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2018-08-28
Messaggi in codice da Bruxelles per spaventare il governo gialloblù
Ansa
A volte ritornano. Meno fascinosi ma altrettanto affiatati di Diabolik ed Eva Kant, si riaffacciano sui giornaloni italiani Mario Monti e Sylvie Goulard. Ieri hanno marciato divisi (lui un editoriale sul Corriere della Sera, lei un'intervista sulla Stampa) per colpire uniti e lanciare avvertimenti all'Italia.
Chi sia Monti gli italiani lo sanno: senatore a vita (per meriti tuttora oscuri a molti elettori, ma per decisione di re Giorgio Napolitano) e capo del governo tecnico che nel 2011 assunse le più dure decisioni improntate all'austerità, ad esempio con il balzo della tassazione sugli immobili che ha ammazzato il settore immobiliare. Ma è il caso di ricordare anche chi sia la Goulard, politica e studiosa francese da sempre al fianco di alcuni italiani potenti. Dal 2001 al 2004 consigliera dell'allora presidente della Commissione europea Romano Prodi; poi impegnata nella redazione del progetto (abortito) di Costituzione europea; poi eurodeputata; poi macronista e grande ispiratrice «eurolirica» del presidente francese. A metà del 2017, una disavventura: sfiorata da uno scandalo per un presunto uso improprio di fondi dell'Europarlamento, lascia il governo Macron, di cui è ministro della Difesa. Pochi mesi di sosta ai box, e a gennaio viene nominata vicegovernatore della Banca di Francia.
E cosa c'entra con Monti? C'entra almeno due volte. Intanto, c'è una prima apparizione nel 2011, quando il governo Berlusconi viene sbalzato via a colpi di spread per essere sostituito da una giunta tecnocratica. E cosa dichiara la Goulard? È tra le prime a offrire una «giustificazione intellettuale» per il rovesciamento della volontà popolare. Sintesi: il concetto di sovranità nazionale è obsoleto, servono tecnici perché solo loro possono portare avanti un'agenda di austerità, «siamo completamente interdipendenti, non siamo più sovrani nel senso che la gente pensa». La Goulard, del resto, ha un conto aperto con gli elettori, che hanno la cattiva abitudine di contraddire gli «esperti»: il progetto di Costituzione europea è stato ridotto a brandelli da olandesi e francesi in due referendum. Ma c'è un secondo evento da ricordare, celebrato da Fabio Fazio che li invita in coppia a Che tempo che fa a fine novembre 2012: Monti e la Goulard, sei anni fa, scrivono un saggio a quattro mani, dal titolo La democrazia in Europa. Tesi scontatissima: c'è un contrasto tra la spinta europeista e la sovranità nazionale. Soluzione suggerita dal dinamico duo? Gli Stati nazionali si facciano guidare dal pilota automatico di Bruxelles.
Ma torniamo ai giornali di ieri e vediamo i cinque punti salienti del Monti-Goulard pensiero:
1 Entrambi nascondono l'avvertimento all'Italia sotto il velo del consiglio affettuoso. La parola chiave è: «isolamento». Attenta, Italia: non isolarti da Parigi e Berlino. «C'è una differenza», sibila la Goulard, «tra chiedere aiuto e andare allo scontro». Traduzione: meglio che il governo di Roma vada a Bruxelles in ginocchio, accettando le condizioni poste dai Paesi guida.
2 La Goulard, in particolare, lancia pizzini sull'immigrazione: se Roma non si mette d'accordo con gli altri partner europei, «questo non cambierà la geografia dell'Italia, che continuerà a rimanere di fronte all'Africa». Ovviamente la Goulard si guarda bene dal dire che, dopo l'incontro Donald Trump-Giuseppe Conte, Parigi è molto preoccupata per un possibile protagonismo italiano nel Mediterraneo.
3 Monti lancia il suo avvertimento sull'economia: «Il riposizionamento geopolitico» dell'Italia «non pare destinato a essere d'aiuto per le difficili partite economiche e finanziarie che si giocheranno». Capito? Se volete flessibilità, zitti e rigate dritto.
