Ogni anno i colossi dei medicinali trasferiscono un mare di soldi a operatori e istituti sanitari. Una pioggia di contributi difficile da ricostruire e i cui motivi restano ignoti
Ogni anno i colossi dei medicinali trasferiscono un mare di soldi a operatori e istituti sanitari. Una pioggia di contributi difficile da ricostruire e i cui motivi restano ignotiMezzo miliardo di euro all’anno. L’equivalente dello stipendio annuo di 25.000 operai italiani o, se preferite, metà di quanto spende ogni anno lo Stato per mantenere in piedi la Camera dei deputati. È questo il valore stimato dei trasferimenti annuali dall’industria farmaceutica agli operatori e organizzazioni sanitarie. Vale a dire medici, professionisti del settore, enti pubblici, fondazioni e ospedali. Partiamo da una doverosa premessa: reperire questo tipo di informazioni risulta semplice soltanto sulla carta. Risale a cinque anni fa, a febbraio del 2016, l’impegno del comparto per la trasparenza, con l’adesione al «disclosure code» (letteralmente «codice per la divulgazione dei dati») della European federation of pharmaceutical industries and association (Efpia). Tecnicamente, i dati sono a disposizione di tutti sui siti Internet delle aziende farmaceutiche. La pubblicazione degli elenchi, tuttavia, non rappresenta quella svolta epocale che era stata spacciata al grande pubblico. Infatti, le informazioni contenute nei report non sono di facile consultazione, né tantomeno vengono adeguatamente pubblicizzate. Ricostruire in modo analitico questi flussi rappresenta un autentico rompicapo.Lo studio italiano più completo e autorevole in merito risale ormai al 2019, e reca la firma della Fondazione Gimbe. Scorrendo i rapporti predisposti dalle case farmaceutiche, gli studiosi ammettono di essersi ritrovati a maneggiare rendiconti dal «taglio squisitamente amministrativo» e «poco fruibili». Prima di tutto perché mal si prestano a «estrapolazioni e operazioni di sintesi», e in secondo luogo perché «non vengono rese note le causali delle erogazioni, ma ci si limita a suddividere i finanziamenti tra donazioni e contributi, sponsorizzazioni di eventi, spese di viaggio e ospitalità, spese per consulenza». dati a singhiozzoInfine, esiste il problema dei dati a singhiozzo. «Oltre a non essere spesso disponibile il totale complessivo erogato per le varie categorie», si legge nella ricerca elaborata da Gimbe, «solo in alcuni casi viene riportato il totale del trasferimento a singolo operatore o organizzazione sanitaria». La medesima criticità, quest’ultima, nella quale si è imbattuta la Verità quando si è trattato di determinare i trasferimenti da parte di quattro colossi del farmaco impegnati nella corsa al vaccino contro il Covid: Astrazeneca, Gsk, Pfizer e Sanofi. Spesso il formato dei file rende ardua, se non impossibile, l’estrazione delle cifre, e in più di un caso si è dovuto procedere a mano per ottenere le somme degli importi versati ai professionisti e alle strutture sanitarie, con considerevole dispendio di tempo. Eppure, il tema riveste un’importanza cruciale, a maggior ragione in tempi di emergenza sanitaria. «Considerato che il guadagno economico è parte integrante di qualsiasi attività professionale, gli interessi secondari non sono illegittimi in quanto tali», concludono i ricercatori di Gimbe, «ma il conflitto emerge quando la loro rilevanza tende a prevalere sui doveri etici, deontologici e legali dei professionisti».dovere di trasparenzaVeniamo ai numeri. Nello studio del 2019, la Fondazione Gimbe ha preso in esame 14 aziende che nel 2017 rappresentavano più della metà (51,5%) del fatturato totale di settore. Le imprese associate all’Efpia sono tenute a pubblicare ogni anno, entro il 30 giugno, i trasferimenti di valore effettuati in favore di professionisti sanitari, organizzazioni sanitarie e nel settore ricerca e sviluppo. Per quanto riguarda le prime due categorie, i contributi si dividono in tre sezioni: erogazioni liberali e donazioni (solo per le organizzazioni), eventi, servizi e consulenze.Complessivamente, questi 14 soggetti hanno disposto