2023-02-11
Macron e Scholz fanno i bulli per paura
Emmanuel Macron e Olaf Scholz (Ansa)
La narrazione giornalistica dominante vuole Giorgia Meloni isolata dagli statisti europei. La verità è che un’affermazione definitiva della leader di Fdi cambierebbe molti equilibri, sia a livello dell’Unione che negli assetti nazionali di Francia e Germania.Il Trattato celebrato con magniloquenza da Sergio Mattarella non garantisce rispetto reciproco.Lo speciale contiene due articoli.Il confine è sottile, e francamente, leggendo alcuni quotidiani, non si capisce più se si limitino a imbastire un racconto pregiudizialmente ostile nei confronti del governo di Giorgia Meloni, con ciò rendendo un servizio discutibile ai propri lettori, o se - varcando appunto il confine dell’autopersuasione - non abbiano addirittura iniziato loro stessi a credere davvero alle proprie «narrazioni». Probabilmente ha ragione il direttore di Atlantico , Federico Punzi, che già ieri faceva notare come l’incontro all’Eliseo frettolosamente organizzato da Emmanuel Macron e Olaf Scholz con il leader ucraino non fosse necessariamente una prova di forza, ma - a ben vedere - un tentativo abbastanza maldestro di Parigi e Berlino di riposizionarsi sulla linea Nato, verso la quale erano stati a lungo esitanti, oscillanti, incerti. Da questo punto di vista, la Meloni avrebbe tutto il diritto di rivendicare una coerenza assai maggiore dei suoi omologhi franco-tedeschi, e già dal periodo in cui era all’opposizione, ben prima di arrivare a Palazzo Chigi. Ma il discorso vale in termini complessivi, al di là del pur rilevantissimo dossier ucraino. Molti media italiani, accecati dal pregiudizio politico, fingono infatti di non vedere altri quattro fatti politici rilevantissimi.Il primo ha a che fare con la politica interna di Francia e Germania (e, in questo caso, pure della Spagna). Macron e Scholz sono in ultima analisi ostili proprio perché temono moltissimo a casa loro le eventuali ricadute dell’esperimento-Meloni. Se la prova di governo della leader di Fdi avrà successo, creerà inevitabilmente le premesse per una sua imitazione e ripetizione in diversi paesi europei. Non dimentichiamo che Macron, pur riconfermato nel ballottaggio contro Marine Le Pen, di fatto non ha una piena maggioranza parlamentare. E pure nel primo turno delle presidenziali, considerando la somma dei voti degli altri candidati, era nettamente in minoranza. Quanto a Scholz, ha vinto più che altro per consunzione della Cdu dopo la lunga stagione merkeliana, e mentre i cristianodemocratici erano in piena e irrisolta transizione di leadership. Ma presto il centrodestra tedesco, rinvigorito da una igienica stagione all’opposizione, tornerà competitivo. Per non dire della Spagna, dove il governo Socialisti-Podemos sta collassando, e dove le elezioni generali previste entro la fine del 2023 potrebbero riportare il centrodestra al potere.Il secondo fattore, ancora più rilevante, è rappresentato dalla prospettiva delle Europee del 2024. Se alla Meloni riuscirà la tessitura in corso (quella di un’intesa tra i Conservatori che lei stessa presiede e i Popolari), potrebbe realizzarsi un autentico rovesciamento dei rapporti di forza a Bruxelles. In tutte le istituzioni Ue: Parlamento, Commissione, Consiglio. È anche e soprattutto questo che spaventa Macron, Scholz e i tenutari dei vecchi equilibri.Il terzo aspetto da considerare - negato, anzi esorcizzato dai nostri eurolirici - è lo spettacolare fallimento in corso dell’Ue, rivelatasi incapace, da almeno quindici anni, di dare risposte convincenti in occasione di tutte le crisi (crisi finanziaria, crisi migratoria, Covid, guerra). Altro che bandiere al vento, Inno alla gioia e retorica euroentusiasta: è ormai plasticamente visibile come l’integrazione Ue (da questo giornale peraltro giustamente criticata nei suoi eccessi centralizzanti e omogeneizzanti) sia solo la recita dei giorni pari, che lascia spazio, nei giorni dispari, al perseguimento sistematico dell’interesse nazionale di ciascuno. Ma se lo dice un esponente di destra, è bieco sovranismo; se invece lo fa Macron, i laudatores scattano come molle per giustificare il loro eroe. Il quarto aspetto (assai imbarazzante per Parigi) è il rinnovato protagonismo italiano - energetico e geopolitico - in Nord Africa, dopo che la Meloni ha esplicitato la sua intenzione di perseguire l’obiettivo di un «piano Mattei», e dopo le recenti missioni in Algeria e Libia. Tutto ciò fa pendant con il momento di maggior debolezza francese in Africa, dopo le disavventure in Mali e Burkina Faso. Naturalmente la Meloni ha bisogno di un rapporto forte con