2023-04-07
Serve porre un freno alla fabbrica di mostri
Davanti a una vicenda estrema come quella dell’artista iberica Ana Obregòn tutti si dicono scandalizzati, pure chi tifa per la maternità surrogata. Ma i desideri non sono diritti. C’è bisogno di limiti perché, quando si supera un confine, è un’illusione pensare di fare marcia indietro.Di fronte alla mostruosità, ora si sprecano le grida d’orrore. L’attrice e conduttrice televisiva spagnola Ana Obregòn, a 68 anni, ha pagato una madre surrogata a Miami per avere una bambina, Ana Sandra, che potrà registrare in Spagna (dove la trascrizione all’anagrafe è concessa, a differenza che in Italia) come sua figlia. In realtà, la Obregòn non è «diventata mamma», come quasi tutti i giornali hanno scritto. Lo diventerà legalmente perché una norma glielo consente, ma a dare alla luce un piccina è stata un’altra donna - la gestante a pagamento - che ha accolto nel suo ventre l’ovulo di una terza donna, la donatrice. E non è finita. L’ovulo della donatrice è stato fecondato con lo sperma di Aless, il figlio naturale della Obregòn morto di cancro nel 2020 a 27 anni. È proprio al figlio deceduto che la showgirl si è rivolta motivando pubblicamente il suo gesto: «Ti ho giurato che ti avrei salvato dal cancro e ti ho deluso», ha detto. «Ti ho promesso che avrei messo al mondo tua figlia e ora ce l’ho tra le braccia. Quando la abbraccio, provo un’emozione indescrivibile, perché è come se ti stessi abbracciando di nuovo. Ti giuro che mi prenderò cura di lei con l’amore infinito che ho da dare e tu dal cielo mi aiuterai».Insomma, per produrre la piccola Ana Sandra ci sono volute quattro persone, di cui una morta. Ora la bimba si troverà ad avere come madre quella che biologicamente è sua nonna, una ricca signora di quasi settant’anni. Si tratta, con tutta evidenza, di un caso limite, che ha suscitato l’indignazione di vari commentatori stranieri e italiani. Sulla Stampa, Assia Neumann Dayan ha scritto che la storia della Obregòn «sembra un incesto», poi ha passeggiato un po’ sulle uova: «Credo che avere una opinione esatta sulla maternità surrogata sia impossibile», ha scritto. Precisando subito dopo che «il problema è che l’unica opinione che conta è quella di una neonata».Sul Corriere della Sera, Massimo Gramellini ha spiegato di sentirsi a disagio e ha aggiunto: «Ammetto di non riuscire a dare un nome al mio disagio. Posso solo condividerlo con chi legge. Non trovando risposte, mi concedo il lusso di una domanda: davvero tutti i desideri sono diritti?».Sono questioni estremamente rilevanti, ma forse sono ancora più rilevanti il modo e la tempistica con cui vengono poste. Per prima cosa, si dovrebbe notare l’insistenza sull’individuo che ci avvelena: la neonata, a ben vedere, non è affatto l’unica titolata a esprimersi. Anche tutti noi lo siamo perché la surrogata è un fatto sociale, politico, comunitario e non una faccenda di scelta personale.In secondo luogo, è sacrosanto chiedersi - retoricamente - se un desiderio sia un diritto, perché no, non lo è. Il fatto è che è troppo comodo e parecchio ipocrita avanzare tali interrogativi quando ci si trova al cospetto della mostruosità. Non v’è dubbio che la vicenda della Obregòn sia assolutamente eccezionale, molto diversa da tutti gli altri casi in cui si ricorre alla maturità surrogata. Ma per quanto ancora? E soprattutto: chi stabilisce dove stia il limite da non oltrepassare? Perché il desiderio della Obregòn dovrebbe risultare arrogante ed egoista e dovrebbe, invece, essere legittimo il desiderio di due uomini che fecondano due ovuli diversi di una donatrice e pagano per impiantarli poi nel ventre di una seconda donna gestante? Ancora: è legittimo il desiderio di un uomo e una donna, marito e moglie, che vanno a Kiev per ritirare il foglio partorito da una madre surrogata che ne ricava una buona integrazione al suo altrimenti misero stipendio? Dove sta, esattamente, la linea da non superare e chi la traccia? Per uscire dal ginepraio teorico bisogna tenere conto di ciò che ha scritto Massimo Cacciari: alla scienza «appare intollerabile non realizzare ciò che il suo pensiero ha progettato». Il sistema della scienza «esige la rivoluzione permanente», qualunque stato della scienza contiene «le energie per il proprio superamento». Significa che - una volta rotto il primo argine, varcato il primo confine - risulta una pia illusione l’idea di porre un freno alla tecnoscienza, la quale esiste per superare sé stessa.Nel momento in cui si decide che sia lecito commercializzare la vita, affittare un corpo o persino donare (falsamente, perché i rimborsi spese per le surrogate ci sono sempre) un figlio, allora è concesso anche tutto ciò che inevitabilmente ne consegue, tra cui il caso estremo di Ana Obregòn. Perché l’attrice, possedendo i mezzi per farlo, dovrebbe rinunciare alla sua pretesa? Forse che altri e altre rinunciano alle proprie? Liberato lo spirito della tecnica, è questo a segnare i confini. Ancora Cacciari: «Mondo è ciò che la scienza fa, la meta che di volta in volta il suo operare raggiunge e supera». Si illude, dunque, chi