Il 21 aprile 1925, Natale di Roma, venne pubblicato sul Popolo d’Italia, organo del Partito nazionale fascista, e su quasi tutta la stampa nazionale, il Manifesto degli intellettuali fascisti, redatto da Giovanni Gentile e firmato, fra gli altri, da Gabriele D’Annunzio, Salvatore Di Giacomo, Curzio Malaparte, Filippo Tommaso Marinetti, Luigi Pirandello, Ildebrando Pizzetti e Giuseppe Ungaretti. Insieme con un resoconto trionfale dei primi due anni e mezzo di regime, Gentile era riuscito a dire, degli italiani, soltanto questo: «Oggi in Italia gli animi sono schierati in due opposti campi; da una parte i fascisti, dall’altra i loro avversari, democratici di tutte le tinte e tendenze, due mondi che si escludono reciprocamente. Ma la grandissima maggioranza degli italiani rimane estranea e sente che la materia del contrasto, scelto dalle opposizioni, non ha una consistenza politica apprezzabile ed atta ad interessare l’anima popolare. Quanti sono estranei personalmente al contrasto, sanno bene che l’invocata libertà è una parola di significato elasticissimo se può essere in bocca a così diversi partiti».
Estranea, già. È passato un secolo e le cose non sono cambiate. Dopo due anni e mezzo di falsità promulgate dal governo nel nome di una presunta Scienza, di severe limitazioni delle libertà personali e civiche, di imposizioni forzose e ricattatorie di trattamenti sanitari inefficaci e dannosi, di propaganda senza scrupoli e senza ritegno a reti unificate e di censura di tutte le voci dissenzienti, gli italiani hanno votato compatti per il sistema: quello che ci ha dato la pandemia, che ci ha dato la guerra, che ci ha dato l’inflazione e sta per darci un inverno al freddo e la minaccia di attacchi nucleari.
Il pendolo ha oscillato da una cosiddetta sinistra a una vera e propria destra (dalla sinistra della destra alla destra della destra, come avevo spiegato in altra circostanza); ma ormai chi avesse occhi per vedere dovrebbe aver capito che queste oscillazioni fanno parte del gioco, che servono a dare l’illusione che il voto conti qualcosa, quando poi le scelte politiche qualificanti sono sempre le stesse e per nasconderlo si scatenano tempeste in un bicchiere d’acqua. Una volta di più, gli italiani hanno operato per pigrizia intellettuale e morale e per cura dei propri egoistici interessi: fa particolare ribrezzo vedere il Movimento cinque stelle di quel Conte che per mesi ha tormentato il Paese con i suoi decreti repressivi, strampalati e contraddittori e che ora può vantare l’unica attrattiva del reddito di cittadinanza, figurare come primo partito in Campania. (A scanso di equivoci, il mio cognome è campano; di lì veniva mio padre.)
Certo, i partiti che si sono schierati contro il sistema hanno fatto la loro parte, non cercando e non trovando un’intesa e riducendosi a lottare per le briciole; in proposito ho già detto più di una volta quel che penso. Ma, quali che siano le loro colpe, sempre di briciole si trattava; e di ciò non erano responsabili le migliaia di volontari che hanno entusiasticamente dato il loro contributo ai banchetti delle firme e nelle (necessariamente affrettate) campagne elettorali. Si aveva comunque a che fare con una grandissima maggioranza «estranea» ai suoi veri interessi. Con un Paese che ha comunque altro a cui pensare. Negli ultimi quattordici mesi ho avuto il piacere di parlare di questi e altri argomenti sulla Verità; ci ho trovato un foro accogliente per le critiche vigorose che ho espresso nei confronti dell’incipiente tirannia. L’avere convinzioni politiche molto diverse da quelle del giornale non ha minimamente disturbato i miei rapporti con le persone che ci lavorano e, spero, con i lettori.
Ora però ritengo sia il momento giusto per terminare la collaborazione. Le elezioni mi hanno fatto capire che, se c’è una strategia possibile per risvegliare gli italiani dal sonno della ragione, non può essere la conversazione quotidiana che si svolge sui mezzi di informazione. È un lavoro che va condotto molto più a fondo, avendo di mira soprattutto quei giovani che in questo momento storico mi sembrano più allo sbando. È il mio lavoro, quello che ho sempre fatto: lo studio e l’insegnamento, in tutte le forme che potranno prendere. Alle quali sento l’urgenza di tornare. Ringrazio tutti per la gentile attenzione e ospitalità e auguro a tutti le migliori fortune.