trasferimenti di valore per un totale di 288,1 milioni di euro, con un trasferimento medio per azienda di 20,6 milioni e un range da 8,1 a 41,9 milioni. Nel dettaglio, il 43,3% è stato destinato alle organizzazioni sanitarie (pari a 124,8 milioni di euro), il 40,7% in ricerca e sviluppo (117,4 milioni) e il 15,9% (ovvero 45,9 milioni) agli operatori sanitari. Per questi ultimi, metà hanno riguardato la categoria eventi, e l’altra metà quella dei servizi e delle consulenze. La voce più importante riguarda i corrispettivi (6,7 milioni di euro), mentre solamente per viaggi e ospitalità sono stati elargiti 5,7 milioni. Seguono altri 2,3 milioni per quote di iscrizione e 1,1 milioni per spese riferibili ad attività di consulenza e prestazioni professionali. Nel campo delle organizzazioni, società di servizi (56,6%), società scientifiche (14%) e università (7,9%) assorbono l’80% dei trasferimenti. Il capitolo di spesa più rilevante è rappresentato dagli accordi di sponsorizzazione (78,9 milioni di euro), seguito dalle donazioni e contributi (31,4 milioni).i giganti dei vacciniSfiorano i 40 milioni di euro, invece, i trasferimenti effettuati dalle «fabfour» del vaccino anti-Covid alle organizzazioni sanitarie, il 40% in più rispetto alla ricerca e sviluppo. Un’anomalia italiana riscontrata qualche anno anche dai ricercatori di Gimbe. Nel Regno Unito, infatti, dove i trasferimenti di valore (circa 575 milioni di euro) sono paragonabili alla nostra realtà, gli investimenti in ricerca e sviluppo ammontano al 74,3%, rispetto al 41,1% del nostro Paese. Un elemento che accresce il rischio di potenziali conflitti di interesse.Un’indagine promossa nel 2017 dal Collegio italiano dei primari oncologi medici ospedalieri (Cipomo) e pubblicata sull’autorevole British journal of medicine rivela che il 68% degli intervistati (321 oncologi, pari al 13% di ruolo nel settore) crede l’esistenza di un conflitto di interessi per la maggioranza dei colleghi connazionali. Particolare ancora più preoccupante, il 62% degli interpellati ha candidamente ammesso di aver ricevuto nei tre anni precedenti almeno un pagamento da parte dell’industria farmaceutica. mancanza di sintesiPur lamentandosi nei confronti della stampa, accusata di fare «cherry picking» (ovvero una selezione delle informazioni funzionale a sostegno delle proprie tesi) dei dati Efpia, anche la Fondazione Gimbe ha lamentato il «taglio amministrativo» dei report e la «mancanza di uno strumento di sintesi dei dati». Una carenza di trasparenza che ha alimentato «inevitabilmente percezioni distorte» nell’opinione pubblica. Scorrendo i lunghissimi elenchi, non si può fare a meno di notare la presenza di un numero enorme di donazioni nei confronti di enti di ricerca, atenei e ospedali. Un aspetto positivo, e di certo importante per la sussistenza stessa della ricerca italiana. Tuttavia, il vero problema è rappresentato dall’opacità che contraddistingue questi report. Per come sono redatti risulta sempre impossibile, infatti, risalire al progetto che ha innescato il trasferimento di valore dall’azienda.«Seguendo percorsi legali, il denaro scorre regolarmente dall’industria (farmaceutica, ndr) come risultato di strategie di marketing», chiosano gli autori della ricerca pubblicata sul Bmj. «La vera domanda è se un medico che riceve supporto finanziario nello svolgimento della professione possa essere imparziale e obiettivo quando si tratta di prendere decisioni sul piano clinico». Un interrogativo scomodo, ma che senza dubbio vale la pena porsi.
Ansa
Centinaia di tank israeliani pronti a invadere la Striscia. Paesi islamici coesi contro il raid ebraico in Qatar. Oggi Marco Rubio a Doha.
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Considerato un superfood, questo seme (e l’olio che se ne ricava) combatte trigliceridi, colesterolo e ipertensione. E in menopausa aiuta a contrastare l’osteoporosi. Accertatevi però di non essere allergici.
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Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
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