Washington. Già ora la relazione è buona, anche con una Casa Bianca a guida democratica. E se poi nel 2024, in coincidenza temporale con i mutati equilibri europei, arrivasse un presidente Usa repubblicano, a quel punto sia il tentativo polacco sia quello italiano (cioè pesare nella Nato e nel quadrante occidentale anche come contrappeso rispetto a Parigi-Berlino-Bruxelles in Ue) avrebbero ancora più chance di successo. Non dimentichiamo che - sbagliando tutti i calcoli - Macron aveva parlato nel 2019 di una Nato in stato di «morte cerebrale». Tutto questo non significa che la strada di Giorgia Meloni sia necessariamente in discesa: le sfide e le incognite ci sono, e di entità tutt’altro che irrilevante. Ma si richiederebbe agli osservatori un po’ di lucidità. Raccontare e raccontarsi una «verità alternativa» non porta lontano. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/macron-scholz-meloni-2659402709.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-trattato-del-quirinale-vale-solo-quando-fa-gli-interessi-di-parigi" data-post-id="2659402709" data-published-at="1676098808" data-use-pagination="False"> Il Trattato del Quirinale vale solo quando fa gli interessi di Parigi «Il Trattato che oggi entra in vigore è animato da una comune visione del futuro, che consentirà a Francia e Italia non soltanto di rendere ancora più solidi i vincoli di amicizia che le uniscono, ma di stimolare un ulteriore consolidamento del processo di integrazione del nostro continente ed un rafforzamento delle nostre istituzioni comuni». Parole e musica del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, diffuse da Italpress in occasione dell’entrata in vigore del Trattato del Quirinale, che era stato firmato a Roma il 26 novembre 2021 dal presidente francese Emmanuel Macron e dall’allora presidente del Consiglio italiano Mario Draghi. La nota diffusa risale e undici giorni fa poco dopo che il ministro della Difesa, Guido Crosetto, e l’omologo francese, Sébastien Lecornu, si erano incontrati a Roma per discutere di Ucraina e pure della sicurezza del Mediterraneo e del fianco Sud della Nato. «Insieme a tutti i nostri partner, in uno spirito di autentica solidarietà europea, sapremo superare anche le sfide che l’aggressione russa all’Ucraina ha portato alla sicurezza ed alla prosperità globali, assumendo le decisioni necessarie perché l’Unione europea sappia rispondere con rapidità ed efficacia alle sfide dei nostri tempi», ha proseguito Mattarella. «Con l’entrata in vigore del Trattato del Quirinale, Francia e Italia sono ancora più unite, in Europa e nel mondo, per difendere e promuovere i valori fondanti delle nostre società: la pace, la libertà, i diritti umani, un progresso economico e sociale sostenibile, nel rispetto dell’ambiente naturale del pianeta», ha concluso lo scorso primo febbraio. A questo punto la domanda è la seguente: il Trattato, in soli dieci giorni, che fine ha fatto? La corsa in avanti di Emmanuel Macron sul fronte ucraino (vedi l’incontro bilaterale a Parigi) e sul fronte economico (la visita del ministro Bruno Le Maire, assieme all’omologo tedesco a Washigton per trattare con gli Usa eventuale mosse anti Ira) stravolge il senso stesso dell’accordo fortemente voluto da Draghi. Chi scrive non è per nulla sorpreso. La Verità si è spesa innumerevoli volte per denunciare i pericoli dietro al Trattato. Per denunciare il rischio di sottoscrivere un accordo che poi si potesse dimostrare univoco. Cioè in grado di favorire esclusivamente Parigi che sul versante predatorio è molto più forte e organizzata di Roma. Per essere ancora più precisi, il rischio è che le aziende francesi colonizzino ancora più l’Italia e finiscano per beneficiare dei fondi del nostro Pnrr, mentre quando si tratta di affrontare le tematiche internazionali a quel punto Parigi invece sfrutti soltanto gli accordi Ue multilaterali. Per noi sarebbe o sarà come essere cornuti e mazziati. Ben ha fatto il premier Giorgia Meloni a sottolineare le scelte inopportune di Macron. Ma adesso viene da chiedersi perché il precedente governo abbia firmato il Trattato, il Parlamento l’abbia ratificato e il Colle ne abbia celebrato l’entrata in vigore. Fratelli d’Italia è stato l’unico partito a opporsi alla ratifica. Ovviamente da solo non aveva alcuna possibilità di fare la differenza. Adesso però Fdi è al governo ed è il partito che ha raccolto più voti alle urne, forse potrebbe avviare una operazione di trasparenza e spiegare agli elettori alcune cose. Quali sono gli obiettivi del Trattato? Chi partecipa ai tavoli bilaterali? Nomi e cognomi compresi. Giusto per sapere e fare poter fare le pulci.