4 Entrambi sottolineano che l'Italia è stata «rappresentata a Bruxelles a ottimi livelli» (indovinate da chi).
5 Monti riesce a ripetere tre volte che la nostra collocazione ideale è con l'asse franco tedesco. Entrambi ci mettono in guardia con toni apocalittici rispetto al dialogo con i Paesi del gruppo di Visegrád. Sorge per lo meno il dubbio che Germania e Francia siano molto preoccupate da un nuovo nucleo in grado di bilanciare lo strapotere esercitato in questi anni da Berlino e Parigi.
In sostanza, si conferma un quadro che La Verità ha fornito molte volte ai suoi lettori. Soprattutto in Francia, si auspicava un altro risultato elettorale: o almeno si puntava su un possibile accordo M5s-Pd, una combinazione ritenuta più favorevole per mantenere l'Italia in posizione geopoliticamente gregaria rispetto a Parigi e Berlino, e anche per non ostacolare eventuali nuove scorribande economiche francesi sul suolo italiano.
È evidente che ora gli scenari siano cambiati: e così, a scadenze quindicinali (una volta con un editoriale di Bernard-Henri Levy, un'altra volta con un'intervista alla Goulard) ci sono ambienti francesi che non mancano di farci conoscere il proprio nervosismo. Una storia semplice, ma non una bella storia.
La difficile missione di Tria a Pechino: fare affari con la Cina senza sfidare Trump
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Mario Monti e Sylvie Goulard, vicegovernatore della Banca di Francia, escono nello stesso giorno su due quotidiani minacciando l'Italia. L'asse fra Giuseppe Conte e Donald Trump innervosisce Parigi, che adesso teme di essere isolata.La guerra fra gli Usa e il Dragone è solo all'inizio. Dobbiamo seguire i nostri interessi evitando di danneggiare altre partite.Lo speciale contiene due articoli.A volte ritornano. Meno fascinosi ma altrettanto affiatati di Diabolik ed Eva Kant, si riaffacciano sui giornaloni italiani Mario Monti e Sylvie Goulard. Ieri hanno marciato divisi (lui un editoriale sul Corriere della Sera, lei un'intervista sulla Stampa) per colpire uniti e lanciare avvertimenti all'Italia. Chi sia Monti gli italiani lo sanno: senatore a vita (per meriti tuttora oscuri a molti elettori, ma per decisione di re Giorgio Napolitano) e capo del governo tecnico che nel 2011 assunse le più dure decisioni improntate all'austerità, ad esempio con il balzo della tassazione sugli immobili che ha ammazzato il settore immobiliare. Ma è il caso di ricordare anche chi sia la Goulard, politica e studiosa francese da sempre al fianco di alcuni italiani potenti. Dal 2001 al 2004 consigliera dell'allora presidente della Commissione europea Romano Prodi; poi impegnata nella redazione del progetto (abortito) di Costituzione europea; poi eurodeputata; poi macronista e grande ispiratrice «eurolirica» del presidente francese. A metà del 2017, una disavventura: sfiorata da uno scandalo per un presunto uso improprio di fondi dell'Europarlamento, lascia il governo Macron, di cui è ministro della Difesa. Pochi mesi di sosta ai box, e a gennaio viene nominata vicegovernatore della Banca di Francia.E cosa c'entra con Monti? C'entra almeno due volte. Intanto, c'è una prima apparizione nel 2011, quando il governo Berlusconi viene sbalzato via a colpi di spread per essere sostituito da una giunta tecnocratica. E cosa dichiara la Goulard? È tra le prime a offrire una «giustificazione intellettuale» per il rovesciamento della volontà popolare. Sintesi: il concetto di sovranità nazionale è obsoleto, servono tecnici perché solo loro possono portare avanti un'agenda di austerità, «siamo completamente interdipendenti, non siamo più sovrani nel senso che la gente pensa». La Goulard, del resto, ha un conto aperto con gli elettori, che hanno la cattiva abitudine di contraddire gli «esperti»: il progetto di Costituzione europea è stato ridotto a brandelli da olandesi e francesi in due referendum. Ma c'è un secondo evento da ricordare, celebrato da Fabio Fazio che li invita in coppia a Che tempo che fa a fine novembre 2012: Monti e la Goulard, sei anni fa, scrivono un saggio a quattro mani, dal titolo La democrazia in Europa. Tesi scontatissima: c'è un contrasto tra la spinta europeista e la sovranità nazionale. Soluzione suggerita dal dinamico duo? Gli Stati nazionali si facciano