2023-12-07
La Meloni liquida la Via della seta. E in Italia arrivano i polacchi con l'ok degli Usa
Xi Jinping e Sergio Mattarella (Ansa)
Promessa mantenuta: non è stata rinnovata l’intesa con la Cina firmata, unico Stato del G7, nel marzo 2019. In contemporanea nel porto di Taranto sbarca un maxi consorzio di Varsavia con investimenti anti Pechino per 60 milioni. E con la benedizione americana.Ora il governo pensa a un nuovo corridoio dei «mercanti». La guerra a Kiev cambia gli equilibri e marginalizza Berlino.Lo speciale contiene due articoli.La promessa fatta prima di diventare presidente del Consiglio è stata mantenuta: Giorgia Meloni ha portato l’Italia fuori dalla Via della seta. Nei giorni scorsi la Farnesina ha inviato all’ambasciata cinese in Italia una lettera nella quale si comunica che il memorandum della Belt and road Initiative - firmata il 23 marzo 2019, unico Stato del G7, dal governo gialloblù di Giuseppe Conte e lasciata in sospeso da Mario Draghi - non verrà rinnovato a scadenza. L’accordo in realtà scade il 22 marzo 2024 ma si sarebbe rinnovato automaticamente alla fine di quest’anno a meno che una delle due parti non avesse comunicato un passo indietro. E così ha fatto l’Italia. L’uscita formale dal programma Bri sarebbe avvenuta già all’inizio della settimana senza alcuna pubblicità, come d’intesa tra le parti, ha rivelato il Corriere della Sera. La mossa è stata preceduta da una missione in Cina del segretario generale della Farnesina, Riccardo Guariglia, e a seguire dalla visita del ministro degli Esteri, Antonio Tajani: incontri in cui è stata confermata l’intenzione di coltivare il partenariato strategico tra i due Paesi e in cui sono stati avviati i passi preparatori per la visita a Pechino del capo dello Stato Sergio Mattarella l’anno prossimo. «L’Osservatorio economico della Farnesina parla chiaro: nei primi 9 mesi del 2023 l’export italiano in Cina ha registrato una crescita tendenziale del 25,1%, attestandosi quasi a 15 miliardi. Tajani li ha letti i dati dei suoi uffici? Meloni si è accorta che anche Biden ha ricevuto Xi Jinping negli Usa? Che Macron e Sánchez sono andati in Cina in visita?», ha commentato all’agenzia Adnkronos il leader del M5s, Conte. L’export è aumentato, ma prendendo come riferimento anche tutti gli altri Paesi a livello globale la rilevanza della Cina come mercato per le merci italiane si è ridotta. Senza dimenticare la spinta di altri fenomeni ciclici e strutturali dell’economia globale. Quell’intesa siglata più di quattro anni fa per collegare la Cina con l’Asia, l’Europa e il resto del mondo con ingenti spese infrastrutturali prometteva accordi sino a 20 miliardi, fra diretti e indotto. Certo, in mezzo c’è stata la pandemia, ma di benefici per l’Italia, alla fine, ce ne sono stati pochi. Forse più per i cinesi, considerando per esempio le mani del Dragone sui porti. Eppure all’epoca della firma avevano brindato anche papa Francesco e il presidente della Repubblica. Il 13 marzo del 2019 il via libera all’accordo con la Cina era arrivato proprio da una colazione al Quirinale. L’allora premier Conte, i due vicepremier Matteo Salvini e Luigi Di Maio con diversi ministri, pur arrivati con posizioni non coincidenti (Salvini era il più scettico sull’abbraccio con Pechino), avevano sdoganato il dossier Via della seta nei saloni del Colle sotto l’attenta regia di Mattarella. Quella stessa sera era arrivato l’ennesimo warning del dipartimento di Stato Usa: l’Italia valuti «rigorosamente» i rischi di fornitori soggetti a governi stranieri prima di prendere qualsiasi decisione su infrastrutture critiche come la rete 5G. Ma il 23 marzo, a Villa Madama, alla presenza dell’allora premier Conte e del presidente cinese Xi Jinping, era stato firmato il memorandum: sette pagine e sei paragrafi per definire la cornice entro cui avviare i progetti di cooperazione e investimenti in vari campi. Il 13 giugno 2021, il nuovo premier Mario Draghi, al termine di un G7 dominato dal tema delle autocrazie e del confronto con Pechino, si era limitato a dire che avrebbe esaminato «con attenzione» il documento firmato dal suo predecessore. Il 22 novembre di quello stesso anno, da leader di Fdi, Giorgia Meloni lo aveva sollecitato a rimettere in discussione quegli accordi: «Draghi ha ben chiarito sin dal suo intervento sulla fiducia che la nostra politica estera doveva essere europeista e atlantista, però servono atti conseguenti, anche su quegli accordi, e una politica condivisa per contrastare la propaganda cinese in Italia» aveva detto.E ora, da premier, ci ha pensato lei. Perché non serve un memorandum per fare business. Per questo basta l’Organizzazione mondiale del commercio. Adesso la situazione cambia ma non sarà semplice da gestire. Il governo vuole sostituire la Via della seta con una via «dei Mercanti» ma i partner di lunga durata devono essere dell’Alleanza atlantica. E quindi revisione di tutte le partnership con i cinesi nei settori della mobilità, delle Tlc e delle reti in generale. Certo, resterà lo shipping, ma su banchine gestite da altri. Dopo l’uscita dell’Italia, restano nella Via della seta una decina di Paesi dell’Est europea più Grecia e Portogallo. Oggi il presidente della Commissione Ursula von der Leyen e il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, arriveranno proprio a Pechino dove si apre il primo vertice in presenza dal 2019. Sul tavolo, il fronte geopolitico tra Taiwan e guerre in Ucraina e Medio Oriente. Ma soprattutto il tema economico, dopo l’indagine anti sovvenzioni nei veicoli elettrici cinesi avviata dalla Von der Leyen.