All’inizio del secondo libro della Repubblica platonica, il personaggio Socrate trova l’origine dello Stato nel bisogno che gli umani hanno gli uni degli altri: distribuendo fra loro vari compiti funzionali, possono contribuire nel modo più efficace alla propria sopravvivenza e al proprio benessere. È una prima formulazione del tema che sarà poi raccolto da Aristotele e lo porterà a caratterizzare l’essere umano come animale politico: un animale che, a somiglianza di elefanti e balene ma in contrasto con vipere e ragni, fiorisce al meglio in comunità, attraverso l’educazione e l’esempio offertigli dai suoi simili. Siamo nel quarto secolo avanti Cristo: nel tempo a venire, le legioni, le strade e gli acquedotti romani avrebbero conferito sostanza all’idea che una comune amministrazione della cosa pubblica provveda alla sicurezza e prosperità dei cittadini. «Cives romanus sum», dichiaravano con orgoglio galli e africani, ispanici e illiri; lo dichiarava anche Paolo di Tarso, iniziatore del movimento che tanto avrebbe fatto per ridurre l’impero in ginocchio.
Quando la splendida avventura del mondo antico entra nella sua estenuante, tetra decadenza, l’atteggiamento filosofico cambia radicalmente. Non ingannino le differenze e contrapposizioni fra le scuole: che si tratti di epicurei, stoici o scettici, il messaggio che ne arriva è il medesimo. Realizza la maggiore indipendenza possibile da ogni fattore esterno; liberati da quei bisogni che ti rendono schiavo delle circostanze e dei voleri altrui; mira a raggiungere un indisturbato equilibrio; abituati a vivere solo, se non fisicamente almeno emotivamente, scacciando affetti e desideri - ti vincolerebbero al prossimo, benevolo o malevolo che sia, e la loro frustrazione ti provocherebbe dolore. In un delicato passo del suo Enchiridion (Manuale), Epitteto (schiavo greco liberato e divenuto insegnante di filosofia a Roma, poi esiliato in Epiro quando nell’89 l’imperatore Domiziano bandì i filosofi dall’Italia) scrive: «Come in un viaggio per mare, se la nave ha ormeggiato e sei sbarcato per attingere acqua, cammin facendo potrà anche capitarti di raccogliere una conchiglietta, una piccola radice, ma la tua attenzione dev’esser sempre fissa alla nave, devi voltarti continuamente indietro, caso mai il timoniere ti chiamasse, e se ti chiama devi lasciar perdere tutto, se non vuoi esser caricato a bordo legato come una pecora: allo stesso modo anche nella vita, se ti sono dati non una conchiglia o una radice, ma moglie e figlio, nulla ti vieterà di avere la tua famigliola: ma se il timoniere ti chiama, lascia perdere tutto e corri alla nave senza neanche voltarti. E se sei vecchio non ti allontanare mai troppo dalla nave, in modo da non mancare, quando sarai chiamato». Lontano mille miglia da Epitteto ma in sorprendente accordo con lui, il Neil McCauley interpretato da Robert De Niro nel film Heat (1995) di Michael Mann ispira la sua esistenza al motto: «Non ammettere niente nella tua vita che tu non possa abbandonare in 30 secondi».
Da qualche decennio, anche l’avventura della modernità (non so quanto splendida) ha iniziato il suo declino, e il processo ha acquisito velocità negli ultimi anni. In attesa di capire che cosa riservi il futuro (non necessariamente agli umani), osservo che la fisionomia culturale del fenomeno è la stessa del ciclo precedente. Ora come allora, viene meno la vocazione politica e sociale e l’individuo (divenuto davvero tale: particella indivisibile e vagante nel vuoto, priva di quella struttura che solo la socialità potrebbe darle) deve imparare a conoscere e gestire la propria solitudine.
È meno facile che in passato, ed è più facile fare confusione. Già nel 1950 il sociologo americano David Riesman, in La folla solitaria, denunciava la finta socialità suburbana della vita americana, organizzata dall’esibizione di beni di consumo (l’automobile parcheggiata fuori, eventualmente la piscina sul retro) ma incapace di fornire vero sostegno reciproco: si è in tanti, e ci si fa pressione, ma non ci si aiuta. Due generazioni dopo, in un parossistico avvitamento, sono i social media a dar luogo a convivenza e vicinanza posticce. Ossessionati da migliaia di contatti, di visualizzazioni, di like e di «amici», i partecipanti a questa farsa si illudono di essere in una vasta e allegra compagnia, e la consapevolezza che si tratti di una menzogna affiora soltanto, a volte, come un inquietante, fastidioso malessere.
Non è una forma di vita che posso approvare. È forte in me il rimpianto per l’essere umano, cioè per l’animale politico, integrato in una comunità che gli consenta di sviluppare le proprie potenzialità, che è oggi un lontano ricordo. Ma la via per tornare all’oggetto del rimpianto non può che passare per il tormento della solitudine, come la via per il Rinascimento dovette passare per eremiti e monasteri. Un primo passo, semplice a dirsi ed estremamente difficile a farsi, sarebbe rendersi conto che davanti a uno schermo siamo soli: che quelli provenienti dalla rete sono messaggi affidati a una bottiglia e lanciati nell’oceano, mittente il nulla. Istruiti da tale dura disciplina a cercare innanzitutto l’autosufficienza, potremo forse fare timidi passi verso nuovi, autentici incontri.