guidare dal pilota automatico di Bruxelles.Ma torniamo ai giornali di ieri e vediamo i cinque punti salienti del Monti-Goulard pensiero:1 Entrambi nascondono l'avvertimento all'Italia sotto il velo del consiglio affettuoso. La parola chiave è: «isolamento». Attenta, Italia: non isolarti da Parigi e Berlino. «C'è una differenza», sibila la Goulard, «tra chiedere aiuto e andare allo scontro». Traduzione: meglio che il governo di Roma vada a Bruxelles in ginocchio, accettando le condizioni poste dai Paesi guida.2 La Goulard, in particolare, lancia pizzini sull'immigrazione: se Roma non si mette d'accordo con gli altri partner europei, «questo non cambierà la geografia dell'Italia, che continuerà a rimanere di fronte all'Africa». Ovviamente la Goulard si guarda bene dal dire che, dopo l'incontro Donald Trump-Giuseppe Conte, Parigi è molto preoccupata per un possibile protagonismo italiano nel Mediterraneo.3 Monti lancia il suo avvertimento sull'economia: «Il riposizionamento geopolitico» dell'Italia «non pare destinato a essere d'aiuto per le difficili partite economiche e finanziarie che si giocheranno». Capito? Se volete flessibilità, zitti e rigate dritto.4 Entrambi sottolineano che l'Italia è stata «rappresentata a Bruxelles a ottimi livelli» (indovinate da chi).5 Monti riesce a ripetere tre volte che la nostra collocazione ideale è con l'asse franco tedesco. Entrambi ci mettono in guardia con toni apocalittici rispetto al dialogo con i Paesi del gruppo di Visegrád. Sorge per lo meno il dubbio che Germania e Francia siano molto preoccupate da un nuovo nucleo in grado di bilanciare lo strapotere esercitato in questi anni da Berlino e Parigi.In sostanza, si conferma un quadro che La Verità ha fornito molte volte ai suoi lettori. Soprattutto in Francia, si auspicava un altro risultato elettorale: o almeno si puntava su un possibile accordo M5s-Pd, una combinazione ritenuta più favorevole per mantenere l'Italia in posizione geopoliticamente gregaria rispetto a Parigi e Berlino, e anche per non ostacolare eventuali nuove scorribande economiche francesi sul suolo italiano.È evidente che ora gli scenari siano cambiati: e così, a scadenze quindicinali (una volta con un editoriale di Bernard-Henri Levy, un'altra volta con un'intervista alla Goulard) ci sono ambienti francesi che non mancano di farci conoscere il proprio nervosismo. Una storia semplice, ma non una bella storia.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/messaggi-in-codice-da-bruxelles-per-spaventare-il-governo-gialloblu-2599537468.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-difficile-missione-di-tria-a-pechino-fare-affari-con-la-cina-senza-sfidare-trump" data-post-id="2599537468" data-published-at="1765820050" data-use-pagination="False"> La difficile missione di Tria a Pechino: fare affari con la Cina senza sfidare Trump La visita ufficiale del ministro dell'Economia e delle finanze Giovanni Tria in Cina rende necessario un richiamo in base al seguente criterio di interesse nazionale: è certamente utile avere buone relazioni commerciali con Pechino, ma queste devono restare al di sotto della soglia di relazioni condizionanti sul piano (geo)politico. Poiché l'attuale conduzione della Cina, il cui autoritarismo si è inasprito dopo la svolta dittatoriale attuata da Xi Jinping nel 2017, richiede che in ogni azienda di rilievo vi sia un commissario del Partito comunista e che ogni relazione economica esterna sia condizionata a un vantaggio geopolitico, il tenere una relazione economica stessa sotto la soglia politica non appare semplice. Ed è elevato il rischio di generare percezioni di ambiguità sulla collocazione internazionale dell'Italia da parte della ben più rilevante America. Né è prova il recente messaggio di Donald Trump: «Se l'Italia ha problemi di rifinanziamento del debito l'America la aiuterà», ha detto, intendendo: non osare accordarti con la Cina. Tria ha fatto filtrare rassicurazioni («Obiettivo della missione è rafforzare i rapporti economici tra i due Paesi, non certo cercare compratori per i titoli del debito pubblico», ha detto), ma la conferma degli incontri con la comunità finanziaria cinese e una sua, nonché di altri nel governo, consuetudine con la Cina lascia uno spazio di ambiguità, per altro