2019-02-08
«Mio padre, il cocciuto che divise l’Italia»
Il figlio di Ferruccio Valcareggi, il ct della nazionale campione d'Europa e di quella epica che battè la Germania 4-3: «Babbo viene ricordato solo per la staffetta fra Mazzola e Rivera o il vaffa di Giorgio Chinaglia, sostituito contro Haiti. È ingiusto, lui valeva molto di più».Cent'anni di gloriosa solitudine. Non è bastato essere l'allenatore della nazionale che per la prima e per ora unica volta è diventata campione d'Europa; nessuno associa la squadra azzurra che giocò la partita del secolo, Italia-Germania 4-3 ai mondiali di Messico '70, al nome di Ferruccio Valcareggi. Che era il comandante. Il ct, come si diceva allora. Questa è la sua storia. La storia dell'uomo più sottovalutato d'Italia, nato a Trieste il 12 febbraio 1919, cent'anni fa, mentre finiva la Grande guerra e la città diventava italiana. Me la racconta Furio con l'orgoglio del figlio che, in quanto di famiglia, certo, è leggermente di parte per garantire che Ferruccio meritava molto di più dal calcio azzurro. Ma è proprio così e possiamo sfidare chiunque a sostenere il contrario. Poi Furio, che fa il procuratore dei calciatori (ieri, fra gli altri, di Giovanni Galli, oggi di Emanuele Giaccherini) e l'opinionista, è un tipo che non ha bisogno di nascondersi dietro le ipocrisie. Da fiorentino vero (la mamma Anna era una ragazza di Borgo Allegri, «dove Firenze è Firenze per davvero»), dice in faccia tutto. Proprio tutto. Tanto che Ferruccio lo ammoniva: «Tu, Furio, parli troppo». E lui replicava: «Babbo, e te troppo poco». Ma eccoci al punto, cioè alla ferita aperta. «Quando Antonio Matarrese diventò presidente della Federcalcio, a casa nostra arrivò una lettera ciclostilata, modello prestampato, dove c'era scritto: “Per raggiunti limiti di età, consideriamo chiuso il suo rapporto di collaborazione. La ringraziamo. Arrivederci". Nemmeno una telefonata. Non è questo il modo di liquidare un pezzo di storia del calcio». Lei ha un cognome pesante, che la rincorre da tutta la vita. Ha girato il mondo in lungo e in largo accanto a suo padre. Era negli spogliatoi a Città del Messico nel 1970 e a Roma nel 1968: è fra i pochi ad aver visto il capitano Facchetti uscire, saltando di gioia, dalla stanza dell'arbitro (allora funzionava così), dove si era svolto il sorteggio che aveva mandato l'Italia in finale. Mai provato disagio? «Per 50 anni ho fatto di mestiere il figlio di Ferruccio Valcareggi. Posso darvi un consiglio: non date retta a chi vi dice che se uno ha il babbo famoso, poi gli fa ombra. A me ha fatto luce. Mi ha un po' impigrito, ma è stato bello» Come racconterebbe suo padre alla generazione 2.0?«È stato uno degli ultimi allenatori che sudava in campo. Un grande giocatore di calcio, che non è andato in nazionale solo perché è nato negli anni di Ezio Loik e Valentino Mazzola».Torniamo alla lettera di liquidazione da parte della Federcalcio. Perché la considera un'ingiustizia?«Negli ultimi anni mio padre continuava a collaborare con la Federazione, seguiva un po' i giovani a Coverciano, era pur sempre il ct campione d'Europa e vicecampione del Mondo. Matarrese volle rivoluzionare il calcio, dette due miliardi a Sacchi e cominciò l'era degli allenatori con il megastipendio. Un altro mondo». Come spiega che anche l'ambiente del calcio e perfino l'iconografia trattino distrattamente suo padre? «Se lei guarda le foto del trionfo europeo del '68, non ce n'è una con Ferruccio. Mentre tutti stavano festeggiando, lui se ne stava da solo, in silenzio, negli spogliatoi, perché riteneva esaurito il suo compito. Il merito era dei giocatori. Punto. Le cronache di quei tempi non prevedevano il ruolo da protagonista per i tecnici: non come oggi, che si parla della Juve di Allegri, il Chelsea di Sarri, il Napoli di Ancelotti». Lei ha scritto un libro (con il giornalista Alberto Polverosi): sembra un modo per rimettere un po' di cose al loro posto ?«Ferruccio è l'uomo che ha tenuto per tre notti sveglia l'Italia, e magari oggi mi tocca leggere il suo nome che torna alla ribalta delle cronache solo per la staffetta fra Mazzola e Rivera o il vaffa di Giorgio Chinaglia, sostituito in Italia-Haiti. Credo ci sia qualcosa in più da conoscere». Dica la verità: Ferruccio si è poi pentito di aver concesso solo sei minuti a Rivera nella finale mondiale persa contro il Brasile? «Glielo giuro: mai. A quei tempi la Gazzetta era una potenza e Rivera una presenza ingombrante. La campagna di stampa fu martellante. Rivera non ha giocato perché a 2600 metri di quota il suo fisico, come quello di altri giocatori, era affaticato. Gli allenamenti avevano mostrato che