2024-01-11
Meglio «I Soprano» vecchi di 25 anni che le favole buoniste degli algoritmi
La saga dei mafiosi italoamericani con James Gandolfini compie un quarto di secolo però funziona ancora perché è scorretta, e quindi vera. A differenza dei prodotti streaming farciti di dogmi woke e paranoie razziali. Sky lancia una docuserie sull’avvocato Vandelli: dapprima difensore dei terroristiper ragioni ideologiche, si fece sedurre dal denaro di Maniero e della sua banda. Lo speciale contiene due articoli. «Sono il Re Mida al rovescio, tutto quello che tocco si tramuta in mer...», diceva il capomafia Tony Soprano (interpretato da James Gandolfini, rimasto nell’immaginario ancora oggi, nonostante sia morto da 10 anni), scandendo una delle tante battute che hanno reso la serie prodotta dalla Hbo uno spartiacque di tre ere televisive recenti. In questi giorni di gennaio le avventure della famiglia criminale italoamericana del New Jersey - andate in onda dal 1999 al 2007 nell’arco di sei stagioni e 86 episodi - compiono 25 anni, e sembra passato un secolo dalla prima puntata, anche perché quella libertà narrativa che ha fatto della sceneggiatura scritta da David Chase «la serie più determinante di decenni di cultura pop televisiva» (la definizione è del New York Times) è stata sacrificata sull’altare dell’algocrazia addizionata di abbondanti dosi di cultura woke e censura. Prima dell’avvento dei Soprano, la serialità televisiva era spesso raccontata attraverso archetipi manichei: c’erano i personaggi totalmente buoni e quelli totalmente cattivi, una dirittura morale precisa sullo sfondo di vicende a parabola tradizionale. In Italia, per esempio, fioccavano i marescialli Rocca, i don Matteo, i cari maestri: il caravanserraglio dei carabinieri, dei sacerdoti, degli insegnanti, custodi di un focolare narrativo pedagogico, avvincente, ma mai disposto a rischiare nel mostrare il lato oscuro dei buoni sentimenti. Quando Hbo fece sbarcare nel nostro paese I Soprano, la tv non fu più la stessa, una lampadina si accese nella testa di sceneggiatori e spettatori. Per la prima volta, tematiche scomode come l’adulterio, le sedute psicanalitiche, gli omicidi, ma anche il rispetto delle regole e l’adeguamento a una certa morale venivano raccontate senza lesinare in passione dopata di prurigine assai realistica. I protagonisti non erano né del tutto buoni, né del tutto cattivi, lo spettatore poteva immedesimarsi nell’altro da sé contemplando pulsioni inconsce che mai avrebbe avuto il coraggio di sfoderare nella vita vera, ma che lo avrebbero solleticato nell’ora e mezza di astrazione garantita dalla visione di una puntata. Ecco che Tony Soprano, profanatore delle consuetudini politicamente corrette, mette in scena la sua vita di boss mafioso soggetto ad attacchi di panico, paziente di una psicanalista tanto arguta quarto caustica, circondato da una famiglia in cui l’intreccio conflittuale si mescola a un umorismo nero crudo, evolvendosi a ogni stagione, in una commistione di vita affettiva familiare e intrecci tra gang criminali per la contesa del territorio. Introspezione alla Dostoevskji in salsa ultrapop, con un tocco del più frizzante Bret Easton Ellis, il tutto sullo sfondo di una pellicola come Quei Bravi ragazzi, vera ispirazione di Chase. La svolta fu epocale. Arrivarono serie come Breaking Bad, che raccontava la vicenda di un professore costretto a mantenersi spacciando droga ma per una giusta causa, o la monumentale produzione storica Roma, sempre di Hbo è prodotta da John Milius, ambientata ai tempi di Giulio Cesare, disposta a indulgere sui dettagli meno noti della vita nell’Urbe. Prodotti mai consolatori nello spiattellare il lato umano, troppo umano, dunque in chiaroscuro, del reale, calamitando il pubblico in cerca di affrancamento da tematiche didascaliche. Fino all’avvento della terza era televisiva, quella che stiamo vivendo oggi, frutto della sbornia ideologica woke americana, infarcita di progressi tecnologici, algoritmi e, naturalmente, appetiti mercatisti. Le piattaforme come Netflix hanno sostituito buona parte dei vecchi televisori e si sono adeguate ai dogmi dei campus universitari a stelle e strisce, quelli, per intenderci, che vorrebbero proibire i corsi su Aristotele perché «schiavista» e che provvedono a distribuire assorbenti pure agli studenti maschi perché sarebbe discriminatorio sostenere che le mestruazioni siano solo femminili. Ogni prodotto, pur senza una pertinenza al contesto, deve mostrare tutte le etnie residenti negli Usa, non scordando di distribuire con percentuali da manuale Cencelli la presenza di attori maschi, femmine, di personaggi che non si riconoscono in una sessualità precisa e guardandosi bene da deviare dal sentiero ideologico proposto: raccontare la realtà non per come è, ma per come talvolta qualche élite ultraliberal atlantica