2024-09-08
«Piccole ma creative e crediamo nei negozi»
Capolavori del brand Almala, realizzati da Maria Vittoria Pasotti (nel riquadro in basso a sinistra)
Una delle fondatrici del brand Almala: «Siamo un’impresa totalmente femminile e made in Italy, che è un valore aggiunto. Al Web non diciamo no ma preferiamo vendere negli store fisici. Mercato senza regole, dalla Cina arriva di tutto. I nostri artigiani? I migliori».Hanno iniziato quasi per gioco. «No, per passione», precisa Maria Vittoria Pasotti, una delle fondatrici di Almala, brand di borse (all’inizio) che compie 15 anni. Partite in tre e poi rimaste in due, perchè la terza ha scelto altro, Almala è l’unione dei tre nomi (Alessandra, Maria Vittoria, Laura) dove Alessandra Vitali ha continuato con Maria Vittoria l’avventura modaiola. Ognuna con i propri gusti e la propria personalità, un bel mix di creatività tutta al femminile che, dopo il favore di amiche e parenti, ben presto il successo si è allargato oltre misura. «Tante cose che cercavamo non le trovavamo nei negozi e abbiamo dato sfogo alla nostra fantasia». La prima borsa? «È nata grazie a un’artigiana toscana alla quale abbiamo spiegato ciò che ci sarebbe piaciuto e lei l’ha realizzata: la pelle arricciata nella parte alta in cui infilare i manici, due cerchi poi diventati il nostro marchio distintivo. Il nome, da subito, ha parlato chiaro: BB, la Bracelet Bag, diventata in breve un must have».Come siete arrivate nei negozi più prestigiosi? «Mi sono proposta in quelle boutique di alto livello dove prima ero una cliente e il nostro prodotto ha trovato subito riscontro, una alternativa al lusso e al super lusso. Abbiamo sempre puntato sulla differenziazione di alcuni particolari, tanta ricerca, tanto studio, andando a tutte le fiere». Totalmente made in Italy: è questo il vostro valore aggiunto? «Senza dubbio. Potremmo dire che siamo made in Brescia, dove abbiamo il quartier generale, ma anche anche made in Bergamo, dove ci sono le aziende che ci forniscono materiali straordinari come l’acetato di Mazzucchelli, e made in Toscana, dove ci sono gli artigiani più bravi che ci siano». Artigiani che ci contendono le griffe famose... «Sono persone che sanno dare un’anima a un prodotto. E qui apro una parentesi sottolineando quanto i grandi brand abbiano fatto razzia dei migliori nostri artigiani. Per questo riuscire a fidelizzarne alcuni con un piccolo marchio come il nostro la dice lunga. Hanno compreso la nostra dedizione, la costanza, la voglia di fare e imparare e anche il contributo che puoi dare visto che producono per te ma anche per loro stessi, un interscambio di idee che ha fatto sì che ci apprezzassero come loro clienti e accettassero di essere i nostri fornitori. Non è stato facile perché nessuno di noi veniva da esperienze di moda o realtà simili, l’abbiamo considerato un successo doppio, siamo entrate in un mondo a noi totalmente nuovo».Si parla molto di crisi del settore, l’avvertite anche voi? «La situazione attuale è molto complicata. Alle fiere non c’è più un pubblico curioso, viene gente che non sempre è interessata all’acquisto. Siamo tornati agli anni addietro, quando caricavi l’auto dei tuoi prodotti e facevi il giro dei clienti e possibili clienti per far vedere la tua merce e spiegarla nei particolari. Purtroppo c’è poca competenza e anche noi dobbiamo valutare se quel contenitore è giusto per i nostri prodotti perché la nostra qualità deve essere capita, apprezzata e deve essere ben spiegata all’acquirente finale. Si ritorna alla valigia con il campionario: entri nei negozi, instauri un rapporto di fiducia, personale, dimostri che ci sei qualora si presentasse un problema». L’online ha penalizzato le vendite nei negozi? «La realtà digitale, ormai è fondamentale. Per questo abbiamo investito in un gruppo di persone competenti. L’e-commerce deve essere in parallelo con il lavoro che si fa “porta a porta” perché se vuoi rendere sempre più famoso il tuo prodotto, grazie all’online arrivi in tutto il mondo. Per non disturbare le nostre realtà italiane e i nostri clienti usciamo sul Web con un prodotto leggermente maggiorato nel prezzo, cosa che fanno in pochissimi, così la gente tende ad andare nei negozi. Anche la stessa spesa di spedizione incide, il servizio a casa lo paghi. La nostra filosofia di piccola imprenditoria tutta al femminile, siamo in sei donne, predilige molto di più il contatto diretto. Vedere turiste americane o arabe apprezzare i nostri accessori che trovano nei negozi è ciò ci rende orgogliose del nostro lavoro». Quali sono i vostri mercati d’elezione? «L’80% del nostro fatturato è in Italia, il 20% all’estero. Abbiamo negozi a Saint Barth, Madrid, in Costa Azzurra e a Beirut. Siamo andate nel Barhein, a Dubai, in America a Palm Beach. Dobbiamo comunque espanderci perché la realtà italiana non è facile per la capacità d’acquisto del cliente finale, la quantità di proposte alternative è enorme. Arrivano in particolare dalla Cina prodotti di bassa qualità che servono a certi negozi per fare cassetto. Non ci sono regole, non ci sono controlli, questo ci penalizza molto. Noi dobbiamo certificare ogni passaggio a cominciare dai materiali ai trattamenti, devi dare i dati di tutte le fonti di origine. Se noi spediamo all’estero un nostro prodotto, devo garantirne la provenienza e la lavorazione. Eppure troviamo sul mercato prodotti di ogni genere in un mix che non può che creare disorientamento generale».Da quando, dopo le borse, avete iniziato a introdurre gli accessori? «Abbiamo visto che c’era richiesta anche nel mondo dei bijoux: orecchini, bracciali, collane che erano un completamento del nostro look per poi arrivare a una vera e propria collezione, una capsule di abbigliamento. Rafforzi così il tuo gusto e la tua linea. E il negozio che ti sceglie, se può proporre un stile ben definito, lo preferisce».
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