aperto dalla visita ufficiale in Cina di Sergio Mattarella, l'anno scorso, che giustifica il richiamo. È utile un breve cenno al riguardo del contesto geopolitico per spiegare la delicatezza della materia. L'America ha deciso di limitare l'espansione del potere della Cina prima che questo diventi imbattibile. Non è una «trumpata» che svanirà dopo la fine del mandato di Trump, ma una linea di strategia sistemica e duratura che gli Stati Uniti perseguiranno fino all'ottenimento del risultato. Si tratta di una competizione per il potere mondiale come lo fu la guerra totale tra Roma e Cartagine. Forse ci saranno tregue, in particolare sul piano della guerra economica via dazi, cercate dalla Cina attraverso cedimenti parziali e temporanei, perché è vulnerabile alla riduzione dell'export in quanto il suo modello economico vi dipende. Per altro anche l'America rischia uno sconquasso globale che poi impatterebbe sul suo mercato interno se esagerasse e tale pericolo viene sempre più segnalato a Trump dagli attori economici statunitensi. Ma, anche se modulata, è e sarà guerra. La Cina sta usando la strategia dell'elefante, senza mosse fulminee, perché, più grossa, ha maggiore probabilità di vincere nel lungo termine, marciando lenta. L'America, invece, sta usando quelle, combinate, del giaguaro e del boa, con mosse rapidissime, per depotenziare la Cina soffocandone l'economia prima che diventi imbattibile. Ciò induce la Cina stessa a dover accelerare il passo dell'elefante per creare una sfera di influenza economica cinese grande abbastanza per permetterle di resistere alla stretta del boa: questo lo scopo dell'iniziativa Nuova via della seta. L'America a sua volta risponde dissuadendo gli alleati e altri a diventarne stazioni o terminali. La Germania si conforma, ma, non escludendo che la Cina vinca, mantiene relazioni profonde sottobanco con Pechino. La Francia fa lo stesso, così come il Regno Unito. I Paesi asiatici non vogliono condizionamenti cinesi. Ciò rallenta l'iniziativa cinese, ma Pechino, per accelerarla, offre vantaggi notevoli a chi è in necessità: Grecia, Iran, Turchia, nazioni africane, eccetera. In sintesi, per la Cina l'Italia con problemi di debito e crescita è un boccone appetitoso, chiave dell'Occidente, che merita investimenti di seduzione. Ma Roma deve stare molto attenta non solo a scambi sul debito, ma anche alle condizioni per ottenere che i porti italiani diventino terminali della Via della seta, con la complicazione di una posizione russa che in parte collabora con la Cina, in parte ne vuole limitare l'espansione nella regione eurasiatica, comunque puntando a controllare l'Europa orientale e Balcani per poi trattare con proprio vantaggio la relazione di questa area con la Cina stessa, la Germania indecisa. La questione macro e micro è complicatissima. Qual è la giusta linea? Concordare bene con l'America lo spazio di relazioni con Cina e Russia affinché l'interesse italiano mercantile, che è forte e in competizione con la Germania, trovi soddisfazione entro limiti ammessi dalla strategia statunitense per evitare ritorsioni dall'alleato principale e irrinunciabile. Inoltre, per il marchio Italia sarebbe controproducente alzare il livello della relazione con un regime cinese autoritario e repressivo. Da un lato, è comprensibile che il governo abbia difficoltà a calibrare interessi mercantilistici e geopolitici nella relazione con la Cina in questa situazione. Dall'altro, l'ambiguità certamente non è premiante anche perché sospettabile di essere frutto di penetrazioni cinesi nel governo. Non vedo motivi per accuse, al momento, ma certamente ne esistono per invitare il governo a una maggiore chiarezza e consistenza strategica. www.carlopelanda.com
La risposta alla scoppiettante Atreju è stata una grigia assemblea piddina
Il tema di quest’anno, Angeli e Demoni, ha guidato il percorso visivo e narrativo dell’evento. Il manifesto ufficiale, firmato dal torinese Antonio Lapone, omaggia la Torino magica ed esoterica e il fumetto franco-belga. Nel visual, una cosplayer attraversa il confine tra luce e oscurità, tra bene e male, tra simboli antichi e cultura pop moderna, sfogliando un fumetto da cui si sprigiona luce bianca: un ponte tra tradizione e innovazione, tra arte e narrazione.
