2019-02-27
La Moldavia resta mezza russa. Anche se i suoi oligarchi puntano a Bruxelles
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I risultati delle elezioni parlamentari nel piccolo Paese ex sovietico di 3,5 milioni di abitanti - sito al confine tra la zona d'influenza russa e quella nordatlantica - hanno dimostrato che difficilmente troverà una propria stabilità ma soprattutto hanno confermato che la sua politica interna risente pesantemente della posizione geopolitica.Il partito socialista, filo russo sostenuto dal presidente della Repubblica Igor Dodon, ha ottenuto la maggioranza relativa conquistando 35 dei 101 seggi del parlamento e sconfiggendo il partito democratico attualmente al governo, ufficialmente pro europeista ma guidato dall'oligarca Vlad Plahotniuc, fermatosi a 30 seggi, e la coalizione anti-corruzione Acum, di simpatie apertamente occidentali sostenuta esternamente da Angela Merkel e Jean Claude Junker, assestatasi a 26 seggi.La fase pre-elettorale è stata lunga e segnata da un duro confronto istituzionale durante il quale il Parlamento ha più volte sospeso i poteri del presidente Dodon accusato di scorrettezza istituzionale per non aver voluto firmare alcune leggi apertamente anti russe ovvero la rinomina della festività del 9 maggio da Giorno della Vittoria in giornata dell'Europa. L'Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa ha monitorato le elezioni reputandole accettabili senza però mancare di sottolineare che esistono forti segnali di pressioni esercitate nei confronti dei pubblici dipendenti, di compravendita di voti e di irregolarità nei seggi. L'opposizione dell'Acum ha accusato già durante la giornata elettorale il partito socialista di trasportare irregolarmente con centinaia di autobus elettori dalla regione separatista della Transnistria, nella quale non si votava e in cui ancora oggi vi è una forte presenza militare russa, e denunciato Mosca d'ingerenza negli affari interni del Paese. In effetti, la Russia ha tentato di favorire il partito socialista aprendo nei giorni scorsi un'indagine giudiziaria nei confronti di Plahotniuc accusandolo d'essere a capo di un sistema criminale transnazionale. Per lo Stato più povero del continente, distrutto da una pesante crisi economica scatenatasi dal collasso del sistema bancario avvenuto nel 2014 durante il quale sono scomparsi quasi tutti gli istituti di credito nazionali, si apre una fase di instabilità istituzionale che potrebbe portare a nuove elezioni ma che molto più probabilmente, con grande dispiacere di Bruxelles e di Washington, poterà invece il partito democratico di Plahotniuc a coalizzarsi con quello socialista. L'oligarca ha tutti i motivi per dar vita ad una coabitazione istituzionale con i socialisti piuttosto che vedersi ulteriormente ridurre la propria influenza sul Paese. Eventuali nuove elezioni potrebbero tenersi a giugno solamente qualora il voto di domenica venisse ufficialmente riconosciuto come illegittimo. La Moldavia è da sempre una regione contesa tra la Romania e l'impero russo in tutte le sue forme storiche. Negli ultimi anni quasi un quarto della popolazione ha preferito emigrare, molte volte accettando il passaporto rumeno, mentre la Russia di Vladimir Putin ha approfittato della popolazione russa immigrata in epoca sovietica per creare un focolaio di instabilità ai confini esterni della propria zona d'influenza simile a quelli plasmati con le repubbliche secessioniste nella zona del Caucaso. In tale contesto è servito a poco fino ad oggi l'accordo di associazione sottoscritto nel 2014 dalla Moldavia con l'Unione europea. Esso non ha dato i risultati sperati, ovvero non ha fatto intraprendere al Paese una marcia spedita verso le istituzioni comuni, in quanto avvenuto proprio nel bel mezzo della crisi economica che è costata al Paese un ottavo del Pil nazionale e in concomitanza con il governo del partito democratico il quale ha utilizzato la visione pro-occidentale quale foglia di fico per coprire una scandalosa politica clientelare che ha impedito alla nazione di sviluppare i propri potenziali.Il risultato del voto conferma che l'Europa orientale fatica a liberarsi da sola delle varie strutture di potere che hanno negli anni Novanta approfittato della disintegrazione del blocco comunista per prendere il controllo delle locali economie e che l'attrazione esercitata dall'Unione europea durante il mandato della Commissione Junker è stata assolutamente inesistente tanto da acuire molte delle problematiche della regione.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)