vorrebbe diventasse col supporto dell’artificio tecnico. La conseguenza è scontata: in questi anni, una serie come I Soprano, difficilmente sarebbe stata prodotta. Gli algoritmi delle piattaforme in streaming, pensati per accontentare la foga dei loro creatori, ne avrebbero sconsigliato persino un accenno. Normale, in un’era in cui anche la politica sceglie di agire solo dopo aver consultato il sondaggio del momento. Come spesso accade però, la componente umana è ancora in grado di smentire dogmi disumani. Serie come Yellowstone - dramma western che non fa sconti su passioni shakespeariane nel raccontare le vicende rurali di una famiglia dell’entroterra statunitense - inanellano pubblico nonostante lo snobismo iniziale dei critici, piattaforme come quella Disney iniziano a fare marcia indietro sui loro propositi dopo aver stravolto le più celebri fiabe per bambini perché il politicamente corretto a taglio coercitivo, anche quando il contesto narrativo non lo richiede, sta facendo scappare gli abbonati. Insomma, la Sirenetta esotica, le eroine femminili trasformate a forza in virago violente, i racconti classici stravolti e infarciti di rimandi a un futuro ideologico, non funzionano come ci si aspettava e fanno perdere soldi ai produttori americani: il pubblico vuole riconoscersi nell’altro da sé vivendo emozioni autentiche, non essere rieducato a suon di metafore di costume. Anche per questo I Soprano restano la stella polare di una serialità ottimamente scritta e drenata da fascinazioni dottrinali. Come le più importanti opere narrative della storia, ancorché pop.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/meglio-soprano-che-favole-buoniste-2666931963.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-legale-da-film-della-mala-del-brenta" data-post-id="2666931963" data-published-at="1704991059" data-use-pagination="False"> Il legale da film della mala del Brenta Non bombe, ma testi di legge. Enrico Vandelli, figlio degli anni Cinquanta e di una Padova rosa dalle tensioni politiche, ha trasformato la propria militanza, il suo attivismo, nella ragione di una professione scelta con cognizione di causa. Sarebbe stato avvocato, al fianco non dei deboli ma degli assassini, dei terroristi. Vandelli, cui Sky ha voluto dedicare la miniserie Fuorilegge - Veneto a mano armata, ha scelto di laurearsi in giurisprudenza per supportare i compagni. Per difenderli. Per esserne angelo e protettore. Ma i soldi, allora, erano pochi e l’alternativa alla legalità più facile e allettante. Vandelli, che a 20 anni ha sposato la causa della formazione di sinistra extraparlamentare Autonomia operaia, è diventato così avvocato di Felice Maniero, «Faccia d’angelo». Un passaparola nel carcere di Torino: un brigatista, la sua soddisfazione di assistito e il consiglio al collega recluso. «Esiste un legale amico», avrebbe detto a Maniero, boss della Mala del Brenta, convincendolo ad assumere Vandelli. L’avvocato, cui il cosiddetto processo del 7 Aprile e la difesa di 54 fra gli imputati vicini ad Autonomia operaia avevano garantito una certa reputazione professionale, ha preso in mano la pratica e, in breve, ottenuto una scarcerazione. Ma quel che avrebbe dovuto rivelarsi un rapporto esclusivamente lavorativo si è trasformato presto in altro: un’amicizia, un sodalizio, un’affinità che ha portato il legale ad essere inghiottito dalle trame criminali di Maniero. E da questi, poi, scaricato. Una volta tornato alle proprie attività, Maniero è finito parimenti al centro di nuove indagini. Di lì a poco, gli si sono rispalancate le porte del carcere. Ed è stato un attimo. Maniero, a capo della banda che, come quella della Magliana a Roma e della Comasina a Milano, ha messo a ferro e fuoco l’Italia, fra rapine, sequestri, omicidi e traffici di droga, ha scaricato Vandelli. Lo ha accusato. Un tradimento in piena regola che, al legale, è costato la libertà. Vandelli, protagonista di una serie in onda su Sky Documentaries dalle 21.15 di sabato, si è dato alla fuga, la latitanza foraggiata da vecchi amici di Autonomia operaia. A Padova, dov’è nato e cresciuto, figlio del boom industriale, ha lasciato la moglie e i figli. Per quattro anni ha mandato loro brevi lettere, concedendosi solo di tanto in tanto incontri clandestini. Poi è stato arrestato: condannato per associazione mafiosa e costretto a lasciare la toga. Michele, suo figlio minore, nella docuserie racconta come tutto questo abbia stravolto la vita sua e della famiglia, come la parabola discendente di Enrico Vandelli - ripercorsa in tre puntate - possa essere letta oggi per (ri)raccontare un territorio, quello veneto, e la sua trasformazione socio-economica, per fotografare il sistema giuridico italiano e l’impatto che la contestazione politica ha avuto su di esso.
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.