Fumettisti e illustratori sono stati il cuore pulsante dell’Oval: oltre 40 autori, tra cui il cinese Liang Azha e Lorenzo Pastrovicchio della scuderia Disney, hanno accolto il pubblico tra sketch e disegni personalizzati, conferenze e presentazioni. Primo Nero, fenomeno virale del web con oltre 400.000 follower, ha presentato il suo debutto editoriale con L’Inkredibile Primo Nero Show, mentre Sbam! e altre case editrici hanno ospitato esposizioni, reading e performance di autori come Giorgio Sommacal, Claudio Taurisano e Vince Ricotta, che ha anche suonato dal vivo.
Il cosplay ha confermato la sua centralità: più di 120 partecipanti si sono sfidati nella tappa italiana del Nordic Cosplay Championship, con Carlo Visintini vincitore e qualificato per la finale in Svezia. Parallelamente, il propmaking ha permesso di scoprire il lavoro artigianale dietro armi, elmi e oggetti scenici, rivelando la complessità della costruzione dei personaggi.
La musica ha attraversato generazioni e stili. La Battle of the Bands ha offerto uno spazio alle band emergenti, mentre le icone delle sigle tv, Giorgio Vanni e Cristina D’Avena, hanno trasformato l’Oval in un grande palco popolare, richiamando migliaia di fan. Non è mancato il K-pop, con workshop, esibizioni e karaoke coreano, che ha coinvolto i più giovani in una dimensione interattiva e partecipativa. La manifestazione ha integrato anche dimensioni educative e culturali. Il Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino ha esplorato il ruolo della matematica nei fumetti, mostrando come concetti scientifici possano dialogare con la narrazione visiva. Lo chef Carlo Mele, alias Ojisan, ha illustrato la relazione tra cibo e animazione giapponese, trasformando piatti iconici degli anime in esperienze reali. Il pubblico ha potuto immergersi nella magia del Villaggio di Natale, quest’anno allestito nella Casa del Grinch, tra laboratori creativi, truccabimbi e la Christmas Elf Dance, mentre l’area games e l’area videogames hanno offerto tornei, postazioni libere e spazi dedicati a giochi indipendenti, modellismo e miniature, garantendo una partecipazione attiva e immersiva a tutte le età.
Con 28.000 visitatori in due giorni, Xmas Comics & Games conferma la propria crescita come festival della cultura pop, capace di unire creatività, spettacolo e narrazione, senza dimenticare la componente sociale e educativa. Tra fumetti, cosplay, musica e gioco, Torino è diventata il punto d’incontro per chi vuole vivere in prima persona il racconto pop contemporaneo, dove ogni linguaggio si intreccia e dialoga con gli altri, trasformando la fiera in una grande esperienza culturale condivisa.
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i,Hamza Abdi Barre (Getty Images)
La Somalia è intrappolata in una spirale di instabilità sempre più profonda: un’insurrezione jihadista in crescita, un apparato di sicurezza inefficiente, una leadership politica divisa e la competizione tra potenze vicine che alimenta rivalità interne. Il controllo effettivo del governo federale si riduce ormai alla capitale e a poche località satelliti, una sorta di isola amministrativa circondata da gruppi armati e clan in competizione. L’esercito nazionale, logorato, frammentato e privo di una catena di comando solida, non è in grado di garantire la sicurezza nemmeno sulle principali rotte commerciali che costeggiano il Paese. In queste condizioni, il collasso dell’autorità centrale e la caduta di Mogadiscio nelle mani di gruppi ostili rappresentano scenari sempre meno remoti, con ripercussioni dirette sulla navigazione internazionale e sulla sicurezza regionale.