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/meloni-liquida-via-della-seta-2666467521.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="polonia-e-usa-puntano-a-nuovi-corridoi-e-sbarcano-a-taranto-ambita-dalla-cina" data-post-id="2666467521" data-published-at="1701922347" data-use-pagination="False"> Polonia e Usa puntano a nuovi corridoi e sbarcano a Taranto ambita dalla Cina A tre giorni di distanza dall’addio italiano alla Via della seta e in contemporanea alla diffusione della notizia, nel porto di Taranto sbarca un maxi consorzio di Varsavia. Un gruppo di aziende della logistica capitanate da un’impresa che ha sede in Polonia ma che parla decisamente americano. Il cui presidente si chiama Ronald Farkas, da tempo a Varsavia con un passato nell’Aeronautica Usa. Grande esperto di logistica e collaboratore del dipartimento di Stato americano. Un biglietto da visita che lascia pochi dubbi su come si stia muovendo la cavalleria Usa nei confronti della Polonia e del Mediterraneo in vista della fine del conflitto in Ucraina. Un nuovo mondo, una nuova logistica e nuovi commerci. Tant’è che la notizia del blitz su Taranto arriva direttamente da Varsavia. A margine del Cybersecurity forum 2023, alla presenza dell’ambasciatore italiano in Polonia, Luca Franchetti Pardo, del direttore dell’Ice Paolo Lemma, del presidente di Confindustria Polonia, Nicola Pettenò, e di vari gruppi industriali e associazioni è stato annunciato uno strategico investimento da parte di un gruppo di aziende polacche nell’area retroportuale di Taranto, che ha trovato proprio nel porto la possibilità di sviluppare nuove linee commerciali sul Mediterraneo. Oggetto dell’investimento è la cosiddetta zona Eco/Park che ricade nel perimetro Zes ionica. Nel complesso i polacchi investiranno all’incirca 60 milioni di euro per portare avanti lo sviluppo del sistema portuale, logistico e infrastrutturale legati all’intermodalità, allo stoccaggio e assemblaggio di materiali con i relativi servizi. L’annuncio è stato fatto da Jacek Bieniak, partner dello studio legale Act bsww legal & tax. Raggiunto telefonicamente dalla Verità, l’avvocato ha spiegato che il consorzio «guarda al Sud dell’Italia, ma anche al sistema di scali tricolore. Da un lato abbiamo visto crescere i nostri scali per un decennio, dall’altro la guerra in Ucraina ha interrotto un mondo e quindi puntiamo a investire su Taranto con uno sguardo al di fuori della Polonia e della stessa Italia». Il riferimento è all’estensione del progetto stesso. Da Taranto, il consorzio impegnato su tre settori (assemblaggio prodotti chimici, laminati e agroalimentare) punta direttamente all’Africa. «Guardiamo ad Algeria, Egitto, ma anche ai Paesi subsahariani», prosegue Bieniak, «perché l’area retrostante il porto è in esenzione fiscale e quindi consente importanti operazioni di trasformazione che collegano direttamente Taranto con l’Est Europa». Tradotto, il gruppo polacco mira a fare un po’ di sinergia con i porti tedeschi, ma soprattutto a fornire Slovacchia, Repubblica Ceca e i Paesi baltici. Senza contare l’enorme business in arrivo che si chiama ricostruzione ucraina. Il consorzio che punta su Taranto comprende Laude smart, specializzata nell’intermodalità, Tarnow industrial cluster, noto nell’Est Europa per l’immobiliare e, come accennato sopra, la Poland Us operations capitanata da Farkas. La PlUs ops nasce nel 2015 per sostenere il riarmo della Polonia e diventa subito un partner della Nspa. Alias, Nato support and procurement agency. Il fatto che sbarchi a Taranto impone, dunque, un secondo livello di lettura. Lo scalo pugliese fino a poco tempo fa nel costante e aggressivo mirino della Cina, tramite il sostegno politico della Regione guidata da Michele Emiliano, ospita uno dei poli marittimi Nato più importanti del Mediterraneo. La cornice politica dentro la quale si muovevano le aziende cinesi da ieri è stata sciolta. Non esiste più la Via della seta. Sarà sostituta da una generica Via dei mercanti. Il che adesso riporta Taranto ancor più al centro dell’asse atlantico che va da Nord a Sud fino a coprire il fianco mediterraneo contiguo con il Maghreb. Il mondo adesso è fatto da tecnologie duali. L’investimento in Puglia - ma questa è solo una nostra proiezione - potrebbe coprire entrambe i versanti della tecnologia: civile e militare. Nel frattempo basta prendere la cartina e tracciare alcune linee. Le merci che scendono dai cargo a Taranto e si imbarcano in treno risalgono la dorsale adriatica e via Germania o Austria arrivano in Polonia. È chiaro che il messaggio geopolitico sottostante è riservato all’Italia e alla Cina. Ma anche alla Germania. La Polonia adesso è la nuova frontiera dell’Europa. Lì arrivano gli investimenti in dollari che possono transitare dai porti di Stettino e Danzica se le capienze degli scali lo permettono. Altrimenti arrivare a Taranto e risalire il Vecchio continente. Una linea veloce che può anche bypassare la Germania. Inutile dire, infatti, che Amburgo (con la partnership cinese) e Trieste saranno meno importanti. Vediamo che altri investimenti arriveranno in Italia dalla Polonia e se, quindi, in questo caso una rondine fa primavera.