2025-07-19
        Una mossa del cavallo irrituale. Se non è strategia politica questa...
    
 
L’iniziativa mostra la natura ideologica del processo. Giorgia Meloni: «Accanimento surreale».In attesa della certezza del diritto abbiamo pur sempre quella dei pm. Granitica, incrollabile: Matteo Salvini deve andare in prigione. Lo slalom speciale fuori stagione con il quale i magistrati di Palermo hanno fatto ricorso in Cassazione bypassando l’appello, è una mossa del cavallo che conferma quanto fosse frontale, politico, addirittura ideologico il processo all’allora ministro dell’Interno, oggi vicepremier, per la vicenda Open Arms. «Non luogo a procedere perché il fatto non sussiste» sentenziò il giudice Roberto Murgia dopo due anni di inchieste, tre di dibattimento e otto ore di Camera di Consiglio. Per arrivare alle stesse conclusioni, sull’analogo caso Diciotti la giustizia catanese (207 km di distanza) aveva impiegato un solo pomeriggio. Differente il firmatario, Andrea Bellomo, identico il verdetto. Assolto.Tutto ciò non vale nulla, carta straccia, perché se quei togati avevano «il ragionevole dubbio» che Salvini non fosse colpevole, il procuratore Maurizio De Lucia, la vice Marzia Sabella e la pm Giorgia Righi continuano a essere convinti che il leader della Lega - brutto, sporco e cattivo - abbia operato un sequestro di persona in piena regola nei confronti dei 147 migranti della Ong spagnola, che «bighellonava in mezzo al mare in cerca dell’incidente diplomatico», come da caustica sintesi di Giulia Bongiorno. I pm hanno perso ma si sono rivolti al Var e vogliono - fortissimamente vogliono - disputare i tempi supplementari passando direttamente dalla Cassazione per non rischiare un ulteriore autogol.Si sono impuntati, succede. Imparare a perdere è un’arte sottile, da coltivare con saggezza, buoni libri (basterebbe Guerra e Pace) e due dita di brandy. Invece il pool palermitano ha impugnato la sentenza scovando nelle pieghe dei codici il ricorso «per saltum» direttamente alla Cassazione nella speranza che getti loro un salvagente. Nel farlo, la Procura non ha lesinato critiche lievemente feroci alla sentenza di primo grado, sostenendo che «il verdetto di assoluzione non confuta la ricostruzione dei fatti prospettati dall’accusa, ma interpretando male leggi e convenzioni internazionali, si limita a dire che l’Italia non aveva l’obbligo di assegnare alla nave spagnola un porto sicuro». Due sberle ai colleghi e avanti tutta verso l’unico porto sicuro, quello della condanna. La vicenda è paradigmatica della contrapposizione esistente fra un’ala della magistratura e la parte politica che, pur fra difficoltà e contraddizioni, tenta di difendere le prerogative di uno Stato sovrano davanti all’invasione dell’immigrazione clandestina. Quella giudiziaria è una battaglia di retroguardia; dopo anni di immobilismo anche l’Unione Europea ha deciso di prendere provvedimenti, prospettando la regolamentazione dei rimpatri e la realizzazione degli hub in Paesi cosiddetti sicuri. Lo scontro frontale ha come terreno soprattutto l’Italia, dove la magistratura di sinistra (punta di lancia dell’opposizione) è un fattore reale, forte di un’ideologia consolidata. Di fronte alla prospettiva di un nuovo legal thriller (a spese dei contribuenti italiani), Salvini allarga le braccia. «Ho fatto più di 30 udienze, il tribunale mi ha assolto riconoscendo che difendere i confini non è un reato. Evidentemente qualcuno non si rassegna, andiamo avanti. Non mi preoccupo». La sua avvocata Bongiorno sottolinea che «la sentenza di Palermo è completa e puntuale in fatto e ineccepibile in diritto». La premier Giorgia Meloni, che ha il suo da fare per portare avanti i centri d’accoglienza in Albania, sostiene l’alleato leghista. «È surreale questo accanimento dopo un fallimentare processo di tre anni a un ministro che voleva solo far rispettare la legge. Mi chiedo cosa pensino gli italiani di tutte queste energie e risorse spese così, mentre migliaia di cittadini onesti attendono giustizia». Il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, che all’epoca dei fatti era capo di gabinetto di quel dicastero solidarizza così: «Se Salvini è imputabile per quello che fece mi ritengo moralmente imputabile anche io».Va ben oltre il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, che coglie un punto dirimente della questione: «Nei Paesi civili i magistrati non impugnano le sentenze di assoluzione, rimedieremo. Altrimenti finiamo a ciò che è avvenuto col caso Garlasco. Al di là delle implicazioni politiche di questa scelta inusuale, si pone il problema tecnico. Come potrebbe un domani intervenire una sentenza di condanna al di là di ogni ragionevole dubbio, quando dopo tre anni di udienze un giudice ha dubitato e ha assolto? La lentezza della nostra giustizia dipende anche dall’incapacità di molti magistrati di opporsi all’evidenza».È il nodo della questione, è la linea del fuorigioco che dovrebbe impedire le facili invasioni di campo: l’ultima parola spetta alla legge, non alle sensibilità del pm di turno. La riforma della giustizia con la separazione delle carriere torna ad essere il dossier più importante, anzi decisivo, di questa legislatura. Abbiano il coraggio di farla.
        Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
    
        Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
    
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico. 
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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        Viktor Orbán durante la visita a Roma dove ha incontrato Giorgia Meloni (Ansa)
    
        Francesca Albanese (Ansa)