Oggi parliamo di metafisica. Il popolo anti sistema, elettoralmente, vale almeno il 10-15%, e potrebbe valere di più se riuscisse a intaccare il vero partito di maggioranza italiano: quello di quanti, disgustati dalla politica istituzionale, hanno smesso di frequentare le urne. Sono numeri di tutto rispetto: con l’eccezione di Fratelli d’Italia e del Pd, tutti gli altri partiti non hanno di meglio da offrire. Ci si potrebbe aspettare, dunque, che questo popolo conquisti, alle elezioni prossime venture, una significativa rappresentanza parlamentare.
Così, però, non sarà. Il motivo l’ho già espresso in un precedente articolo: le primedonne che si sono auto nominati condottieri del movimento di protesta e di opposizione al sistema non hanno trovato un accordo per formare una lista comune e si presentano quindi in una mezza dozzina (o più) di partitini diversi e reciprocamente ostili. Ottenendo due brillanti risultati.
In primo luogo, è impossibile che tutti questi partitini superino la soglia di sbarramento del 3%, ed è anche possibile che nessuno la superi. (Al momento, i sondaggi danno come probabile la seconda ipotesi.) Andando così le cose, il popolo anti sistema avrà una minuscola rappresentanza in Parlamento, o non ne avrà alcuna. Le voci che si sono fatte sentire per due anni nelle piazze resteranno confinate, se va bene, nelle piazze.
In secondo luogo, il teatrino di accuse e sospetti reciproci, veti incrociati, personalismi esasperati e infantili ripicche montato da tali squallide figure non invoglierà gli astensionisti a tornare a votare (certo non invoglia me). Semmai, ne aumenterà le proporzioni: dopo la doccia fredda dei 5 stelle, passati dalla contestazione verso i poteri forti alla genuflessione davanti ai medesimi, questo nuovo brusco risveglio non potrà che consolidare e anzi accrescere lo scetticismo.
Sia chiaro: non mi riferisco alle decine di migliaia di persone che si sono affollate ai banchetti per provvedere gli sgangherati partitini delle firme necessarie, né dei molti volontari che quelle firme hanno raccolto. Presumo che, in grande maggioranza, costoro avrebbero firmato e lavorato con più convinzione ed entusiasmo per uno schieramento unito e concorde. Mi riferisco, come ho detto, alle primedonne, che stanno adoperandosi per dissipare convinzione ed entusiasmo e spianare la strada a una nuova, schiacciante vittoria delle forze mainstream. E qui entra in campo la metafisica.
Usando un termine di antica tradizione, potremmo dire che simili personaggi si stanno comportando da agenti provocatori. Nel senso in cui viene comunemente inteso, il termine designa individui infiltrati a bella posta in un movimento riformista o rivoluzionario e collusi con lo status quo, i quali operano per estremizzare le azioni del movimento, per metterlo in cattiva luce di fronte all’opinione pubblica e (quel che ci riguarda da vicino) per introdurvi i semi della divisione e del dissidio. È un senso che evoca naturalmente l’esistenza di un complotto, fra i provocatori e lo status quo, e di un compenso, in denaro o in favori di vario genere, che gli uni riceverebbero dall’altro una volta completato il loro sporco lavoro. Dietro, o sopra, o sotto la realtà che vediamo, dunque, declassata ad apparenza, ci sarebbe una realtà «più vera» nota a pochi: i soli in grado di sfatare l’illusione in cui vivono gli altri. L’ascendente nobile, qui, è Platone.
Io non credo nelle tesi platoniche e sono incline a non credere ai complotti, o quantomeno alla loro efficacia. Non dubito che ci sia chi, in un retrobottega o su un panfilo, escogita piani ambiziosi per primeggiare e arricchirsi a dismisura, ma credo che, in generale, i piani non funzionino. Credo che il male sia stupido, causato dalle solite indegne, stupide, cieche passioni: avidità, terrore, odio. E credo che impegnarsi per scoprire «i retroscena» sia una clamorosa perdita di tempo.
William of Ockham (1285-1347) fu un grande filosofo medievale, appartenente alla Scolastica e intensamente coinvolto nelle dispute teoriche e politiche del suo tempo. Ha avuto il destino, non comune fra gli amanti della saggezza, che il suo nome rimanesse legato a un’espressione proverbiale: al cosiddetto «rasoio di Ockham», che invita a tagliare, a eliminare, tutto ciò che non è strettamente necessario. Gli enti non vanno moltiplicati oltre quel che serve; le spiegazioni non devono essere inutilmente complicate. Nel nostro caso: la realtà non va ridotta ad apparenza, non va cercata un’altra realtà chissà dove, ci si limiti a quel che si vede.
Che cosa fa un provocatore? Induce delusione e scoramento fra i seguaci di un’idea, vi genera discordia e scissioni, ne infiacchisce il nerbo, ne immiserisce le prospettive. Lo fa perché è un venduto, perché è una spia, perché è un cavallo di Troia che nasconde guerrieri armati? Chissenefrega. Guardiamo a quel che vediamo: a quel che fa, non a quel che ci sarebbe dietro, o sotto, o sopra, e denunciamo il fatto che il popolo anti sistema è caduto nelle grinfie di agenti provocatori.