La pirateria somala, un tempo contenuta da pattugliamenti congiunti e operazioni navali multilaterali, è oggi alimentata anche dal radicamento di milizie jihadiste che controllano vaste aree dell’entroterra. Questi gruppi, dopo anni di scontri contro il governo federale e di brevi avanzate respinte con l’aiuto delle forze speciali straniere, hanno recuperato terreno e consolidato le proprie basi logistiche proprio lungo i corridoi costieri. Da qui hanno intensificato sequestri, assalti e sabotaggi, colpendo infrastrutture critiche e perfino centri governativi di intelligence. L’attacco del 2025 contro una sede dei servizi somali, che portò alla liberazione di decine di detenuti, diede il segnale dell’audacia crescente di questi movimenti.
Le debolezze dell’apparato statale restano uno dei fattori decisivi. Nonostante due decenni di aiuti, investimenti e programmi di addestramento militare, le forze somale non riescono a condurre operazioni continuative contro reti criminali e gruppi jihadisti. Il consumo interno di risorse, la corruzione diffusa, i legami di fedeltà clanici e la dipendenza dall’Agenzia dell’Unione africana per il supporto alla sicurezza hanno sgretolato ogni tentativo di riforma. Nel frattempo, l’interferenza politica nella gestione della missione internazionale ha sfiancato i donatori, ridotto il coordinamento e lasciato presagire un imminente disimpegno. A questo si aggiungono le tensioni istituzionali: modifiche costituzionali controverse, una mappa federale contestata e tentativi percepiti come manovre per prolungare la permanenza al potere della leadership attuale hanno spaccato la classe politica e paralizzato qualsiasi risposta comune alla minaccia emergente. Mentre i vertici si dividono, le bande armate osservano, consolidano il controllo del territorio e preparano nuovi colpi contro la navigazione e le città costiere. Sul piano internazionale cresce il numero di governi che, temendo un collasso definitivo del sistema federale, sondano discretamente la possibilità di una trattativa con i gruppi armati. Ma l’ipotesi di una Mogadiscio conquistata da milizie che già controllano ampie aree della costa solleva timori concreti: un ritorno alla pirateria sistemica, attacchi oltre confine e una spirale di conflitti locali che coinvolgerebbe l’intero Corno d’Africa.
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Il presidente eletto del Cile José Antonio Kast e sua moglie Maria Pia Adriasola (Ansa)
Un elemento significativo di queste elezioni presidenziali è stata l’elevata affluenza alle urne, che si è rivelata in aumento del 38% rispetto al 2021. Quelle di ieri sono infatti state le prime elezioni tenute dopo che, nel 2022, è stato introdotto il voto obbligatorio. La vittoria di Kast ha fatto da contraltare alla crisi della sinistra cilena. Il presidente uscente, Gabriel Boric, aveva vinto quattro anni fa, facendo leva soprattutto sull’impopolarità dell’amministrazione di centrodestra, guidata da Sebastián Piñera. Tuttavia, a partire dal 2023, gli indici di gradimento di Boric sono iniziati a crollare. E questo ha danneggiato senza dubbio la Jara, che è stata ministro del Lavoro fino allo scorso aprile. Certo, Kast si accinge a governare a fronte di un Congresso diviso: il che potrebbe rappresentare un problema per alcune delle sue proposte più incisive. Resta tuttavia il fatto che la sua vittoria ha avuto dei numeri assai significativi.
«La vittoria di Kast in Cile segue una serie di elezioni in America Latina che negli ultimi anni hanno spostato la regione verso destra, tra cui quelle in Argentina, Ecuador, Costa Rica ed El Salvador», ha riferito la Bbc. Lo spostamento a destra dell’America Latina è una buona notizia per la Casa Bianca. Ricordiamo che, alcuni giorni fa, Washington a pubblicato la sua nuova strategia di sicurezza nazionale: un documento alla cui base si registra il rilancio della Dottrina Monroe. Per Trump, l’obiettivo, da questo punto di vista, è duplice. Innanzitutto, punta a contrastare il fenomeno dell’immigrazione irregolare. In secondo luogo, mira ad arginare l’influenza geopolitica della Cina sull’Emisfero occidentale. Vale a tal proposito la pena di ricordare che Boric, negli ultimi anni, ha notevolmente avvicinato Santiago a Pechino. Una linea che, di certo, a Washington non è stata apprezzata.
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