2022-06-22
Il mosaico di cellule che ci rende vivi spiega perché non temere l’ordine
Sulle pagine della Verità Tiziano Fratus ha spiegato l’inevitabilità dell’entropia. Un elogio del disordine che però non tiene conto del miracolo quotidiano: esseri viventi che crescono grazie all’armonico incastro interiore.Il poeta e naturalista Tiziano Fratus ha recentemente composto su queste pagine, con arguzia e con garbo, un elogio del disordine, che per certi versi richiama l’elogio degli uccelli inserito da un altro grande poeta nelle sue Operette morali. Dispiace mettere le mani su un testo così leggiadro e gravarlo di distinzioni pedanti, ma non c’è verso: come insegna il maestro Socrate, la pedanteria è componente essenziale della ricerca della saggezza. C’è disordine e disordine, e lo stesso vale per l’ordine. C’è l’allegro disordine dell’amica cui Fratus eleva il suo canto: quello di una serata che si svolge senza programmi, di un caos casalingo che riflette scelte personali. E c’è il disordine causato da una bomba che esplode in un edificio, lasciando cari ricordi e oggetti quotidiani esposti a una pubblicità indecente; da uno tsunami che trasforma una costa incantevole in un mucchio di rifiuti; da un serial killer che di bambini immersi nelle attività serene di una giornata scolastica fa carni sanguinolente e appena riconoscibili, nel marasma della loro ultima, tragica esperienza. C’è l’ordine impartito dai regolamenti militari, che oggi sempre più si vogliono estendere all’intera società, come già si era fatto in tempi di passo dell’oca e di adunate oceaniche, e c’è quello che cellule sono in grado di darsi aggregandosi in un organismo complesso, e supremamente ordinato, come un bambino. O come un albero, di cui Fratus tanto ha scritto, e con tanta perizia. Da anni sostengo che la semantica è terreno di lotta: che si combattono guerre feroci, se pur mai dichiarate e quasi mai avvertite, per appropriarsi delle parole, per decretarne il senso. Prendiamo la parola «libertà». Sono più libero quando ho meno vincoli: quando in ogni momento posso fare «quel che mi pare» (la libertà dell’indifferenza)? O lo sono invece quando ho l’effettiva capacità di fare più cose (per esempio parlare più lingue): cose (e lingue) che ho imparato sottoponendomi alla necessaria disciplina, ai necessari vincoli (la libertà della spontaneità)? Battaglie politiche di enormi dimensioni (e dalle conseguenze spesso devastanti) sono state condotte dall’uno e dall’altro corno di questo dilemma, e a intorbidire le acque c’era il fatto che tutti i contendenti usavano la stessa parola con sensi diversi, quindi invece di spiegarsi e capirsi vicendevolmente tendevano a gridare più forte dell’avversario. La situazione è la stessa con «ordine» e «disordine», e a fare la differenza è un’altra dicotomia evocata da Fratus: quella tra vita e morte. È l’ordine della morte che io, insieme con Fratus e con la sua amica Giusì, intendo respingere: un ordine statico, immobile, funereo, nel quale tutto è già successo ed è già stato detto, e non ci rimane che andare a dormire (eventualmente davanti alla televisione). È l’ordine della repubblica platonica, che secondo il suo autore doveva durare eternamente identica, perfino nel suo numero preciso (e perfetto) di abitanti. È, anche, l’ordine del dizionario, in cui i vari sensi di una parola sono allineati uno dietro l’altro come in un camposanto, con numeri o lettere a identificarli come le croci piantate nel terreno, e le parole da oggetto di contesa sono volte in semplice teatro di ambiguità. Io però (e anche Fratus, credo) approvo con entusiasmo l’ordine dinamico di organismi che si autostrutturano, che crescono dialogando con l’ambiente e incorporandolo, che sanno trasfigurare materiali inerti in strumenti funzionali, parti di un tutto che opera sinergicamente con sé stesso e con quanto ha intorno. Organismi non necessariamente fisici, perché sono organismi anche una comunità, una biblioteca, un liceo, un’azienda; e ciascuna di queste realtà si mantiene integra finché dura l’ordine interno dei suoi elementi, e decade e rovina quando l’ordine si deteriora, quando i pezzi vanno ognuno per conto suo. Nel costante dibattito, ricordato da Fratus, tra Giusì e sua madre si confrontavano queste due nozioni di ordine, e di disordine; il dibattito era creativo, come sempre sono i dibattiti (si cresce in modo più organico e ordinato confrontandosi con il diverso), ed è stato interrotto, non a caso, da una morte. Quanto all’aumento inarrestabile di entropia, destino (forse) dell’universo, prendiamone atto con l’allegria di Giusì: non vogliamo essere eterni (che noia!); vogliamo invece costruire, con pazienza, una nostra personale nicchia di cosmo, che dall’esterno potrà sembrare disordinata ma invece riflette il nostro particolare ordine, e prendercene cura finché non sarà il turno di qualcun altro, nel succedersi sempre sorprendente e affascinante delle fasi dell’universo. Comunque tali fasi vadano a finire.