2020-12-16
Natale spacca il Cts, il fisco beffa i ristoranti
Roberto Gualtieri ed Ernesto Maria Ruffini (Ansa)
Il comitato si divide e presenta un parere non firmato. Chieste restrizioni ma senza divieti specifici. Oggi vertice con le Regioni.Il Mef aveva dato parere positivo al taglio dell'imposta sul cibo a domicilio. L'Agenzia delle entrate però ha deciso di ignorare Roberto Gualtieri. Il paradosso: in Italia la burocrazia prende a schiaffi i ministri.Lo speciale contiene due articoli.È una spaccatura in piena regola quella che si è consumata ieri in seno al comitato tecnico scientifico. Nel corso di una riunione lunga e accesa, si sono confrontate due anime divergenti. Da una parte chi (come il commissario straordinario Domenico Arcuri) auspicava di proporre delle restrizioni specifiche; dall'altra chi (come Franco Locatelli dell'Istituto superiore di sanità) invocava una serie di raccomandazioni più generiche. Alla fine il comitato ha invitato a «inasprire le misure e aumentare i controlli secondo le indicazioni contenute nel Dpcm del 3 dicembre, modulandole come si ritiene opportuno». Tutto ciò aggiungendo che il ricorso alla sola zona gialla sarebbe fondamentalmente insufficiente. Ma il documento non è stato firmato, proprio a testimonianza della frattura.Questa impostazione non è comunque riuscita a sanare del tutto la frattura, visto che i tre direttori generali del ministero della Sanità, Achille Iachino, Andrea Urbani e Giovanni Rezza, si sarebbero rifiutati di firmare il verbale finale, ritenendo fosse invece necessario inserire nel documento delle misure particolareggiate. Il coordinatore del comitato, Agostino Miozzo, ha cercato di gettare acqua sul fuoco, dichiarando: «È stata una riunione difficile e intensa in cui si sono espressi tutti i componenti del comitato, come sempre accade nei nostri incontri. Alla fine abbiamo raggiunto un punto d'incontro e condiviso all'unanimità la necessità di inasprire le misure di contenimento del contagio».Nonostante le rassicurazioni, lo scontro nel Cts rischia di complicare la situazione all'interno dell'esecutivo giallorosso, perché evidenzia come sulla linea da seguire si registrino alcune differenze di veduta tra gli stessi tecnici. Un elemento problematico per il governo che è solitamente abituato a scaricare la responsabilità delle sue scelte in materie di salute proprio sull'autorità degli esperti. In questo caso, l'assenza di misure specifiche nel documento del comitato rischia di tramutarsi in un nodo politico per Giuseppe Conte, che si ritrova maggiormente esposto sia sul piano dell'opinione pubblica sia su quello politico.E proprio su quest'ultimo fronte il premier (che ha preannunciato ieri un «ritocchino» sulle misure natalizie) rischia di più. Eh sì, perché le fibrillazioni in seno alla maggioranza potrebbero adesso esplodere fragorosamente. Fibrillazioni che già prima dell'ultima riunione del Cts avevano avuto modo di palesarsi. Il dibattito interno all'esecutivo si sta infatti sempre più articolando tra due ipotesi. Una proposta è istituire una zona rossa a livello nazionale nei giorni festivi e prefestivi (con ristoranti e negozi chiusi); lo scenario alternativo sembrerebbe invece essere quello di una zona arancione generalizzata, con negozi aperti, ristoranti chiusi e coprifuoco serale. Tutto questo, senza dimenticare la spinosissima questione degli spostamenti tra piccoli Comuni.Da una parte, Italia viva e i settori filo renziani del Pd propendono per una linea più morbida: in tal senso, il capogruppo dem al Senato, Andrea Marcucci, ha presentato una mozione proprio per consentire la mobilità fra paesini. Dall'altra parte, si staglia l'ala rigorista, che trova i propri principali punti di riferimento nel ministro della Sanità, Roberto Speranza, e nel suo collega agli Affari regionali, Francesco Boccia. Un Boccia che proprio ieri ha dichiarato: «Anche durante le festività natalizie vogliamo mettere in sicurezza gli ospedali e l'intero sistema perché ci aspettano tre mesi invernali difficilissimi e ha anche annunciato che oggi il governo discuterà delle misure restrittive nella riunione con le Regioni, Speranza e Arcuri. Per il rigore anche il direttore della prevenzione del ministero della Sanità, Giovanni Rezza, che ha dettoo: «Se non si prende alcun provvedimento alla fine saremo costretti a fare il lockdown generale, che è quello che si vuole evitare». Lo stesso Rezza ha poi aggiunto che è «troppo presto» per dire se le scuole possano completamente riaprire dopo le festività natalizie.Ecco, è in mezzo a questi contrasti interni che Conte è costretto a muoversi. Una situazione non certo rosea per il premier che si sta trovando a «combattere» contemporaneamente su più fronti (a partire da quello - delicatissimo - della verifica di maggioranza). È quindi in ragione di questo caos intestino che probabilmente a Palazzo Chigi si sperava in indicazioni più specifiche dal Cts: indicazioni che avrebbero potuto servire come alibi per cercare di placare gli alleati riottosi. Purtroppo per il premier le cose non sono andate esattamente così. Tutto questo, senza poi trascurare come la spaccatura nel comitato metta in evidenza anche un ulteriore elemento: non è vero che il rigorismo duro e puro sia sposato dalla totalità dei tecnici. Un fattore di notevole interesse, visti gli elevati costi psicologici, economici e perfino religiosi che una linea troppo rigida potrebbe comportare. Nel frattempo, ieri sono stati registrati 14.844 nuovi casi con 846 decessi. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/nel-cts-un-fronte-anti-stretta-di-natale-il-governo-in-panne-deve-decidere-da-solo-2649510989.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="no-all-iva-agevolata-sull-asporto-il-fisco-infierisce-su-bar-e-ristoranti" data-post-id="2649510989" data-published-at="1608064678" data-use-pagination="False"> «No all'Iva agevolata sull'asporto». Il fisco infierisce su bar e ristoranti In nove mesi di Covid il comparto della ristorazione e degli alberghi ha perso a spanne 50 miliardi di euro. Le città d'arte e i luoghi turistici soffrono per antonomasia. I continui cambi di prospettive e di idee da parte del governo non aiutano in alcun modo i piccoli imprenditori della ristorazione. Aprire per pochi giorni può essere economicamente peggio rispetto al rimanere chiusi. Molti bar e ristoranti mossi dalla dignità del lavoro hanno cercato in tutti i modi di riconvertirsi alla sola attività consentita nelle zone rosse: l'asporto. Cambiare non è semplice. Un conto è cucinare e servire ai tavoli. Un altro è spedire cibo nelle case dei clienti. Le marginalità sono molto diverse. Oltre al fatto che nel secondo caso si tende a preferire un certo tipo di cibi. Magari quelli più semplici e facili da trasportare. Anche per questo motivo, oltre alle pesanti penalizzazioni contenute nei numerosi dpcm, la Lega si è rivolta al Mef per chiedere un intervento di sostegno per chi decide di convertirsi al take away. Garantendo l'Iva agevolata al 10% sull'asporto, così come è consentita sugli scontrini dei pasti consumati al ristorante. Il regime dell'imposta infatti cambia notevolmente. Nel 2016 l'Agenzia delle entrate ha deciso che la somministrazione di cibi e bevande sia da distinguere dalla cessione. Sembra un dettaglio, ma per chi lavora e deve tenere la contabilità la sostanza cambia. Nel secondo caso c'è il lavoro manuale e la produzione, nel primo una sorta di prestazione di servizi con relativa Iva al 22%. I ristoratori si troverebbero a un bivio, dunque. O pagare l'Iva piena oppure mettersi a fare il computo preciso dei prodotti contenuti nei piatti. La mozzarella con l'Iva al 4%, la bistecca al 10 e la bibita al 22. E così via. Chiaramente impossibile per chi conosce la quotidianità di una azienda. Per cui l'intervento in Aula del sottosegretario Alessio Villorosa è sembrato una boccata d'ossigeno. Nell'esporre il parere del governo, il grillino (che dunque non parlava per sé) ha citato non solo le norme varate nel 1972, ma anche gli allegati della direttiva comunitaria del 2006 «che consente agli Stati membri di assoggettare ad aliquote ridotte i servizi di ristorazione e catering». Perfetto fino a lunedì sera, quando ha preso virtualmente la parola il direttore dell'Agenzia delle entrate, Ernesto Maria Ruffini, l'ideatore assieme a Matteo Renzi del «Fisco amico». Consegnando ai commercialisti una risposta a interpello che soffoca in partenza l'apertura fatta dal Mef. In sostanza l'Agenzia fa sapere che l'Iva agevolata si può applicare soltanto se i pasti sono consumati presso il ristorante. L'uso delle app come intermediazione, nonostante agevoli la minore permanenza nei locali ai fini della lotta al Covid, non cambia in alcun modo la situazione. Insomma, chi sta tentando l'ultima strada pur di continuare a lavorare e dare uno stipendio ai propri dipendenti si può rassegnare. La parola del direttore dell'Agenzia vale più di quella del Mef. Una dinamica che indurrebbe a emigrare o a chiudere i battenti. Non è infatti ammissibile che anche durante una pandemia la voce della politica continui a valere meno di quella della burocrazia. Ma la sberla del fisco assestata al Mef non è da sottovalutare. Come si può accettare che a distanza di sole tre settimane un rappresentante del governo che parla su delega venga così spudoratamente smentito? «L'ufficio legislativo del Mef», spiega alla Verità Enrico Zanetti, fondatore di Eutekne.info e già viceministro all'Economia, «solitamente si confronta con l'Agenzia. Immagino sia avvenuto in questo caso. Stupisce per cui la mancanza di coordinamento e l'uscita in netto contrasto. In un momento come questo la politica avrebbe potuto dare un maggiore indirizzo». Non solo. Forse una volta tanto avrebbe potuto imporre un punto di vista e una chiave di lettura a beneficio di una categoria che è palesemente la più colpita dalla crisi da Covid. C'è poi un tema di equilibri di potere tutti da valutare. Non è il primo schiaffo che prende il ministro Roberto Gualtieri. Basti pensare a cosa è successo meno di dieci giorni fa in sede di consiglio di amministrazione di Fs. Il presidente del gruppo, Gianluigi Castelli, ha votato contro le nomine avanzate dall'ad Gianfranco Battisti su input dell'azionista pubblico. Non era mai successo. Domani è previsto un nuovo cda. A questo punto il Mef potrebbe presentare una nuova lista perdendo la faccia. Oppure insistere con i nomi già scelti per Rfi e Trenitalia. Ma a dimettersi dovrebbe essere chi ha votato contro in precedenza. In altri tempi il ministro avrebbe convocato il cda e chiesto una serie di dimissioni. Ci sono delle prassi istituzionali che non si possono calpestare nemmeno se si spera in un rimpasto.