ritiene che si possa «aprire un po’, concedere un po». E sono in molti a illudersi, purtroppo, non soltanto i nostri baldi editorialisti progressisti ma pure i teologi.Ad esempio Gerardo Fidalgo, professore ordinario di Antropologia sistematica all’Accademia Alfonsiana, pontificio istituto di teologia morale. Costui, un sacerdote, scrive in un ampio articolo che «l’essere umano non è un essere concluso, definitivamente determinato, è sempre un progetto aperto, è un dono ma, nello stesso tempo, è una costruzione costante. Dunque, bisognerebbe presupporre che, fino a quando i processi di umanizzazione personale e sociale rispettano la dignità delle persone e ricercano le strutture e i sistemi sociali più adeguati, sia necessario lasciare spazio alle persone e alle famiglie di realizzarsi pienamente, senza imporre nessun “pensiero unico”, di qualsiasi colore esso sia».È una apertura: timida e problematica, certo, ma comunque una apertura alla surrogata. Che, per altro, trascura le domande centrali: se l’uomo è un essere in costruzione, esattamente chi lo costruisce? Si costruisce da solo, è la tecnoscienza a costruirlo? O chi altri? E poi: fino a quando si può dire che la dignità delle persone sia rispettata? Se accettiamo che si possa non solo creare ma pure barattare la vita, a quale codice morale dovremmo ricorrere per stabilire cosa sia dignitoso e cosa no? Al nostro capriccio del momento? Al desiderio del bambino espresso e cose fatte? Al buon gusto degli affittuari? Tutti si scandalizzano di fronte ai mostri. Ma proseguono ad allevarne altri.
Jeffrey Epstein (Getty Images)
Nel riquadro, Giancarlo Tulliani in una foto d'archivio
A Fontanellato il gruppo Casalasco inaugura l’Innovation Center, polo dedicato a ricerca e sostenibilità nella filiera del pomodoro. Presenti il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, l’amministratore delegato di FSI Maurizio Tamagnini e il presidente della Tech Europe Foundation Ferruccio Resta. L’hub sarà alimentato da un futuro parco agri-voltaico sviluppato con l’Università Cattolica.
Casalasco, gruppo leader nella filiera integrata del pomodoro, ha inaugurato oggi a Fontanellato il nuovo Innovation Center, un polo dedicato alla ricerca e allo sviluppo nel settore agroalimentare. L’obiettivo dichiarato è rafforzare la competitività del Made in Italy e promuovere un modello di crescita basato su innovazione, sostenibilità e radicamento nel territorio.
All'evento hanno partecipato il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, l’amministratore delegato di FSI Maurizio Tamagnini, il presidente della Tech Europe Foundation Ferruccio Resta e il management del gruppo. Una presenza istituzionale che sottolinea il valore strategico del progetto.
Urso ha definito il nuovo centro «un passaggio fondamentale» e un esempio di collaborazione tra imprese, ricerca e istituzioni. Per Marco Sartori, presidente di Casalasco Spa e del Consorzio Casalasco del Pomodoro, l’hub «non è un punto d’arrivo ma un nuovo inizio», pensato per ospitare idee, sperimentazioni e collaborazioni capaci di rafforzare la filiera.
L’amministratore delegato Costantino Vaia parla di «motore strategico» per il gruppo: uno spazio dove tradizione e ricerca interagiscono per sviluppare nuovi prodotti, migliorare i processi e ridurre l’impatto ambientale. Tamagnini, alla guida di FSI – investitore del gruppo – ricorda che il progetto si inserisce in un percorso di raddoppio dimensionale e punta su prodotti italiani «di qualità valorizzabili all’estero» e su una filiera sostenibile del pomodoro e del basilico.
Progettato dallo studio Gazza Massera Architetti, il nuovo edificio richiama le cascine padane e combina materiali tradizionali e tecnologie moderne. I mille metri quadrati interni ospitano un laboratorio con cucina sperimentale, sala degustazione, auditorium e spazi di lavoro concepiti per favorire collaborazione e benessere. L’architetto Daniela Gazza lo definisce «un’architettura generativa» in linea con i criteri di riuso e Near Zero Energy Building.
Tra gli elementi distintivi anche l’Archivio Sensoriale, uno spazio immersivo dedicato alla storia e ai valori dell’azienda, curato da Studio Vesperini Della Noce Designers e da Moma Comunicazione. L’arte entra nel progetto con il grande murale di Marianna Tomaselli, che racconta visivamente l’identità del gruppo ed è accompagnato da un’esperienza multimediale.
All’esterno, il centro è inserito in un parco ispirato all’hortus conclusus, con orti di piante autoctone, una serra e aree pensate per la socialità e il benessere, a simboleggiare la strategia di sostenibilità del gruppo.
Casalasco guarda già ai prossimi sviluppi: accanto all’edificio sorgerà un parco agri-voltaico realizzato con l’Università Cattolica di Piacenza, che unirà coltivazioni e produzione di energia rinnovabile. L’impianto alimenterà lo stesso Innovation Center, chiudendo un ciclo virtuoso tra agricoltura e innovazione tecnologica.
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Da sinistra in alto: Piero Amara, Catiuscia Marini, Sergio Sottani e Luca Palamara (Ansa)