibile a tutti. «Non è un caso se parlo di “sistema”. Nada Màs Fuerte è anche su quei canali perché la casa discografica Azzurra Music - che ringrazio perché ha sempre sostenuto i miei progetti - non può farne a meno, come tutte le altre. Credo che un podcast debba incuriosire le persone, aprire delle finestre... per cui va bene così. Io comunque ho escogitato una contromossa, che non sarà risolutiva, ma magari smuoverà le acque».Cioè?«Ho creato un’audiomaglietta. Ha presente il tiramisù scomposto che va di moda oggi? Io ho preparato l’album scomposto: la vecchia copertina del vinile l’ho trasformata in una t-shirt, sulla quale è stato stampato un Qr code che rimanda a un sito, dove si possono trovare tutti i materiali: foto, booklet, crediti, ma soprattutto tracce ad altissima qualità».In bocca al lupo per la sua ingegnosa battaglia. Adesso però mi deve spiegare perché ha creato un festival in un borgo medievale disabitato. Anche perché la rassegna Notti magiche a Campo inizia questa sera.«Trent’anni fa io e un gruppo di amici ci siamo innamorati di un luogo meraviglioso. Campo di Brenzone sul Garda, in provincia di Verona, è una cittadella che quest’anno spegnerà 1.000 candeline e che domina il lago dall’alto. Sembra di tornare indietro nel tempo. Oggi ci vivono solo un paio di persone, al riparo dai telefonini e dalla televisione. Pensi che l’ultimo tratto della mulattiera è inaccessibile alle automobili».Quindi il pubblico arriva a piedi?«Certo, con le scarpe giuste e le torce per tornare a casa. È una passeggiata panoramica e le assicuro che ne vale la pena perché i concerti si svolgono in un anfiteatro naturale. Le persone trovano posto in un bellissimo prato sotto le stelle, in mezzo agli ulivi secolari. Da qui sono passati cantautori come Gino Paoli, Fabio Concato, Eugenio Finardi, Francesco Baccini...».E quest’anno?«Rondò Veneziano, una vecchia passione dei turisti stranieri che frequentano il Garda, aprirà le danze stasera. Domani Filippo Graziani ricorderà con la musica suo papà Ivan. Sabato arriverà Irene Grandi, che non ha bisogno di presentazioni. Domenica 11 invece toccherà a me chiudere con Vanessa (Tagliabue Yorke, ndr) e un gruppo fantastico (quartetto d’archi e combo jazz), proprio con il progetto Nada Màs Fuerte. Abbiamo provato a catturare la vera voce dell’America Latina con alcune canzoni che toccano direttamente il cuore».A proposito di anfiteatri millenari, la sua avventura nella musica è iniziata sull’altro lato della Luna, tra opera e musica classica, nella prestigiosa orchestra dell’Arena di Verona.«È stato un onore. Ricordo ancora l’Otello di Giuseppe Verdi con un Placido Domingo da brividi o L’uccello di fuoco di Igor Stravinskij diretto da Aldo Ceccato. Ma da lì potevano passare anche Ornette Coleman e Giorgio Gaslini per alcuni eventi speciali. In 12 anni ho suonato praticamente tutte le opere centinaia di volte e mi sono entrate dentro. Nella musica di Giacomo Puccini, ad esempio, ho sempre sentito l’eco del jazz».Se non mi fa un esempio non vale. «A livello armonico era in anticipo sui tempi. Molti accordi che i jazzisti usano ancora oggi si possono trovare nei suoi recitativi. Non a caso i miei colleghi lo adorano. Come ho raccontato nel podcast, in un live del sassofonista Benny Golson si sente un’esplicita citazione della Tosca mentre improvvisa su I remember Clifford. Brano che scrisse davanti alla tragica e prematura morte del trombettista Clifford Brown». La leggenda narra che il tarlo del jazz la portò a escogitare fughe spericolate dall’orchestra, fornendo scuse degne del miglior John Belushi. «Per andare a suonare nei grandi festival (rigorosamente sotto nomi finti come Aziz Barouk, perché avevo un contratto di esclusiva) a volte ero costretto a darmi malato. Poi arrivarono i social e finì la festa. Un giorno mi convocarono in direzione: “Scusi, ma lei non aveva mal di pancia l’altra sera?”. E mi mostrarono un video di un mio concerto a Formia caricato in Rete» (ride). «Arrivai a un millimetro dal licenziamento. Quando mi negarono il permesso artistico per andare in tour con Bob Mintzer (sassofonista pluripremiato e membro degli Yellojackets, ndr) capii che non potevo andare avanti così e presentai le dimissioni». Oggi sono le star del pop a volerla in studio con loro nel ruolo di orchestratore.