Mazzola era il più pimpante: con lui siamo andati in finale. Semmai l'errore fatale fu un altro». Quale? «Aver fatto giocare Boninsegna. Ma andò così: Nereo Rocco, che era un idolo per Ferruccio, che aveva esordito proprio nella sua Triestina, cominciò a martellarlo perché portasse ai mondiali Lodetti. Poi, quando si fece male Anastasi, dovette sacrificare proprio lui e convocare Boninsegna. È stata questa la scelta tecnica che mio babbo ha sbagliato: fra Mazzola e Rivera c'era uno di troppo, così fra Riva e Boninsegna c'era un Boninsegna di troppo. La coppia ideale dei tempi era Riva-Anastasi, che aveva vinto l'europeo o, in alternativa ad Anastasi, semmai Bobo Gori che nel Cagliari aveva realizzato tanti gol». Oltre a Boninsegna, quali altri sbagli le confessò Ferruccio? «Fu tradito dal cuore ai mondiali del '74, quando volle portare in Germania la nazionale a cui era affezionato e che pure aveva battuto l'anno prima il Brasile e per la prima volta l'Inghilterra a Wembley: invece non si accorse che quei ragazzi, ormai, erano più post che giocatori. E dire che nelle due partite di finale con la Jugoslavia, che portarono al titolo europeo del '68, aveva avuto il coraggio di cambiare sei titolari».Poi ci fu la clamorosa contestazione di Chinaglia, che non gradì la sostituzione e lo mandò a quel paese in mondovisione.«Enfatizzata. Perché si trattò di una tempesta in un bicchier d'acqua. Ferruccio negli spogliatoi accettò le scuse e finì lì. Nonostante Allodi volesse rispedire a casa il giocatore, Ferruccio lo fermò. Disse: non regalo Chinaglia a nessuno. Era un cocciuto e difese le sue idee: era la persona più presuntuosa del mondo anche se non appariva così»Nel marasma schizofrenico dei moduli, del 4-3-3 piuttosto che del 4-3-2-1, quale è stato il calcio di Valcareggi? «È stato facilitato dal sistema italiano: non c'erano stranieri, prendeva la squadra prima in classifica e ci metteva dentro Riva, De Sisti, Cera. Ferruccio ha vinto con i blocchi. E poi c'era il famoso “libero", con il “mediano aggiunto" che sapeva difendere». Una specie di «catenaccio»? «Gli davano del “catenacciaro", ma Riva con lui ha realizzato 35 gol in 42 partite; Chinaglia, Rivera, Causio hanno fatto cento gol nella sua nazionale». Valcareggi diventa ct dopo la Corea, il disastro del '66 in Inghilterra. Passaggio di consegne naturale: era il vice di Edmondo Fabbri. Però gli affiancano Helenio Herrera...«Andavano d'accordo, ma le convocazioni le faceva il mio babbo. Helenio era lì perché la sua Inter in quel momento era padrona del mondo. Veniva a Firenze con auto bellissime e ogni volta che arrivava in città appendeva allo specchietto un distintivo della Fiorentina, perché aveva paura che qualche tifoso gli facesse dei danni. Ne aveva dozzine di distintivi, di tutte le squadre, che cambiava secondo le città dove arrivava». È vero che Ferruccio stravedeva per Gigi Meroni? «Ha sempre avuto un feeling con i calciatori estrosi: Zigoni, Bob Vieri, Domenghini. Mi raccontò che la prima volta che vide Meroni a Coverciano sgranò gli occhi: indossava una giacca con 50 bottoni, tipo Beatles, sembrava la tonaca di un prete. Era un uomo di inizio secolo, che certo non capiva i Beatles, però sapeva giudicare se un ragazzo meritava la sua stima».Quali sono i giocatori che Valcareggi ha amato di più? «Glielo elenco nell'ordine: Gigi Riva, De Sisti, Mario Bertini, Facchetti, Burgnich e Albertosi, che considerava un figlio-nipote, e poi Merlo, Anastasi». In che rapporti erano rimasti? «Quando Ferruccio è morto, Gigi Riva è venuto a Firenze di buon mattino e con un sorriso dolcissimo, davanti alla bara gli ha sussurrato: “Vecchio Uccio, alla fine ce l'hai fatta a farmi alzare presto" . Perché Riva la notte dormiva poco e la mattina andava un po' lungo. Ma quando giocava faceva sempre gol, così aveva il permesso dell'allenatore di alzarsi un paio d'ore più tardi degli altri». Dopo la nazionale Valcareggi tornò in serie A: Verona, Roma e Fiorentina, dove prese il posto del suo pupillo De Sisti. «Era la Fiorentina dei Pontello e, come succede a Firenze, quando perdeva gliene dicevano di tutti i colori: ho sentito tanti suoi amici fiorentini in tribuna, che gli davano dell'ubriacone.... Ma poi, quando mio babbo lasciò la panchina della Fiorentina, li ho ribeccati tutti, uno per uno, e non sono stati dei bei momenti per loro».Ferruccio Valcareggi è morto nel 2005. È sepolto nel cimitero di Settignano. Nel 2017 il comune di Firenze gli ha dedicato una strada, proprio accanto allo stadio intitolato al suo amico Artemio Franchi.
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Piergiorgio Odifreddi (Getty Images)