«Se parliamo di pop, uno dei più bei ricordi è un disco live di Patty Pravo, registrato proprio a Verona, dove ho diretto l’orchestra (spesso ci si dimentica che nel suo repertorio ci sono dei capolavori di Jacques Brel). Poi ho lavorato con grande soddisfazione con Riccardo Fogli, Negramaro, Marco Mengoni, Malika Ayane, Brunori Sas, Van De Sfroos. Oltre a Vinicio Capossela, artista dalla cultura sconfinata».Lasciamo a chi ha voglia di approfondire, ascoltando il podcast, i suoi racconti sul trombettista d’inizio Novecento Bix Beiderbecke e sul suo album visionario (Bix Factor), che fece entusiasmare due appassionati come Pupi Avati e Paolo Conte. Visto che siamo partiti con la polemica contro la musica liquida non ci resta che chiudere con le conchiglie. Come le è venuta l’idea di suonarle?«Non ho inventato nulla, sono il primo strumento a fiato della storia dell’umanità. Basti pensare alle statue della Fontana di Trevi. La mia fortuna è stata quella di studiare con il trombonista statunitense Steve Turre, che le utilizzava durante la sua collaborazione con Dizzy Gillespie. Ci lavoro ormai da oltre 30 anni e continuano a stupirmi. E ora, grazie al museo malacologico di Cupra Marittima (Ascoli Piceno), nel manuale delle specie marine mondiali c’è anche la Turritella Ottolinii. Sa qual è il colmo? Sembra una trombetta, ma non suona...».
Thierry Sabine (primo da sinistra) e la Yamaha Ténéré alla Dakar 1985. La sua moto sarà tra quelle esposte a Eicma 2025 (Getty Images)
La Dakar sbarca a Milano. L’edizione numero 82 dell’esposizione internazionale delle due ruote, in programma dal 6 al 9 novembre a Fiera Milano Rho, ospiterà la mostra «Desert Queens», un percorso espositivo interamente dedicato alle moto e alle persone che hanno scritto la storia della leggendaria competizione rallystica.
La mostra «Desert Queens» sarà un tributo agli oltre quarant’anni di storia della Dakar, che gli organizzatori racconteranno attraverso l’esposizione di più di trenta moto, ma anche con memorabilia, foto e video. Ospitato nell’area esterna MotoLive di Eicma, il progetto non si limiterà all’esposizione dei veicoli più iconici, ma offrirà al pubblico anche esperienze interattive, come l’incontro diretto con i piloti e gli approfondimenti divulgativi su navigazione, sicurezza e l’evoluzione dell’equipaggiamento tecnico.
«Dopo il successo della mostra celebrativa organizzata l’anno scorso per il 110° anniversario del nostro evento espositivo – ha dichiarato Paolo Magri, ad di Eicma – abbiamo deciso di rendere ricorrente la realizzazione di un contenuto tematico attrattivo. E questo fa parte di una prospettiva strategica che configura il pieno passaggio di Eicma da fiera a evento espositivo ricco anche di iniziative speciali e contenuti extra. La scelta è caduta in modo naturale sulla Dakar, una gara unica al mondo che fa battere ancora forte il cuore degli appassionati. Grazie alla preziosa collaborazione con Aso (Amaury Sport Organisation organizzatore della Dakar e partner ufficiale dell’iniziativa, ndr.) la mostra «Desert Queens» assume un valore ancora più importante e sono certo che sarà una proposta molto apprezzata dal nostro pubblico, oltre a costituire un’ulteriore occasione di visibilità e comunicazione per l’industria motociclistica».
«Eicma - spiega David Castera, direttore della Dakar - non è solo una fiera ma anche un palcoscenico leggendario, un moderno campo base dove si riuniscono coloro che vivono il motociclismo come un'avventura. Qui, la storia della Dakar prende davvero vita: dalle prime tracce lasciate sulla sabbia dai pionieri agli incredibili risultati di oggi. È una vetrina di passioni, un luogo dove questa storia risuona, ma anche un punto d'incontro dove è possibile dialogare con una comunità di appassionati che vivono la Dakar come un viaggio epico. È con questo spirito che abbiamo scelto di sostenere il progetto «Desert Queens» e di contribuire pienamente alla narrazione della mostra. Partecipiamo condividendo immagini, ricordi ricchi di emozioni e persino oggetti iconici, tra cui la moto di Thierry Sabine, l'uomo che ha osato lanciare la Parigi-Dakar non solo come una gara, ma come un'avventura umana alla scala del deserto».
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